3. Passato

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"Ma la paura di non essere compresa la spingeva a serrare le labbra e a nascondere quello che sentiva

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"Ma la paura di non essere compresa la spingeva a serrare le labbra e a nascondere quello che sentiva."
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«Papà, dov'è la mamma?»
Una piccola bambina dai lunghi capelli castani, lentiggini sul viso ed occhi blu, era soltanto questo Isabelle allora. La voce tenera, innocente mentre domandava al padre dove fosse finita sua madre. Erano tante le domande che in realtà affollavano la sua giovane ed ingenua mente: che fine avesse fatto, perché non era più tornata dopo essere uscita di casa un anno prima e perché non le aveva portato quel giocattolo che tanto lei aveva desiderato e che sua madre le aveva promesso? Perché quando lei la notte si svegliava non c'era più sua madre a darle un bacio, a calmarla, a dirle ch'era soltanto un brutto sogno? Lei non voleva suo padre, lei non voleva la donna che lui aveva portato a casa, forse per colmare un vuoto che nessuno avrebbe più potuto riempire, forse per compiacere se stesso. Ad ogni modo, lei avrebbe voluto solo quella giovane donna con il viso simile al suo, con i suoi stessi occhi, con le sue stesse labbra, a coccolarla, a stringerla.
«La mamma sta arrivando», rispose il padre, accarezzandole la testa.
A quel punto Isabelle sorrise, contenta e speranzosa con il cuore che volava quasi. Era felice perché la sua mamma stava tornando e la notte non avrebbe più avuto paura.
Ma ogni sua speranza, tutta quella felicità, fu distrutta, fino all'ultimo briciolo, quando bussarono alla porta e non appena venne aperta venne rivelata la figura di quella donna che cercava di prendere un posto che nella vita di Isabelle non le apparteneva.
«Ma lei non è la mia mamma» disse la bambina, sbattendo i piedi per terra.
Non era lei che Isabelle voleva, non era lei che Isabelle cercava. Così fuggì via da quella stanza, rifugiandosi in camera sua, nascondendosi tra le coperte, asciugandosi il viso che di lacrime continuava a bagnarsi. Non le piaceva più quella realtà, odiava quasi suo padre, per le bugie, per il suo preferire costantemente un'altra donna. Era solo una bambina, ma abbastanza cosciente da capire che odiava le bugie.

Ferma a fissare il mare, seduta sulla sabbia, Isabelle, a distanza di dodici anni riportava a galla ricordi ed una realtà che avrebbe soltanto voluto poter cancellare.
Quello era uno dei giorni in cui si svegliava e certe mancanze erano più struggenti nella sua vita. Nonostante fossero ormai passati così tanti anni, talvolta si concedeva la possibilità di abbandonarsi all'angoscia. Isabelle non ricordava bene sua madre, di lei le era rimasto soltanto un ricordo piuttosto sbiadito, un viso confuso, un profumo ormai completamente svanito; ricordava soltanto la sensazione che si provava nell'averla vicina, nell'averla accanto, ma non era mai stato abbastanza. Con gli anni aveva poi sviluppato dentro di lei una sorta di rabbia o rancore nei suoi confronti; Isabelle era stata abbandonata senza alcuna spiegazione ed odiava quel pensiero. Da un giorno all'altro si era ritrovata da sola con il padre e senza una madre e tutta questa situazione precaria aveva fatto sì che non riuscisse ad instaurare un buon rapporto neanche con il padre, aggiungendoci poi la questione di suo padre che aveva praticamente fatto entrare con la forza nella sua vita un'altra donna, senza aspettare un minuto in più. Tante volta Isabelle pensava che la ragione che spinse sua madre a fuggire via fu proprio il comportamento ingrato ed egoista di suo padre, il tradimento subito e la fiducia svanita. Ad ogni modo, se la giovane ragazza aveva sempre pensato e compreso questa motivazione, non accettava il fatto che l'avesse lasciata proprio lì, tra le mani di quell'uomo da cui lei era scappata.
A distanza di anni anche Isabelle era fuggita da suo padre, si era trovata un piccolo lavoretto lontano da casa, nella periferia di Londra e non aveva perso tempo ad accettarlo. Talvolta non prendeva neanche quei soldi che il padre si ostinava a mandarle, ma almeno questo impegno lui riusciva a mantenerlo. Adesso che si era trasferite per l'università andava avanti con la borsa di studio che aveva ricevuto per il diploma, ma sapeva che le spese erano forse anche troppo e che presto avrebbe dovuto trovare nuovamente un lavoro.
Sapeva che i soldi da parte di suo padre sarebbero continuati ad arrivare, ma lei non voleva assolutamente neanche un centesimo da parte sua. Preferiva l'indipendenza, preferiva ringraziare se stessa, sbattersi in tutte le direzioni e fare un duro lavoro pur di non dover ringraziare suo padre. Preferiva quella solitudine, nonostante a volte fosse così difficile, ai suoi genitori che nella loro vita non avevano mai preferito lei.
Quindi, a quel punto dei suoi pensieri decise di smetterla di ricordare troppo e piuttosto dedicarsi a guardare il mare, per pensare adesso un po' a se stessa, per assaporare quell'aria di buono che su quella spiaggia si respirava, per sentirsi viva come tutte quelle volte che le capitava nell'osservare quell'immensa distesa d'acqua.
Con le gambe piegate al petto, avvolte dalle sue braccia, ed il mento poggiato sulle ginocchia, Isabelle provò a chiudere gli occhi: voleva capire se riusciva a sentire le onde del mare, il rumore dell'acqua, quell'idilliaco suono amplificato nella sua testa.
«Isabelle», il rumore del mare si mischiò con il timbro basso e caldo di quella voce che lei conosceva più che bene.
Aprì gli occhi ed alzò in viso, rivolgendolo ad Harry che la guardava dalla sua altezza imponente, gli occhi brillanti, illuminati dalla sola luce della luna ed un mezzo sorriso sul viso.
«Cosa ci fai qui tutta sola?» le domandò.
«Potrei farti la stessa domanda»
Lui le sorrise e quando Isabelle con un cenno del capo gli chiese silenziosamente di sedersi al suo fianco, lui non ci pensò due volte a prendere posto sulla sabbia accanto a lei.
Piegò le gambe e vi appoggiò le braccia sopra, mentre con le dita giocava con un paio di chiavi e attentamente la guardava.
Isabelle sorrise imbarazzata. Erano quegli occhi che la imbarazzavano, che la rendevano impacciata e timida; quegli occhi così intensi e curiosi, furbi e tremendamente belli da metterti soggezione. Allora si nascose dietro le sue braccia, fingendo di riposare, ma in realtà nascondendo un rossore sul viso che probabilmente al buio neanche si vedeva, ma che comunque lei sentiva incendiarle le guance.
«Da che cosa scappavi tu?» le chiese Harry.
Ma lei tacque; preferì restare in silenzio a fissare il mare.
Non le andava di parlare di quello a cui stava pensando prima che lui arrivasse, non aveva voglia di raccontare di quello da cui stava fuggendo.
«Mi piace il mare», gli disse soltanto, come a fargli capire che non scappava da nessuno, che voleva soltanto guardare il mare.
La luna, la notte, le stelle, il vento che soffia leggero e la sabbia fredda tra le dita, il suono delle onde del mare che si infrangono sulla riva. Tutto questo le piaceva, tutto questo la calmava.
«È un bel posto per restare lontani dal resto del mondo», rispose Harry.
Lui l'aveva capito che c'era qualcosa che non andava, però aveva capito anche che se avrebbe voluto delle risposte concrete avrebbe dovuto essere lui più discreto, più furbo.
Isabelle infatti sorrise, consapevole che da quello sguardo vispo che la stava studiando non sarebbe potuta scappare facilmente.
«Tu perché vuoi restare lontano dal resto del mondo?» gli chiese lei allora.
Pensò che se avrebbe dovuto parlare lei, avrebbe dovuto farlo prima lui.
«Perché tutto il resto non è per me» sospirò, guardando il mare, «Certe volte preferisco il silenzio e la solitudine»
Isabelle capiva cosa intendeva, lo capiva meglio di chiunque altro. Non essere capiti, sentirsi estranei.
Aveva sempre mantenuto un andamento molto riservato, non c'era verso che raccontasse a qualcuno realmente i suoi problemi. Ma non per paura di essere giudicata, perché, detta francamente, non le era mai interessato minimamente di quello che gli altri potessero dire o pensare di lei, di ciò che faceva, o delle scelte che prendeva. E nemmeno per vergogna, perché infondo non si vergognava di quello che aveva vissuto; sarebbe potuto capitare a chiunque.
Ma la paura di non essere compresa la spingeva a serrare le labbra e a nascondere quello che sentiva; quindi taceva ed i suoi tormenti restavano suoi soltanto e di nessun altro più.
Eppure per il resto, quei due, erano due mondi completamente opposti e per questa ragione non avrebbero mai trovato un punto di incontro.
E ad Isabelle, fino a quel momento, non era importato se nessuno insistesse per sapere cosa realmente non andasse. Fino ad Harry.
Lui la portava al limite, la faceva arrabbiare spesso, la faceva urlare; lei faceva lo stesso con lui. Harry insisteva, le chiedeva spesso di dirgli la verità, odiava quando lei mentiva.
In qualche modo, tiravano fuori il peggio di loro quando stavano insieme.
Harry ed Isabelle erano il fuoco, erano il gelo.
Erano il bello, erano il brutto.
Erano parole rimaste sulla punta della lingua, e poi erano invece frasi dette tutta d'un fiato.
Erano il baccano, il fracasso, il suono più violento che può fare l'affetto. Erano la quiete, l'oblio.
Loro erano un silenzio che però se ascoltato, fa più rumore dell'inferno.
«Allora adesso posso sapere da che cosa scappi tu?» ruppe Harry quel silenzio.
Isabelle sospirò, ma a quel punto scelse di rispondergli.
«Dal passato».
«Brutta bestia», le rispose, storcendo le labbra.
Isabelle annuì soltanto, ma non dicendo più nulla. Harry non sapeva del suo passato, da quando lo conosceva non gli aveva mai raccontato perché lei vivesse da sola, perché con lei non ci fossero i suoi genitori o qualsiasi altro parente. E lui non le aveva mai chiesto nulla, quasi come se sapesse che infondo chiederle qualcosa al riguardo era anche troppo; percepiva che qualcosa di estremamente delicato non andava, ma si limitava ad aspettare che fosse lei a confessare.
Rimasero ancora per pochi minuti in silenzio, fin quando non capirono che forse avrebbero dovuto accantonare ogni problema e rompere tutto quel tacere un po' imbarazzante.
«Come sei arrivata fin qui?» domandò Harry.
«Con il bus e poi dalla fermata a piedi».
«Cosa? Ma sarà un botto di strada!» esclamò sorpreso.
Isabelle rise, annuendo. Era davvero tanta strada, ma per quella meraviglia che era il mare quella notte ne valeva la pena. Così scosse le spalle ed infine tornò a fissare la vasta ed immensa distesa d'acqua.
«Non hai la patente?»
«Non ancora»
«No? Ti ho lasciato che studiavi per l'esame, torno e non hai ancora la patente?» ridacchiò Harry.
Lei sorrise, facendo spallucce.
«Infatti ho già il foglio rosa, ma devo ancora superare l'esame pratico»
Aveva passato l'esame teorico con un solo errore e al primo tentativo, mentre per quello pratico si erano un po' complicate le cose. La maturità ed il test d'ingresso per l'università le avevano strappato più tempo del previsto e più attenzione da tutte le restanti attività, per cui non era neanche riuscita a terminare le dodici lezioni di guida obbligatorie previste dalla legge.
«Sai guidare?»
«Insomma, è da un po' che non provo»
Gli occhi di Harry si illuminarono ed un grande sorriso illuminò il suo viso. Aveva lo sguardo di chi la sa lunga e la sta per combinare grossa.
«Vuoi provare?»
Si alzò dalla sabbia, chinandosi in avanti, con le mani rivolte verso Isabelle, invitandola ad afferrarle e ad alzarsi.
«Cosa? Adesso? No!» esclamò lei, portandosi una mano al petto.
Ma Harry non si arrese: le afferrò i polsi, tirandola verso di lui e spingendola ad alzarsi. Ad Isabelle non restò che assecondarlo e nel farlo si scontrò contro il suo petto. Guardandosi negli occhi si persero per pochi secondi, in un mondo che non era quello, in un posto che conoscevano solo loro, il loro piccolo spazio.
«Andiamo, non c'è nessuno in giro da queste parti!» la spronò.
Lei sorrise, nascondendo il viso tra le mani, nonostante Harry le stringesse ancora i polsi.
«Tu sei pazzo!»
Forse un po' pazzo veramente c'era, ma non gli importava. Erano lì entrambi, sorridenti, con gli occhi lucidi, scappando una dal passato e l'altro da tutto il resto, insieme.
«Dai, andiamo»
Allora la spinse sotto il suo braccio, stringendola a sé. Camminarono fino all'auto di Harry, parcheggiata perfettamente fra altre due vetture; ad Isabelle tremavano le mani, era agitata e nervosa, non guidava da troppo tempo e temeva di fare brutta di figura, di imbarazzarsi e non riuscire neanche a farla partire. Ad ogni modo, lui con un pulsante sulla chiave aprì l'auto e le luci lampeggiarono, si avvicinò a questa, aprendo lo sportello del conducente ed invitandola ad entrare con un sorriso che lei ricambiò titubante.
«Sei sicuro? Harry, davvero, non lo sono neanche io di me stessa» gli disse, frenetica.
Con le mani toccava nervosamente e più volte il volante, cercando di smorzare tutta quella sua agitazione e cercando di ricordare come si dovesse fare per non far spegnere l'auto.
Harry le sorrise, annuendo più che convinto.
«Sta tranquilla, tu rilassati e cammina piano che puoi farcela» la rassicurò.
Appoggiò una mano su quella di Isabelle che stringeva il volante, il suo palmo caldo contro il dorso di quella della ragazza. Harry spostò la mano di Isabelle più in basso, indicandole il punto preciso in cui avrebbe dovuto tenerla, ma lei era troppo concentrata al calore che quella grande emanava sulla sua per poter realizzare bene ogni singola cosa che stava accadendo.
Quando la mano di Harry si allontanò, cercò allora di ricordare quello che le era stato insegnato riguardo le auto.
Piede sinistro sulla frizione, premuta completamente, piede destro sul freno, allacciare la cintura, controllare gli specchietti, accendere l'auto, inserire la prima marcia, azionare l'indicatore di direzione ed abbassare il freno di stazionamento.
Poi sta tutto nel cercare di non farla spegnere.
Isabelle si concentrò sui suoi piedi, controllò che non vi fossero macchine e soltanto quando vide la strada libera, spostò il piede dal freno, appoggiandolo sull'acceleratore.
«Lascia lentamente e a poco a poco la frizione e nel frattempo accelera, ma non lasciarla mai completamente la frizione fino a quando la macchina non è andata, mi raccomando!» le parole del suo istruttore di guida le rimbombavano nella testa, ma non furono abbastanza, perché Isabelle, distratta dalla voce di Harry che la incoraggiava, spostò completamente il piede dalla frizione e l'auto si spense.
«Dannazione!» esclamò imbarazzata.
E si aspettava che Harry scoppiasse a ridere, o che comunque la deridesse, ma invece non accadde. Quando si voltò a guardarlo lui le stava sorridendo e non era un sorriso malizioso, o derisorio, era semplicemente dolce ed incoraggiante. Con gli occhi la stava rassicurando, le stava comunicando che doveva soltanto stare tranquilla, che ce l'avrebbe fatta.
«Non è successo niente. Dai, riprova» le disse.
Isabelle annuì, riprendendo in mano il volante e riaccendendo l'auto. Quella volta andò meglio, l'auto non si spense e riuscì ad uscire fuori dal parcheggio. Proseguì dritto, seguendo poi le indicazioni di Harry, mentre lui di tanto in tanto la incoraggiava e le diceva che stava andando alla grande, tanto da farle prendere persino più coraggio e premere un po' di più il piede sull'acceleratore.
«Bel, non correre troppo però», la riprese.
E lei rise, un po' perché poteva sentire dal tono della sua voce che fosse un tantino preoccupato ed un po' perché era felice, perché amava quando lui la chiamava in quel modo.
«Ti fidi di me?» Gli chiese.
«Di te sì, ma della te senza patente non proprio»
A quel punto allora Harry si allungò per appoggiare una mano sulla coscia di Isabelle, per chiederle di rallentare e la sua richiesta fu esaudita, ma per il semplice motivo che il cuore della ragazza aveva invece accelerato così come il suo respiro. C'era questa cosa che Harry con le mani riusciva a trasmetterle, questa sensazione di calore, di vibrazioni, tanto da farla tremare. Lei sapeva non fosse poi così normale, sapeva anche che non le era mai realmente capitato con qualcuno, tantomeno con un amico qualunque, ma sempre e soltanto con lui. Da quando si erano rivisti, soprattutto, lei non faceva altro che sentire il suo cuore alternarsi dall'impazzire al cercare un modo per rallentare.
Distratta allora dalla calda atmosfera che si era diffusa in auto a causa di una stupida mano poggiata sulla sua gamba, non premette abbastanza la frizione al cambio della marcia, per cui l'auto si spense ancora.
Respirò pesantemente e rimase a fissare davanti a se per pochi secondi, cercando di capire cosa le stesse succedendo; quando poi si girò a guardare Harry, scoppiarono entrambi a ridere in pochi secondi, mentre la sua mano si allontanava dal corpo della ragazza, concedendole soltanto a quel punto un po' di lucidità.
Dopo essersi ripresi, Isabelle ripartì e guidò più tranquillamente e sempre con più disinvoltura fino a fermarsi davanti il suo palazzo.
«Ce l'ho fatta!» esclamò ridendo.
«Sì, ce l'hai fatta», l'assecondò lui con le labbra piegate in un mezzo sorriso.
Scesero allora dall'auto, entrambi sorridenti ed Isabelle evidentemente più rilassata rispetto a quando era iniziata quella giornata. E forse doveva più ad Harry che al mare per tutto quello.
Lui si appoggiò alla fiancata dell'auto, incrociando le braccia al petto e lei senza dire nulla, si avvicinò a lui, fermandosi a pochi passi di distanza. Erano vicini, molto più di quanto altre volte lo erano stati, questo perché sembravano essere vicini con il cuore. Rimasero in silenzio per un po', guardandosi e di tanto in tanto scambiandosi qualche dolce sorriso, fin quando lui non le porse una mano, invitandola ad afferrarla e ad avvicinarsi a lui, invito che Isabelle accolse volentieri.
In pochi gesti il suo corpo minuto fu avvolto dalle braccia di Harry, che le circondarono le spalle e fecero in modo che i loro corpi si toccassero in un contatto che ormai conoscevano entrambi più che bene.
«Bel», la chiamò. E lei che aveva appoggiato la fronte sul suo petto alzò il capo per guardarlo in viso.
«Se qualche volta senti il bisogno di scappare da qualcosa, che sia il passato, che sia il presente, ricordati che io ci sono, sempre e più del mare»
Non ci sarebbero mai state onde, il suono che queste producevano, mare immenso, sabbia fresca o bollente sotto le piante dei piedi, tra le dita. Non ci sarebbe mai stata nessuna infinità tanto bella quanto gli occhi di Harry in quel momento. Non ci sarebbe mai stato niente come lui e le sue braccia. Niente di niente. Isabelle lo sapeva e lui voleva che lei se lo ricordasse.
«Okay» sussurrò.
«Okay» ripeté lui.
Caddero così in quel silenzio che faceva più rumore dell'inferno.

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«Tu sei come il mare,
volevo dirtelo,
nascondi la parte migliore,
ti amo,
voodoo love.»

Per restare in tema con il capitolo e con il fatto che per la maturità l'argomento della mia tesina era Ermal Meta!
Ebbene sì, sono viva! Sono stati giorni lunghi e stressanti che, vi giuro, volevo morire :(
Però sono sopravvissuta e ho fatto pure commuovere praticamente tutti con la mia presentazione e non chiedetemi come ahaha
Sono contentissima del risultato del mio lavoro e soprattutto del fatto che ho presentato Ermal, che è un artista fantastico e veramente da seguire, credetemi.
Adesso vado, ci vediamo presto, spero.
Endless love. xx

Il rumore del silenzio [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora