"E tremarono entrambi, mentre lei piangeva e lui raccoglieva le sue lacrime. Si amavano come due pazzi, ma era l'amore più vero di sempre."
-L'umore di Isabelle era decisamente cambiato, mentre preparava le valigie per andare via. Aveva già prenotato un biglietto aereo che le era costato pure un occhio della testa, ma comunque non gli era importato. Aspettava solo il momento in cui avrebbe rivisto Harry e quel ti amo gliel'avrebbe detto guardandolo negli occhi. Nemmeno lei riusciva a crederci ancora, le era uscito in un modo tanto spontaneo che non se ne era neanche accorta ed era una sensazione assolutamente magnifica.
Stava buttato i vestiti alla rinfusa dentro la valigia quando sua madre bussò alla porta.
«Fai le valigie?»
Isabelle le rivolse uno sguardo per poi annuire, un po' dispiaciuta.
Aveva conosciuto quella madre che non aveva mai avuto, aveva passato del tempo con lei, se pur poco, e aveva riscoperto una donna ed una madre magnifica. Nonostante non riuscisse ancora ad assimilare che Cassandra fosse proprio la donna che l'aveva messa in vita e nonostante non riuscisse ad accettarne a pieno il fatto, apprezzava i suoi sforzi e le era grata per questo. Le avrebbe concesso sicuramente un'altra occasione per stare insieme in veste di madre e figlia. Ma quella volta non aveva più tempo, Harry la stava aspettando.
«Sì, torno a casa.»
«Di già?»
Isabelle annuì ancora, chiudendo la cerniera della valigia. Le restava solo di rimettere a posto gli oggetti dal bagno.
«Torni da Harry», disse poi sua madre.
Alllra, Bel si fermò nei suoi passi e la guardò. Sì, stava tornando da lui e non vedeva l'ora.
Quando ti innamori di qualcuno, quel qualcuno diventa irrimediabilmente la tua casa. Tempo prima, a loro, era servita la lontananza per fargli capire che non erano semplici amici e ancora una volta, la lontananza aveva permesso loro di capire che si amavano, che ormai erano incapaci di stare uno lontano dall'altro.
«Harry è la mia casa.»
Cassandra sorrise alle parole di Isabelle e aprì le braccia, invitando la ragazza a stringerla in un abbraccio. Il calore di una madre lei lo sentì in quel momento, più forte che mai.
Dopodiché, la donna lasciò Isabelle a finire di sistemare le sue cose, mentre lei andò in cucina a preparare la colazione.
Smeralda e Stefano stavano ancora dormendo e quella casa era decisamente troppo silenziosa. Giorgio invece, il compagno di sua madre, stava leggendo il giornale seduto in cucina, mentre nel frattempo beveva una tazza di caffè e guardava la sua donna entrare e rimboccarsi le maniche per preparare loro la colazione.
«Come sta?» le domandò l'uomo.
Cassandra gli rispose che Isabelle stava bene, ma poi, con tristezza, aggiunse che stava andando via. Il tempo insieme a sua figlia non era stato abbastanza a riempire il vuoto di una vita lontana da lei, a compatire i sensi di colpa, a dirgli tutta la verità che ancora non le aveva detto, assicurandosi di non perderla ancora.
Isabelle, nel frattempo, chiuse tutte le sue cose e dopo aver indossato le scarpe, uscì dalla stanza per avviarsi in cucina. Si fermò però prima ancora di poter entrare: Cassandra e Giorgio stavano bisbigliando qualcosa.
E lo sapeva che non avrebbe dovuto origliare, eppure non poté farne a meno.
«Gliel'hai detto?» domandò lui.
Lei non rispose, ma dal silenzio che calò in quella stanza e pur non potendolo vedere, nascosta dietro la soglia della porta, capì che la sua risposta non era positiva.
«Perché non ancora? Se ne andrà oggi, lei deve sapere.»
Isabelle deglutì. Cosa doveva sapere? Cosa le stavano nascondendo? E soprattutto, perché c'era altro da sapere? Non era stato già abbastanza tutto quello che aveva dovuto passare?
«Non posso dirglielo così, con leggerezza. Capisci che non è una cosa di poco conto e io non voglio perderla ancora. Ci siamo ritrovate da poco», rispose Cassandra, con l'agitazione presente nella sua voce.
Bel se ne stava in silenzio, cercando di capire quale altra verità non le fosse stata detta, immaginando qualsiasi ipotesi possibile, eppure non le veniva niente in mente.
Ma adesso che li aveva sentiti, non se ne sarebbe andata senza averlo saputo. E quasi sul punto di entrare in cucina e chiedere spiegazioni, la voce di Giorgio la interruppe.
«È anche mia figlia, Cassandra. Lei deve saperlo.»
E per un istante, la realtà di Isabelle si fermò di colpo.
È mia figlia, la voce di Giorgio ripeteva quella frase milioni e milioni di volte dentro la testa della ragazza. Aveva paura che presto le sarebbe scoppiato il cervello, non riusciva a crederci.
Aveva passato la vita a credere su una cosa, a credere che quell'uomo che era stato anche ostile e severo con lei, fosse suo padre. L'aveva odiato perché non era stato presente, perché non c'era stato quando Cassandra l'aveva abbandonata. Aveva odiato un uomo che nonostante non avesse nessun legame con lei, l'aveva però cresciuta e si era preso cura delle sue ginocchia sbucciate, delle sue ferite, aveva consolato i suoi pianti, gli aveva fatto promesse e poi le aveva mantenute, gli aveva dato baci sulla fronte e buonanotte incerti.
La sua vita era stata basata su una menzogna.
Allora, smise di restare nascosta ed entrò in cucina, con gli occhi lucidi ed il respiro pesante.
«Tu sei mio padre?»
Sia Giorgio che Cassandra si voltarono di scatto a guardarla. Il piatto di porcellana che la donna teneva fra le mani, cadde a terra, distruggendosi in un milione di pezzi. Quel rumore ricordò tanto ad Isabelle il suono che il suo cuore aveva fatto quando rivide sua madre dopo anni; le si era spezzato, adesso era in bilico sul farlo ancora. Bastava solo una parola.
«Isabelle...» sussurrò Cassandra.
La ragazza rimase immobile, davanti a loro e con le braccia tese lungo i fianchi. Nella sua testa viaggiavano mille pensieri a velocità sovrumana, non sapeva neanche da dove iniziare per realizzare e metabolizzare la cosa.
Giorgio si alzò dalla sedia, portando le mani in avanti, quasi come in segno di difesa. Ma lui era colpevole tanto quanto sua madre. Lui sapeva e chissà da quanto ma nessuno le aveva mai detto nulla. Non erano cose che si omettevano tanto facilmente, non erano dettagli che potevi ignorare. No, che non lo erano.
A quel punto, la rabbia sormontò gli occhi e il cuore di Isabelle.
«Che cazzo significa che tu sei mio padre?»
«Bel, ti possiamo spiegare», disse Cassandra.
«Non potete, ma dovete spiegarmi!» alzò il tono della voce, rimarcando la parola "dovete". Quella volta non si fuggiva più.
«Non sapevamo come dirtelo, ne hai già passate tante su questa storia, che non sapevamo neanche come iniziare.»
E Isabelle pensò a cosa ne sapessero davvero loro di quello che lei aveva passato. Non erano stati loro una vita senza genitori, non erano stati loro ad essere stati abbandonati dalla propria madre e a non aver ricevuto l'affetto che desiderava da un padre che poi scopriva non essere neanche realmente il suo.
«Eravamo giovani, non eravamo pronti. Non sapevamo nemmeno amarci noi, figurati amare un bambino. Io avevo tradito Richard, sono scappata. Giorgio ha saputo da poco che sei sua figlia.»
Le parole di Cassandra le arrivarono forti e chiare: lei era stata un errore, il frutto di un tradimento, qualcosa che non doveva accadere.
Non c'era spiegazione più esaustiva. Isabelle non voleva più sapere nulla.
Corse a recuperare le sue cose, raccogliendo ciò che restava in giro in fretta e furia, infilandole a caso dentro la borsa.
Era andata in Italia per placare le sue paure, trovare un po' di pace, un pizzico di serenità, e invece se ne stava andando da quella casa arrabbiata e ferita. Non erano queste le risposte che stava cercando, le verità che stava evitando.
Cassandra e Giorgio la chiamarono più volte, cercarono di fermarla, la pregarono per un attimo in più, perché lei li ascoltasse. Ma quel posto era fatto di bugie che Isabelle non aveva più la forza di svelare.
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Il rumore del silenzio [HS]
FanfictionE tacque. Tacque i suoi sentimenti. Tacque il suo amore. Restando in silenzio, un silenzio che però faceva rumore. Il rumore di un amore che nessuno ascolta, che nessuno vuol capire, che nessuno è capace di sentire. Smisero di guardarsi, ma non smis...