9. Il peccato dell'innocenza

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"C'è una sottile differenza tra l'essere donna ed il risultare volgare

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"C'è una sottile differenza tra l'essere donna ed il risultare volgare."

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C'era la musica che rimbombava forte dentro quel locale, che gli occhi di Isabelle non riuscivano bene a focalizzare a causa delle luci soffuse e colorate. Era un nuovo pub in quella zona, eppure era già pieno zeppo di gente pronta a divertirsi, ad ubriacarsi, a perdere i sensi, in qualsiasi momento. Isabelle si guardava attorno un po' scombussolata: la musica forte le penetrava i timpani e non dava spazio alla sua mente di elaborare qualsiasi sorta di pensiero; c'era solo la possibilità di sentire quel rumore frastornato, ma fino a che le teneva lontani tutti i suoi sgradevoli pensieri, non le dispiaceva.
Alla fine, frugando nell'armadio di Nichole, aveva trovato un vestito che non avrebbe mai pensato di poter indossare; eppure, dinanzi allo specchio e con la spinta estrema della sua migliore amica, si era dovuta ricredere.
Un vestito aderente alle sue forme, in velluto bordeaux, con un'abbondante scollatura, che sicuramente non sarebbe passata inosservata, un po' come tutto il resto del suo corpo completamente messo in risalto dal tessuto stretto di quel vestito. Sembrava essere stato creato appositamente per il suo corpo, per le sue forme.
«Diamine Bel, te lo regalo. A me non sta così bene», le aveva detto Nichole.
Un complimento che aveva fatto colorare le gote di Isabelle di un colore simile al rosso, ma non troppo acceso.
Sotto gli occhi degli altri aveva iniziato a sentirsi un tantino più sensuale con quell'abito addosso. Non era mai stato suo volere apparire più provocante, ma quella sera non le dispiacevano un paio di occhi in più, soprattutto perché tra quegli sguardi aveva notato anche quello di Harry.
Quest'ultimo era arrivato da poco, ma l'aveva subito cercata tra la gente e quando era riuscito ad individuarla non aveva avuto modo di andare da lei per salutarla: Manuel l'aveva strattonato per la manica del suo giubbotto di pelle e l'aveva costretto a venire con lui per ordinare qualcosa da bene e, perché no, provare a colpire qualche ragazza.
Per loro era facile, erano così belli che la cosa difficile era non trovare qualche ragazza disponibile a stare con loro, anche solo per flirtare, non necessariamente per andarci a letto insieme, o intraprendere chissà quale conoscenza impegnativa, che nessuno dei due, né Harry e né Manuel, era ancora disposto ad affrontare.
«Manuel, dai, non mi va stasera», aveva borbottato Harry.
Si stava lamentando perché l'amico non aveva smesso neanche per un minuto, da quando si erano incontrati, di provare a convincerlo a passare una notte di fuoco con qualche ragazza.
«Andiamo! Da quando sei tornato dall'America sei diventato improvvisamente casto.»
«Sai che anche in America non mi piaceva andare a letto con chiunque», rispose Harry.
Manuel alzò gli occhi al cielo, chiedendosi fra sé e sé che genere di problemi avesse il suo migliore amico per essere così ostinato nel fare sesso con le ragazze.
«Sì, sì, non ci vado a letto se non mi colpisce e bla bla bla. Tutte quelle cazzate, ho capito», disse allora, cercando di imitare la voce di Harry.
Manuel con un cenno della mano chiamò il barista, ordinando poi i primo due drink che gli passarono per la mente; gli occhi verdi dell'amico lo stavano fulminando, ma a lui poco importava; lui era diverso, gli bastava che una ragazza fosse sexy ed avesse delle belle labbra per portarsela a letto.
Harry tornò a guardarsi intorno, cercando un volto che conosceva piuttosto bene, ma la confusione era aumentata ancor di più e tutto quello che riusciva a vedere in giro erano ragazze senza pudore, estremamente scoperte.
«Che cerchi, amico?» gli chiese allora Manuel.
«Niente», rispose soltanto.
Afferrò il suo drink dal bancone, mandandone giù un lungo sorso. Il sapore dell'alcol pizzicò la sua lingua e bruciò nella sua gola, così strinse gli occhi.
«Harry», lo chiamò, Manuel. Il tono della sua voce basso e serio.
«Che c'è?» rispose.
«L'hai vista?»
E con il bicchiere alle labbra Harry si arrestò, rimase immobile e non si mosse più. Era rimasto incantato, ancora una volta. I suoi occhi avevano finalmente trovato il viso che non aveva smesso di cercare nemmeno per un istante dal momento in cui l'aveva persa di vista.
«Sei ancora sicuro di non volertela portare a letto?»
Ma Harry non lo stava ascoltando.
C'è una sottile differenza tra l'essere donna ed il risultare volgare; e Harry lo capì soltanto in quel momento, quando i suoi occhi si poggiarono su di lei, Isabelle. Rimembrò tutte le ragazze con cui era stato o che aveva conosciuto: nessuna di queste era stata anche lontanamente donna di quanto lo era Isabelle.
Restò a fissarla e bastò poco perché lei si accorgesse del suo sguardo pungente; allora si mosse imbarazzata, cercando di attutire quella sensazione di intimidazione provocata dalle iridi verdi e travolgenti di Harry.
Per la mente di lui passarono pensieri inopportuni, immagini che non avrebbe mai creduto di poter immaginare. Lei era sempre stata la piccola, la bambina, non qualcuno con cui condividere un letto, un legame. Ma il vestito che le si alzava sulle gambe mentre cercava di sistemarsi meglio sulla poltrona, appoggiata con i gomiti al tavolo dove erano sedute lei, Nichole e Heaven, e con lo sguardo rivolto a lui, lo spingeva a viaggiare con la mente in mondi proibiti per la sua sanità mentale.
Harry mandò giù diversi shots, doveva liberarsi di tutti quei pensieri inopportuni ed imbarazzati.
Isabelle, invece, aveva anche lei bevuto un po', ma dall'altro lato la sua coscienza era ancora ben attenta agli occhi del ragazzo che conosceva da tempo, che non la lasciavano respirare in pace nemmeno un secondo. Non si era mai sentita così agitata e confusa sotto lo sguardo di Harry, ma forse era semplicemente perché lui non l'aveva mai guardata come stava facendo quella sera. I suoi occhi le stavano dicendo qualcosa, qualcosa che Isabelle sapeva che era meglio se non capiva. Per questo motivo cercò di fingere indifferenza e continuò a spettegolare con Heaven.
Harry non rispose a Manuel, ma lo penso: no, non sono più sicuro di non volermela portare a letto.
Si sentiva uno stolto a pensare qualcosa di simile, perché sapeva quanto fosse sbagliato dal suo punto di vista; si proclamava tanto un bravo ragazzo, sempre con intenzioni serie e l'interesse di andare a letto con qualcuno solo in determinati casi, casi di cui Isabelle non faceva parte; eppure, quella sera il cervello gli stava andando in fumo. Sarà stato per colpa del viso ingenuo e gentile della sua amica, che in qualche modo contrastava completamente con l'aspetto sensuale che le conferiva quel vestito: il peccato dell'innocenza, pensò Harry.
Era proprio un peccato poterla guardare, ma doversi limitare a quello soltanto.
Cercò allora di distrarsi, si mischiò fra la gente e seguì il consiglio di Manuel, quello di cercare qualcuno su cui sfogare i suoi assurdi pensieri. Lo sapeva, non era coerente con sé stesso e con ciò che sempre diceva, ma in quel momento sembrava essere l'unica soluzione.

Il rumore del silenzio [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora