Tutti i giorni della sua vita.

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"Adesso doveva sorridere, sorridere e amare quell'uomo tutti i giorni della sua vita

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"Adesso doveva sorridere, sorridere e amare quell'uomo tutti i giorni della sua vita."
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Isabelle sentì chiudere la porta di casa, ma non si mosse, rimase di spalle davanti il bancone della cucina. Aveva la scusa di star cucinando, ma la verità era che non voleva vederlo.
Un magone le stringeva il petto, non riusciva a parlare, non riusciva a guardarlo e le lacrime le scorrevano sul viso di continuo, nonostante si sforzasse di non farle scendere.
Sentì i loro figli chiamarlo e li immaginò andargli incontro e abbracciarlo, mentre lui li stringeva e li alzava dal pavimento, entrambi contro il suo petto, proprio come succedeva tutta le sere.
Pochi minuti dopo udì i suoi passi vicini, in cucina e Isabelle trattenne il fiato.
«Bel, tutto okay?»
Lei annuì, ma Harry le si avvicinò ancora, toccandole una spalla.
«Ehi, stai piangendo?» le chiese preoccupato.
Ma Isabelle scosse il capo e con il dorso della mano si asciugò gli occhi bagnati da lacrime salate che avrebbe voluto nascondergli.
«Sono le cipolle, non sto piangendo», rispose a bassa voce, accennando un sorriso e fingendo che quella fosse la verità.
Harry non controbatté e sospirò, tirandosi indietro.
Erano distanti anni luce, lei mentiva e lui fingeva di crederle, lo stesso viceversa. Non insistevano più se qualcosa non andava, se qualcosa non li convinceva; accettavano le menzogne e si arrendevano a vivere quella vita che vivibile non era affatto.
In quell'ultimo periodo non riuscivano più ad andare d'accordo, litigavano spesso e parlavano poco. Non c'erano più le coccole a letto, gli abbracci sotto le coperte, i baci al mattino. Le colazioni erano diventate tristi e silenziose, almeno fin quando non si alzavano i loro figli. Gli unici a tenere allegra quella realtà erano loro, gli unici che li tenevano legati insieme ancora erano proprio quei due bambini.
La ragione di quei problemi era nata pochi mesi prima, quando Isabelle aveva dato di matto a causa di una gelosia che secondo Harry era assolutamente insensata. La paura e la paranoia l'avevano tormentata fino a farla scoppiare e inveire contro di lui; lo stress, l'ansia, ogni emozione cattiva. E da allora litigavano spesso, litigavano appena lui usciva e rientrava tardi, litigavano quando non le rispondeva al cellulare, litigavano anche quando non c'era motivo di litigare.
Harry non sapeva da dove fosse nata tutta quella gelosia, ma Isabelle lo sapeva anche abbastanza bene. L'aveva visto al bar con una donna, che lei non conosceva, e quando gli aveva chiesto dove fosse stato quel pomeriggio, lui le aveva mentito. E allora non c'aveva più visto dalla rabbia, mentre lui si era giustificato dicendole soltanto che era una vecchia amica e che non le aveva detto nulla appunto per evitare tutto questo.
«Vai a chiamare i bambini che è pronto, per favore?»
Harry annuì, dirigendosi in salotto per chiamare i loro figli.
Poco dopo entrarono tutti e tre e subito presero posto a tavolo, mentre Isabelle si avvicinava con la padella in mano per riempire i loro piatti.
Cenarono nel silenzio più totale, evitando di guardarsi e di sfiorarsi anche solo per sbaglio. Prestavano attenzione soltanto ai loro figli che ogni tanto ridevano e si bisticciavano per poi tornare subito dopo a mangiare. Isabelle li guardava entrambi e con la mente pensava che erano loro la ragione della sua vita, Harry faceva lo stesso, ma guardando anche lei.
Lui l'amava, l'amava da morire e la sua vita senza di tutti e tre non era vita. Odiava vederla in quello stato, odiava averle mentito, odiava che lei non riuscisse più a guardarlo negli occhi, odiava il fatto che non si lasciasse neanche toccare per sbaglio. Le mancava così tanto.
Quando finirono di cenare, Harry accompagnò i suoi figli a letto, non prima però che avessero dato il bacio della buonanotte a Isabelle.
Non appena tornò, la trovò di spalle davanti al lavello, mentre lavava i piatti. L'aiutò a sparecchiare, porgendole ciò che ci fosse da lavare, ma Isabelle non lo voleva intorno, voleva stare sola e la sua presenza la rendeva nervosa. Per questa ragione diede di matto quando girandosi si scontrò con lui che con il gomito le colpì incidentalmente lo stomaco.
«Harry, ti vuoi levare!» lo richiamò, alzando la voce.
«Scusa, non l'ho fatto apposta!» rispose lui con voce altrettanto alta.
Scusa per tutto.
«Lascia stare, faccio da sola!»
«Ti ho sempre aiutata.»
«E ora non voglio più essere aiutata.»
Isabelle chiuse gli occhi, dandogli le spalle e portando i piatti sotto il getto d'acqua. Le tremavano persino le mani.
Ma come ci siamo arrivati a questo punto? Pensò lei.
«Tu hai problemi», ringhiò Harry, quando si riprese da ciò lei gli aveva detto.
«Sei tu il mio problema.»
E allora lui rimase a guardarla, senza parole. Lui era il problema, lui si sentiva la causa che li aveva ridotti così.
Come se un pugno l'avesse colpito dritto al petto, incassò il colpo e tacque, poi uscì da quella stanza.
A Isabelle servirono cinque buoni minuti per riprendersi da quel momento, ma con le mani che le tremavano e la rabbia a fior di pelle, il nervosismo, l'ansia, mentre sistemava i piatti nel ripiano sopra la sua testa, uno le scivolò delle mani e cadde a terra distruggendosi in mille pezzi.
Dovette appoggiarsi con le spalle a muro per pochi secondi, per riprendersi e provare a calmarsi, nonostante fosse difficile e nonostante odiasse tutta quella situazione. Perché non poteva più essere felice con suo marito e i suoi figli?
Si abbassò a raccogliere i pezzi di vetro, ma nel farlo si tagliò il palmo della mano. Di male in peggio.
Harry entrò ancora in cucina e nel vederla col sangue sulla mano le si avvicinò in fretta.
«Che succede?»
«Niente, mi sono solo tagliata.»
Lui le prese la mano, aiutandola a lavare via il sangue. Isabelle continuava a non guardarlo, mentre lui invece la stava perforando con lo sguardo. Come avrebbe voluto stringerla forte a sé, Dio se avrebbe voluto.
«Il taglio non sembra profondo, non penso ci vorranno punti», la rassicurò, mentre con un panno pressava sulla ferita per fermare il sangue. Isabelle annuì e si lasciò curare la mano. Era la prima volta, dopo tempo, che si lasciava toccare davvero da lui.
«Ora mettiamo un cerotto e qua finisco io, okay?» le chiese.
Lei continuò ad annuire soltanto, ma riuscì anche a guardarlo. Sospirò perché le mancava dannatamente tanto quell'uomo che aveva davanti il quel momento, quello che si prendeva cura di lei e la amava attraverso piccoli gesti. Era così innamorata.
I loro occhi allora si incontrarono e per un attimo smisero di respirare. Ah, da quanto tempo che non si guardavano in quel modo, come a dirsi ti amo con lo sguardo semplicemente.
Harry allungò una mano per accarezzarle il viso e lei stranamente si lasciò toccare.
«Dimmi cosa c'è che non va, amore», le sussurrò con dolcezza.
Isabelle chiuse gli occhi e si fece cullare dalle morbide carezze di quelle mani che l'avevano stretta come mai nessuno.
«Cosa ci sta succedendo?» chiese lui ancora.
Una lacrima scivolò lungo la guancia di Isabelle, che non si preoccupò però di asciugare. Era stanca di mostrarsi forte, era stanca di combattere.
Harry si appoggiò al bancone, attirando a sé il corpo di Isabelle. Le accarezzò i capelli, baciandola sulla fronte e sulla tempia.
«Io non voglio essere il tuo problema. Mi uccide questa cosa.»
Lui deglutì, che per non piangere ce la stava mettendo tutta.
E Isabelle si lasciò andare, cedendo a quelle braccia e avvolgendolo con le sue, nascondendosi in quel corpo che per anni era stato il suo rifugio.
Quella era casa sua, quella era la sua vita.
«Mi devi giurare che non c'è nessun'altra, Harry. Me lo devi giurare.» lo supplicò.
Harry le strinse il viso tra le mani, le loro fronti che si toccavano. Avevano il cuore in mille pezzi, ma ognuno di questo amava l'altro alla follia. E se stavano entrambi così male era solo perché si amavano tanto da non riuscire a sopportarlo. Erano sempre stati così, non avevano mai saputo amarsi diversamente.
«Te lo giuro, amore mio. Te lo giuro. Tu sei l'unica donna della mia vita, l'unica che voglio, l'unica che amo.»
Un pasticcio di lacrime e respiri pesanti, mentre si scambiavano un bacio ch'era lo sfogo di tutta l'angoscia e la paura che provavano, di tutto l'amore che sentivano e il desiderio di tornare a volersi come sempre.
«Domani sera lasciamo i bambini da mia madre e usciamo solo noi due, okay? Abbiamo bisogno di stare soli.»
Isabelle annuì. Ne avevano bisogno, davvero. Stare loro due insieme, da soli soltanto, senza figli, senza altri pensieri, solo loro due a viversi come un tempo.

Il rumore del silenzio [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora