7. Assurdità

2.3K 128 8
                                    

"Grazie perché con te ogni posto è sempre stato il posto giusto

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

"Grazie perché con te ogni posto è sempre stato il posto giusto."

-

Erano passati un po' di giorni dopo quello che ad Isabelle era successo con sua madre.
Si sentiva un po' meglio, aveva smesso di pensarci in modo asfissiante e si stava un po' godendo la possibilità di restare a casa nonostante la febbre non volesse saperne di passarle, quella no.
Harry l'aveva chiamata, era anche andato a trovarla, ma non si era mai fermato più di un paio d'ore. Eppure lei avrebbe voluto che lui restasse ancora, anche tutta la notte. Ma a volte capitava che cadevano nel silenzio; c'erano cose che Isabelle a lui non aveva raccontato, non tutta la storia, i segreti, il passato, ricordi che faticava a rivivere e che quindi si ostinava a tenere lontani da ogni possibilità di ferirla ancora e più forte di prima. Poche notti prima le era basto rivedere sua madre per capire quanto ancora aprire quella porta le facesse del male.
E cadevano nei loro silenzi che però ultimamente erano più scomodi, sapevano di cose nascoste, sapevano di incapacità di stare meglio, o di fare qualcosa per stare bene.
Allora Harry dopo un po' andava via e lei si sentiva un po' più sola; solo dopo che lui si chiudeva la porta alle spalle, lei si pentiva di non avergli detto nulla, di averlo lasciato andare ancora quando avrebbe soltanto voluto chiedergli di restare un po' di più. Forse perché sapeva che lui sarebbe rimasto, indipendentemente da silenzi scomodi e stretti, lui sarebbe rimasto lì, con lei, a sopportare un peso che non gli apparteneva. Forse proprio perché Isabelle non voleva che Harry si caricasse sulle spalle uno scheletro che neanche conosceva. Lei avrebbe combattuto sola, ma al tempo stesso si promise che gli avrebbe dato una spiegazione, che non l'avrebbe lasciato andare, che non l'avrebbe perso.

Anche quella sera Harry andò a trovarla.
Bussò al suo appartamento, aspettò che lei gli aprisse, con due bicchieri di Starbucks tra le mani ed una piccola scatola con dei cioccolatini nell'altra. Era passato davanti le vetrine di una pasticceria vicino casa di Isabelle, aveva visto quella scatola e gli era sembrata un'idea carina e divertente, scoprire insieme a lei il gusto del cioccolatino che gli sarebbe capitato; inoltre, cosa c'è di meglio del cioccolato per fare star bene una persona?, pensò.
Isabelle, avvolta nella sua felpa rossa, si affrettò ad aprirgli. Sapeva ch'era lui, se lo aspettava, come tutte le sere da quando stava male e da quando non avevano più avuto modo di vedersi all'università.
Gli sorrise non appena i loro occhi si incontrarono e lui con lo sguardo di un bambino felice, le mostrò cosa aveva nelle mani, per lei.
«Piccoletta, ho portato un po' di cose dolci.» Le sorrise.
Isabelle lo fece accomodare, chiudendo la porta e seguendolo in salotto.
«C'è un frappuccino al caramello, senza caffè e più cioccolato, proprio come piace a te. E questa,» alzò la mano che teneva la scatola di cioccolatini, «e una scatola piena di cioccolatini, tutti per noi.»
Isabelle gli sorrise. Lui sapeva proprio come coccolarla, ma non glielo disse.
Era come se quando lui la guardava in quel modo, felice e sorridente, con quegli occhi verdi e brillanti, le si alleggerisse il peso che portava sulle spalle.
Rimase ferma a fissarlo. Era bello, bello davvero.
«Allora, sei pronta ad ingozzarti di cioccolato? Ti avverto che non so il gusto dei cioccolatini», ridacchiò Harry.
Isabelle si riprese e si accomodò sul divano in fretta, sbattendo poi una mano al suo fianco, invitandolo a sedersi accanto a lei.
Tirarono fuori la scatola di cioccolatini dall'involucro di cellophane. Isabelle assaggiò un po' del suo frappuccino, guardando Harry tra le ciglia, sorriderle e prendere tra le dita il primo cioccolatino.
«Vado?» chiese.
Lei annuì.
Le labbra di Harry si macchiarono di cioccolato e l'espressione sul suo viso rendeva chiara l'idea ch'era buono.
Isabelle, con le gambe incrociate e gli occhi rivolti a lui, lo punzecchiò sul braccio.
«Quindi? Com'è?»
«È buono», le rispose e avvicinandolo al volto della ragazza, le fece cenno di assaggiare, «tieni, prova.»
Lei lo guardò titubante, ma non si tirò indietro: le sue labbra si chiusero attorno al cioccolatino, lasciando che il sapore dolce si sciogliesse sopra la sua lingua. Si scambiarono uno sguardo silenzioso, occhi negli occhi; Isabelle sentì il suo volto riscaldarsi e lui continuava a guardarla intensamente, con la mano sul viso della ragazza, le dita aggrappate ai suoi lunghi capelli.
Stava accadendo ancora: per l'ennesima volta si stavano entrambi chiedendo se sentirsi in quel modo fosse normale, se volersi vicini e non riuscire a starsi lontani, se stringersi le mani sbadatamente e guardarsi negli occhi volutamente, se ogni singolo gesto d'intesa, fosse normale.
Alla fine spostarono gli occhi in basso e scherzando mangiarono ogni cioccolatino dentro quella scatola.
«Quindi non me lo merito un bacio?» ammiccò Harry.
Il suo sguardo furbo ed il sorriso a splendere sul suo viso. Isabelle annuì ridacchiando, avvicinandosi poi a lui, strinse un braccio attorno al suo collo ed appoggiò la bocca sulla sua guancia, schioccando diversi baci. Harry rise e lei continuò imperterrita a lasciare baci sul suo volto.
«Grazie», gli disse infine, «per tutto.»
Grazie per esserci stato in questi giorni, grazie per non aver fatto domande perché ti basta guardarmi per capire che non conosco neanche io le risposte, grazie perché non mi hai mai fatta sentire di troppo. Grazie perché con te ogni posto è sempre stato il posto giusto.
Erano infiniti i grazie che Isabelle ancora avrebbe voluto dirgli, ma si limitò a quello soltanto. Non era brava con le parole, non era brava a dirle le cose, si sentiva sempre in imbarazzo e incapace di riuscire a pronunciare ciò che il suo cuore avrebbe veramente voluto dire.
Nemmeno lui era bravo a dirle le cose, era più bravo con i gesti. Ad esempio, tutta quella settimana, andarla a trovare era servito per dirle in silenzio che lui c'era, che quando ne aveva bisogno doveva solo prendere il telefono e chiamarlo, lui avrebbe corso più in fretta che poteva.
A quel punto Harry le sorrise soltanto e lentamente l'avvolse in un abbraccio. Le sue braccia circondarono le spalle dell'esile ragazza al suo fianco, le loro mani si strinsero insieme e le sue labbra si appoggiarono sulla sua fronte. Isabelle chiuse gli occhi e sospirò pensando che in quel momento stava dannatamente bene, bene da morire. Era felice di aver qualcuno come Harry al suo fianco, si sentiva fortunata perché ragazzi come lui non era facile trovarne.
Si accoccolò al suo fianco, stringendo la camicia che lui indossava tra le dita; sentì il suo profumo, ne fece oro, perché era così buono e la faceva sentire a casa, nel posto giusto. In quel momento non avrebbe voluto essere da nessun'altra parte, solo lì, solo tra quelle braccia.
Stavano in silenzio, con Harry che le accarezzava i capelli, ma quel silenzio era diverso quella volta. Lei non aveva ancora raccontato nulla al riguardo, ma quella sera, quel silenzio era il silenzio a cui erano abituati e non quello scomodo che si erano ritrovati ad affrontare negli ultimi giorni. Tutto era al proprio posto.
Ma non durò poi così a lungo: il cellulare di Harry squillò e così fu costretto ad allontanarsi da Isabelle per poter rispondere.
«Georgina, ciao!» esclamò, sorridendo.
Isabelle drizzò la schiena, rivolgendogli uno sguardo confuso che lui però non notò, troppo concentrato ad ascoltare ciò che la ragazza dall'altro lato gli stava dicendo.
Harry si alzò dal divano, portandosi una mano tra i capelli e rise, assottigliando gli occhi, proprio come piaceva a Isabelle, che lo guardò senza dire nulla, con il broncio sul viso e l'umore che lentamente le scivolava sotto i piedi. Non le piaceva come lui stava sorridendo per una ragazza ch'era diversa da lei, che sorrideva così tanto come solo con lei era solito fare. Era gelosa, lo sapeva infondo che lo era, ma non lo avrebbe ammesso, né a lui, né tantomeno a sé stessa.
Allora curvò le spalle, incrociando le gambe sul divano ed appoggiandosi con i gomiti sulle ginocchia; prese a giocare con un cuscino decorativo sul divano, mentre Harry finiva di parlare al cellulare, senza mai azzardarsi a rivolgergli uno sguardo.
«No, ma figurati», disse Harry, «quando vuoi tu ci vediamo e completiamo il lavoro.» Sorrise.
Isabelle stava rosicando, se avesse potuto si sarebbe mangiata pure le mani. Voleva che lui andasse via, non voleva più ascoltarlo parlare con lei, non voleva più averlo lì. Attese pazientemente che lui terminasse quella telefonata, ascoltandolo ridere e blaterare con quella Georgiana, che Isabelle personalmente non conosceva, ma che già non sopportava. La sua pazienza stava per scadere.
«Okay, ci sentiamo allora, mh?» disse dopo un po' Harry, «Perfetto, ciao!»
Isabelle continuava a giocare con il cuscino sul divano, senza guardarlo, imbronciata, nervosa ed infastidita. Quando lui le si avvicinò neanche lo guardò, nemmeno quando lui prese nuovamente posto al suo fianco. Anzi, Isabelle si allontanò e rimise a posto il cuscino, raccogliendo la scatola vuota di cioccolatini e i bicchieri di Starbucks per buttarli via, senza neppure fiatare.
«Allora, che facciamo? Guardiamo un film?» le domandò Harry entusiasta, ignaro che Isabelle non era poi più così contenta.
«Non mi sento ancora bene, Harry. Scusa», disse, lasciando intendere che voleva riposare, sola e senza di lui.
Harry la guardò, triste di dover andare via. Voleva stare ancora lì con lei, magari abbracciati su quel divano a guardare un film, senza malizia, senza doppi fini; solo lui, lei e i loro abbracci. Ma non fu possibile: Isabelle non  sembrava volere più la stessa cosa.
«Mh, okay» mormorò Harry, «ti accompagno a letto e vado via.»
«Non fa nulla, vado da sola», rispose la ragazza.
«No, non è un problema. Voglio farlo come le altre sere, sto più tranquillo, soprattutto se stai ancora male.»
Eppure Isabelle non stava male perché la febbre non era ancora passata, ma semplicemente per il fatto che una stupidata telefonata aveva rovinato quella dolce armonia che tra di loro si era creata. Ma allo sguardo supplichevole di Harry non riuscì a resistere ed accettò di essere accompagnata a letto, proprio come tutte le sere in quegli ultimi giorni: Isabelle si rannicchiava sotto le coperte del suo letto, lui le rimboccava le coperte, proprio come si fa con i bambini, poi si sedeva un po' con lei, le stringeva le mani, le baciava la fronte e quando si addormentava andava via.
Anche quella sera Harry le rimboccò le coperte e le baciò la fronte, ma dopo lo sguardo che le rivolse, Isabelle non riuscì a lasciarlo andare via. E lui non voleva andare via, non quella notte. Le accarezzò il viso, chinandosi per baciargli ancora una volta il viso, la guancia; Isabelle strinse la mano attorno alla sua nuca, trattenendolo a sé.
«Stenditi con me», sussurrò la ragazza.
Harry annuì, abbassandosi per togliersi le scarpe. Lei lo guardò in silenzio, spostandosi sul letto quando lui alzò le coperte per mettersi al suo fianco. Le braccia forti e muscolose di Harry strinsero il corpo di Isabelle, lo avvicinarono al proprio, lo tennero al caldo e al sicuro.
Entrambi tacquero per un po', perché poi forse da dire non c'era così tanto. Harry stava pensando alle ragioni per cui Isabelle si fosse di colpo incupita, o ai motivi per cui in quella settimana si erano ritrovati ad affrontare silenzi difficili ed ostinati. Mentre Isabelle pensava che nonostante tutto, nonostante il fastidio provato poco prima, le era bastato stringerlo pochi secondi, un bacio sulla fronte, uno sguardo tranquillo, per sciogliersi e volerlo ancora al suo fianco; pensò che non le piaceva l'influenza che quel ragazzo, in quell'ultimo periodo, aveva su di lei, la faceva sentire fragile, troppo fragile.
«Me lo dici che succede?» disse Harry dopo un po'.
Voleva sapere cosa l'avesse tenuta triste per tutta la settimana, cosa le avesse strappato quei sorrisi tanto belli che le coloravano il viso, cosa l'aveva turbata e cosa non l'aveva fatta dormire la sera. Voleva poi sapere perché se quando era arrivato stava sorridendo, era felice, e alla fine si era incupita.
Isabelle strofinò la guancia sul petto di Harry, stringendosi di più a lui e pensando alla risposta che avrebbe dovuto dargli.
«Chi era al telefono?» rispose a quel punto di rimando.
«Georgina.»
«E cosa voleva?»
«Abbiamo un lavoro per l'università da completare insieme», le spiegò.
Lei non gli disse più nulla, tacendo ancora una volta il fastidio che provava immaginandoli insieme. Non riusciva ad accettare che lui potesse passare del tempo con Georgiana, ma al tempo stesso non riusciva ad accettare a sé stessa che questa cosa la infastidisse anche più del dovuto.
«Sei gelosa?» le chiese a quel punto Harry.
Ma lei scosse il capo e si strinse di più al suo petto, chiuse gli occhi e gli lasciò intendere che non avrebbe parlato d'altro, che voleva dormire e restare così: abbracciati tra di loro e tra il silenzio.
Harry la guardò addormentarsi, guardò il suo respiro diventare più profondo e regolare, la vide stringere la sua maglietta, il suo corpo, la vide lasciarsi cullare.
Che lui l'aveva capito che a Isabelle non piaceva Georgiana, aveva visto più volte il suo viso incupirsi quando fra i paraggi c'era lei, o quando anche solo veniva pronunciato il suo nome.
Eppure non capiva il perché, in fin dei conti lui era sicuro che nessuno avrebbe mai preso il posto di quella dolce ragazza che dormiva abbracciata al suo petto in quel momento; nessuno sarebbe mai stato quello che lei era per lui.
«Piccoletta, sei così importante per me», sussurrò.
Perché lui credeva che lei non l'avrebbe sentito, ma ad Isabelle arrivarono comunque quelle parole nonostante si svegliò convinta che stesse semplicemente sognando.

Il giorno dopo Isabelle si svegliò da sola nel suo letto: Harry era andato via in piena notte, dopo averla guardata dormire per così tanto tempo da perderne la cognizione.
Il giorno dopo Isabelle si svegliò e pensò che le mancava.
Nonostante si fossero visti soltanto il giorno prima, nonostante si fossero tenuti stretti per quasi tutta la notte, si era svegliata con un buco nello stomaco e la sensazione di aver sognato quelle parole, si era svegliata con la voglia pazza di rivederlo.
Quella mattina stava meglio, o forse era semplicemente perché voleva rivedere Harry e quindi non importava come stesse, non poteva aspettare la sera; sarebbe andata all'università, con o senza febbre, pur di rivedere Harry.
E fu quando lo vide da lontano, con gli occhiali da sole sul viso, le mani dentro le tasche dei suoi jeans stretti, le Vans ai piedi, l'aria spavalda sul viso ed un sorriso più bello del sole, che il buco nel suo stomaco divenne più grande, quasi fastidioso. Aveva una vaga idea sul perché di quella sensazione, ma non vi badò poi più di tanto.
Affrettò il passo, mentre lui girava il viso e la notava, le sorrideva, allargava le braccia e le faceva cenno di non badare a niente, ma di abbracciarlo forte. Non c'erano Manuel e Simon a guardarli, non c'era tutto il resto del campus lì intorno a loro, non c'era nemmeno Nichole che aveva sorriso e chiamato il nome di Isabelle non appena l'aveva vista; in quell'istante per Isabelle c'era Harry e per Harry c'era Isabelle, tutto il resto era solo una presenza sfocata.
«Ehi», le sussurrò Harry all'orecchio.
Il corpo di Isabelle si era stretto al suo quasi a mischiarsi e a diventare una cosa sola.
«Ciao, Harry», lei rispose.
La mano del ragazzo raccolse il viso di Isabelle e si chinò a baciarle la guancia, dolcemente e senza fretta. Il tempo per loro non contava più in quei casi.
«È passata la febbre?» le domandò.
«Sto molto meglio» annuì alle sue stesse parole, «e grazie ancora, anche per essere rimasto ieri notte.»
Si accarezzarono ancora un po', fin quando ripresero conoscenza del mondo attorno a loro, degli altri che li guardavano e si chiedevano perché tutto quell'affetto,  del tempo che stava passando e loro dovevano correre a lezione. Così, si allontanarono e con un cenno timido della mano, un ci vediamo dopo, Harry andò via e Isabelle rimase a guardarlo allontanarsi.
Nichole le parlava, ma lei non sentiva.

Harry camminava in fretta verso la sua aula, Manuel di fianco a lui che non lo lasciava andare e lo tartassava di domande.
«C'è qualcosa tra di voi?» insistette.
Harry non rispose. Non c'era nulla tra di loro, ma non erano comunque affari di Manuel.
«Siete stati a letto insieme?» continuò.
Harry lo guardò con gli occhi sgranati, sconvolto.
«No! Sei impazzito?» rimproverò l'amico.
«No? E allora cos'era quello?»
Il ragazzo dai capelli ricci scosse il capo ed accelerò il passo; voleva solo andare a lezione e liberarsi di tutte quelle domande troppo invadenti e troppo personali.
«Quello cosa?»
«Quell'abbraccio, tutto quell'affetto. Ti è praticamente saltata addosso!» strillò Manuel.
Continuarono a camminare in fretta, Harry senza intenzione di dargli una risposta concreta, Manuel invece senza intenzione di lasciarlo andare. Non si sarebbe arreso, avrebbe insistito fino a fargli confessare qualcosa, perché lui conosceva abbastanza bene Harry da sapere che legami come il suo con Isabelle non erano semplice amicizia.
«In questi giorni è stata male, sono andata a trovarla, perché siamo amici e ci sta che gli amici si vanno a trovare quando ne hanno bisogno», sbottò in risposta Harry.
«Non sei mai venuto a trovarmi quando sono stato male.»
«Non è lo stesso.»
Manuel rise, fermandosi nei suoi passi.
Harry continuò a camminare, ma quando si accorse che il suo amico non lo stava più affiancando si voltò a guardarlo.
«Che c'è?» gli chiese, sentendo i suoi occhi addosso.
«Tu vuoi andare a letto con lei, non è vero?»
Manuel lo guardava ammiccando, convinto al cento per cento delle sue parole. Nessuno gli avrebbe tolto dalla mente quell'idea e sapeva anche che non si sbagliava affatto. Segretamente pensò che se Harry non l'avesse fatto, se non fosse andato a letto con quel viso d'angelo che era Isabelle, e se non avesse avuto quel rapporto tanto intimo con lei, ci sarebbe andato volentieri lui a letto insieme; ma questo non lo disse affatto, sapeva che Harry l'avrebbe preso a mazzate.
«Siamo solo amici, non voglio andare a letto con lei», borbottò in risposta quest'ultimo.
«Sì, certo. Ed io sono il papa.»
Harry sospirò. Iniziò a pensare a come in quei giorni si era sentito vicino alla sua migliore amica, a come si era sentito nell'averla tanto in contatto. Le mani legate, gli abbracci, il dormire a letto insieme, tutti i baci apparentemente innocui, ma che infondo avevano inculcato nella mente di Harry certe idee assurde. Ricordò di come due sere prima aveva dovuto spingersi sotto l'acqua gelida per dimenticare il modo in cui, mentre lei dormiva, la camicia da notte le si era alzata ed aveva lasciato scoperte le sue gambe, le cosce, persino la parte inferiore dei suoi glutei.
Ma si rifiutava tassativamente di ammettere la sua attrazione, anche a sé stesso, figuriamoci a Manuel.
«Sono in ritardo a lezione. Smettila di pensare a queste assurdità», disse allora, deciso a non riaprire più quell'argomento.
Poi andò via, scuotendo il capo per tutte quelle idee che gironzolavano nella sua testa.

_____
Ehilà!
Ieri il trailer, oggi il capitolo, spero vi faccia piacere :)
Ad ogni modo, non ho nulla da aggiungere, quindi vado ahaha
A presto, endless love. xx

Il rumore del silenzio [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora