24. Spine

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"Tu sei come una rosa: bellissima anche se porti le tue spine

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"Tu sei come una rosa: bellissima anche se porti le tue spine. I difetti che ti appartengono, ma che io non vedo.
Tu che per me sei perfetta.
Tu che lo sei e basta.
Quello che ti dico, che ti incidi sulla pelle."
-

Isabelle si domandò se il posto in cui si trovasse fosse il paradiso, o comunque qualcosa che gli somigliasse abbastanza: le braccia di Harry le avvolgevano il corpo nudo, distesi sul letto e coperti da un semplice e leggero lenzuolo, dopo aver fatto l'amore ed essersi legati ancora senza più paure.
Forse non era il paradiso, ma qualunque cosa fosse, Isabelle avrebbe voluto non svanisse mai. Fosse stato per lei sarebbe rimasta giorno e notte avvinghiata a quel corpo, senza stancarsi mai.
Harry le accarezzava dolcemente la spalla, disegnando forme sulla sua pelle con i polpastrelli delle dita. Lei, invece, restava immobile, quasi del tutto distesa sul corpo del ragazzo, con il suo petto premuto contro quello di lui e gli occhi schiusi a guardare la finestra davanti a loro.
Fuori era notte fonda, probabilmente erano le due, o le tre del mattino, ma nessuno dei due accennava ad addormentarsi. Preferivano di gran lunga godersi quel momento, piuttosto che chiudere gli occhi e abbandonarlo al tempo, il quale se lo sarebbe portato via non appena il sole sarebbe sorto e la necessità di andare all'università li avrebbe costretti a lasciarsi andare.
Ogni volta che Harry e Isabelle stavano insieme era come se si rifiutassero di vivere il mondo esterno, quello che li circondava e li obbligava a tener conto di qualcos'altro che non fossero l'amore che avevano imparato a fare, i baci o gli sguardi carichi di parole.
Lui, in quel silenzio, le percorse con l'altra mano il fianco, girandosi per schiacciarsi addosso a lei ed invertire la posizione che avevano mantenuto fino ad allora. Isabelle riuscì a sentire i freddi anelli, che lui portava alle dita, sulla pelle. E quando appoggiò la testa sul cuscino accanto al viso della ragazza, profondamente vicini e avvinghiati, lei girò il capo per guardarlo negli occhi. Era stanco, glielo si leggeva in faccia, ma anche lui, come lei, si rifiutava categoricamente di chiudere gli occhi e abbandonarsi alle braccia di Morfeo.
«Quindi cos'è questa storia del tatuaggio?» le domandò con voce rauca e più bassa del solito, segnata dallo sfinimento.
Isabelle sorrise, ricordando come poche ore prima l'aveva provocato e gli aveva raccontato del suo desiderio di marchiarsi la pelle proprio come aveva fatto lui.
«Non so, mi gira da un po' quest'idea nella testa», gli rispose.
Lui le sorrise e lei con una mano gli spostò una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi, proibendole di guardare quelle bellissime iridi verdi.
«Cosa vorresti tatuarti?»
«Non ci ho ancora pensato bene, ho tante idee, ma nessuna sembra quella perfetta.»
Nel frattempo, Isabelle gli si era fatta più vicina, baciandolo sulla fronte e poi sullo zigomo. E mentre le sue morbide labbra toccava la pelle del ragazzo, lui non poté fare a meno di pensare a quanto amasse quel contatto, a quanto adorasse quando lo riempiva di baci e di coccole. Era sempre così delicata, così dolce e lo faceva sentire così maledettamente fortunato.
«Devi pensarci bene, non è qualcosa che va via così facilmente», le disse.
E lui lo sapeva bene. Il suo corpo era tempestato di tatuaggi, soprattutto sulle braccia. Eppure, non si pentiva di nemmeno uno di questi; ogni singolo aveva la sua storia e rappresentava ciò che Harry era, ciò che l'aveva resto quello che lui era diventato.
«Tu che dici?» gli domandò Isabelle.
«I tatuaggi sono sexy!»
E lei scosse il capo, ridacchiando per quella risposta.
«Intendevo, secondo te, cosa potrei tatuarmi?»
Il ragazzo la guardò per un po', ma senza dirle nulla.
Ci stava pensando, anche se sembrava tremendamente difficile riuscire a trovare qualcosa che lei potesse incidersi sulla pelle. Gli venivano in mente tante di quelle cose, ma nessuna sembrava all'altezza della ragazza stesa sotto il suo corpo.
Ti direi di tatuarti la mia impronta delle dita, i miei segni sul tuo corpo, così da lasciare un segno indelebile sulla tua pelle, così ti ricorderesti di me se mai un giorno dovessi odiarmi, così ti ricorderesti che ci siamo amati su questo letto, che ci siamo amati in questa vita.
Ecco cosa ti direi di tatuarti.
Egoista, probabilmente.
Ma vorrei esserti sulla pelle, almeno per farti capire un po' cosa provo io ad averti impressa nel cuore.
Harry non aveva mai pensato niente di simile per nessuno.
Isabelle tracciò con le dita le sue braccia.
«Tu ne hai così tanti», sussurrò, riferendosi ai tatuaggi.
Da quando si erano conosciuti, anni prima, Harry era diventato una tela su cui il tatuatore, a volte, dava sfogo alla sua vena artistica. Ce n'erano un po' che a Isabelle piacevano parecchio: le foglie sui fianchi, la croce sul dorso della mano, l'ancora sul polso. Gli piaceva persino il leone che si era tatuato sulla coscia.
Aveva poi incise due lettere, uno su ogni spalla. Quelle lettere erano le iniziali del nome di sua madre e del nome di sua sorella.
«Sono belli», gli disse, continuando a tracciare con le dita i segni sul suo braccio.
Isabelle non conosceva la storia di ciascuno dei dei suoi tatuaggi, ma lo sguardo che lui le stava rivolgendo mentre lei si riferiva a questi, le fece capire che avevano tutti un significato, che ciascuno di questi era importante.
Promise a se stessa che prima o poi l'avrebbe spogliato e si sarebbe fatta raccontare ogni dettaglio su ciò che nascondevano quelle impronte nere sul suo bellissimo corpo.
«Tu sei bello», sussurrò lei, guardandolo dritto negli occhi.
Era bello fuori.
Era bello dentro.
Harry le sorrise, sollevandosi sui gomiti per guardarla meglio.
«Non immagini quanto io mi senta stramaledettamente fortunato in questo momento», le disse.
E lei ricambiò quel sorriso, pensando ad una risposta che però non gli disse.
E tu non immagini quanto io sia innamorata di te.
Dopodiché, tra di loro, cadde il silenzio fin quando non si addormentarono uno tra le braccia dell'altro.
Il mattino arrivò in fretta, d'altronde aveva chiuso gli occhi molto tardi. Quando Isabelle si svegliò, il posto sul letto accanto a lei era vuoto. Allungo un braccio per constatare che non ci fosse nessuno e le lenzuola fredde segnavano proprio un'assenza.
Si strinse le lenzuola fin sotto al naso, mentre veniva pervasa da un senso di vuoto, dovuto alla sua assenza, e al tempo stesso di gioia. Era felice perché ricordava la notte che aveva passato, ciò che si erano detti e quello che non si erano detti, non con le parole almeno; ricordava i baci e le carezze. Era ancora tutto così nuovo per lei e a stento faticava a credere di essere davvero arrivata ad un punto simile con Harry.
Il tipico punto che ormai ci hai perso la testa, che non puoi tornare indietro neanche a volerlo, che se non fai attenzione ti consuma, anche se poi non ti importa affatto.
Dopo cinque buoni minuti a realizzare ciò che era successo e a metabolizzare il fatto che dovesse alzarsi perché fra meno di un'ora iniziava la prima lezione all'università, riuscì a sfuggire dal caldo accogliente delle coperte. Afferrò dall'armadio una maglietta di Harry che gli aveva rubato qualche giorno prima e la indossò. Si guardò attorno, notando che mancavano i vestiti di Harry della sera prima, così uscì dalla sua stanza, con il cellulare in mano, mentre lo accendeva per vedere se le avesse mandato qualche messaggio.
La delusione nel vedere che non vi era nessuna notizia da parte sua durò solo pochi secondi, poiché i suoi occhi avevano focalizzato qualcosa sul bancone in cucina: una rosa ed un bigliettino di carta.

Il rumore del silenzio [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora