"Fino a che il sole sorge, forse posso averti vicino."
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Nichole aveva tormentato Isabelle per giorni interi purché l'accompagnasse ad uno spettacolo teatrale che si sarebbe tenuto quella sera; l'aveva tormentata al punto che Isabelle aveva accettato e si era rassegnata a quell'idea.
Eppure quasi a fine spettacolo le stava scoppiando la testa e non vedeva l'ora di poter tornare a casa. Le dispiaceva non poter apprezzare davvero quello spettacolo teatrale, ma la verità era che a lei queste cose non le erano mai piaciute e se quel pomeriggio si trovava lì era soltanto perché a Nichole quelle cose piacevano davvero tanto e l'aveva supplicata di accompagnarla. Poi c'era anche Harry, un motivo in più per andare, anche se Isabelle non lo avrebbe mai ammesso neanche a se stessa.
Faccio soltanto compagnia a Nichole , si diceva.
Era seduta di fianco a quest'ultima, davanti a se Harry, seduto invece accanto a Samuel; erano là dentro quella sala da quasi due ore ormai ed il mal di testa aveva preso il sopravvento, facendole pentire ancor più amaramente di aver accettato di andare. Nichole continuava a fissare con occhi sognanti gli attori che recitavano, mentre Isabelle invece non aveva capito neanche bene di cosa la trama parlasse. Si guardò attorno, controllò il cellulare, scorse qualche notizia, poi si annoiò anche di questo e lo posò via; fissò la porta d'entrata, ma era troppo lontana ed avrebbe attirato troppa attenzione su di sé, quindi abbandonò anche l'idea di fuggire via.
Harry osservava gli attori anche lui, ma non con molto interesse. Non sapeva ancora bene perché avesse scelto di andare a vedere quello spettacolo visto che a lui questo genere di cose non è che lo facessero impazzire; preferiva di gran lunga un grande televisore ed una bella partita di calcio accompagnata da una birra. O forse lo sapeva perché si trovava lì, qualcosa tipo una ragazza alle sue spalle che non sembrava trovare pace su quella scomoda sedia rossa in velluto; ma non lo avrebbe detto a nessuno, perché poi non ci capiva neanche lui più di tanto.
Isabelle lo sorprese, quando scelse di appoggiare la fronte sulla sua schiena.
«Dio mio, non ce la faccio più», mormorò lei.
Harry raccolse le mani di Isabelle, che si erano posate sulle sue spalle, per lasciare un bacio sul dorso di ciascuna.
«Che succede?», le chiese, quando lei si lamentò ancora.
Adesso l'agitava il modo in cui Harry le stava stringendo le mani, o come gliele aveva baciate; non l'aveva mai fatto, ma le era piaciuto dannatamente tanto.
«Ho un mal di testa da matti», spiegò Isabelle.
Respirò a fondo il profumo di Harry che emanava il suo corpo e soprattutto il maglione che stava indossando. Restava ancora con la fronte premuta tra le spalle di Harry e non le dispiaceva affatto restare così.
E infatti, non si allontanò da lui per il resto dello spettacolo, ma spostò soltanto la fronte, appoggiandosi piuttosto con la guancia. A volte alzava il capo e si azzardava caparbiamente a lasciare qualche bacio sul collo del ragazzo. Ad Harry non dispiacque affatto, ma amava in segreto sentire quel calore e quell'affetto che lei trasmetteva.
Fin quando le luci si accesero, le lunghe tende rosse si chiusero ed un boato di applausi si accesse, segnando la fine di quella rappresentazione teatrale. Isabelle buttò fuori un lungo respiro di sollievo, pensando che finalmente poteva tornare a casa e cercare di farsi passare quell'infernale mal di testa.
Nichole esultava e continuava a parlare, o meglio a torturare, con Samuel dicendogli quanto fosse stato bello quello spettacolo ed elencandogli tutti i particolari e le battute che le erano più di tutto piaciute. Mentre Isabelle si avvicinò ad Harry e senza pensarci due volte legò le braccia attorno al busto del ragazzo e nascose il viso nel suo petto. Harry era tanto più alto di lei che a volte si sentiva talmente piccola dinanzi a lui, tipo in quel momento. Ma quella sensazione di piccolezza accresceva soltanto di più la sua voglia di sprofondare tra quelle braccia così calde ed accoglienti.
Le accarezzò i capelli con una mano, mentre con l'altra le sfregava la schiena. Poi le regalò un tenue bacio sulla fronte e lei mugolò perché quel contatto, per pochi attimi, sembrò alleviare quel senso di pesantezza che le tormentava la testa.
«Ti porto a casa?»
«Sì, per favore».
Si allontanarono l'uno dall'altro, Isabelle per recuperare la giacca e la borsa che aveva lasciato sulla poltroncina in cui si era seduta, Harry per avvertire gli altri che stavano andando via. Nichole chiese loro se fossero sicuri di non voler andare a cena insieme, ma Isabelle stava davvero male ed Harry voleva accompagnarla costi quel che costi.
Si allontanarono insieme, in silenzio, distanti ma non troppo, per poi salire in auto. Harry guidò fino a trovarsi dinanzi il palazzo di Isabelle, nel totale silenzio. C'era qualcosa che ronzava nella testa di entrambi, qualcosa legata alla confusione scaturita dalle loro precedenti carezze durante lo spettacolo, le mani strette, i baci sul collo, e scaturita anche dal desiderarne ancora, desiderarne troppo.
Si guardarono quando Harry spense l'automobile; Isabelle teneva la testa appoggiata sullo sportello, il corpo girato verso di lui, che invece la fissava con la fronte corrugata.
«Come stai?», le chiese.
«Male, penso di avere la febbre», sussurrò Isabelle.
Lui si allungò, per afferrarle un braccio ed invitarla dolcemente a sedersi sulle sue gambe, invito che Isabelle colse al volo, perché amava poterlo avere tanto vicino.
Si rannicchiò su di lui, avvolgendo con le braccia il suo collo; Harry le sistemò i capelli dietro le spalle, baciandole anche la punta del naso e stringendola forte contro di sé.
In quell'istante, mentre lei chiudeva gli occhi e si abbandonava a lui, pensò che avrebbero potuto togliergli tutto, ogni cosa e lasciarlo spoglio di niente, ma non avrebbero mai potuto portargli via lei, la sua piccoletta, perché se solo sarebbe successo, l'assenza l'avrebbe devastato.
Era questo che lui non capiva: com'era possibile sentirsi tanto legato ad una ragazza che solo fino a poco tempo prima considerava come una ragazzina semplicemente troppo bella, ma non altro se non una buona amica; come e quando era successo che il cuore aveva preso a battergli tanto forte? Non se lo spiegava.
E intanto però continuava a stringerla, perché sì, perché in quel momento era giusto.
«Forse dovrei andare», mormorò Isabelle, con la bocca premuta sul collo di Harry.
Forse doveva, ma non voleva. Ultimamente non capiva cosa le stesse accadendo, ma tutti i devo con Harry erano diventati dei forse.
Forse posso abbracciarlo, forse posso dirgli che mi manca, forse posso chiedergli di restare.
Isabelle si allontanò, ma soltanto di poco, soltanto per guardarlo negli occhi. Lui le accarezzò una gamba, facendo sì che il corpo di lei si inondasse di brividi.
Da quando si erano scambiati quella promessa, un paio di settimane prima, le cose erano un po' cambiate: si erano avvicinati, avevano legato più di prima, c'erano state più coccole, ma anche più silenzi, quasi come se parlare fosse diventato meno importante di guardarsi e toccarsi come solo loro sapevano fare.
«Ti accompagno?» una domanda che sembrava tanto più un'affermazione.
Isabelle a quello sguardo non seppe dire di no, alla voglia di tenerlo ancora un po' con sé non seppe dire di no, al bisogno di abbracciarlo un'ultima volta non fu assolutamente capace di dire di no.
Così annuì e lui la seguì. Salirono in silenzio le scale, mano nella mano, ma Isabelle non fece in tempo a salire l'ultima rampa che i suoi passi si erano fermati e i suoi occhi si erano scontrati con quelli di una donna che lei così bene e così male conosceva: sua madre.
Era ferma davanti a loro, con le mani strette attorno alla cinghia della sua borsa, lo sguardo quasi timoroso; quella donna sapeva che la sua presenza lì non era poi così gradita, sapeva di aver commesso errori in passato, sapeva che gli occhi di sua figlia non avrebbero brillato vedendola.
Quest'ultima si voltò verso Harry, che le stringeva ancora la mano e le accarezzava le spalle con l'altra, chiedendole perché si fosse fermata.
«Ti chiamo più tardi, okay?» gli disse.
«Chi è quella donna?» sussurrò Harry, avvicinandosi al viso di Isabelle.
La ragazza deglutì, ma non gli rispose, soltanto gli accarezzò il viso con una mano e alzandosi sulle punte dei piedi lo baciò sulla guancia.
«Sta tranquillo» sussurrò lei a sua volta e con un accenno di sorriso lasciò andare la sua mano.
Harry annuì e le diede un ultimo sguardo prima di voltare le spalle e lasciarla andare.
Isabelle, lentamente, salì l'ultima rampa di scale che la separava da quella donna che l'aveva portata in vita, ma che lei a stento riusciva a riconoscere. L'una difronte all'altra si guardarono, Isabelle stringeva il mazzo di chiavi tra le dita, la testa che ancora le martellava, la sensazione di febbre ancora addosso, mentre sua madre continuava a stringere la borsa e a guardarla con occhi spaventati.
«È il tuo ragazzo? Molto bello», tentò la donna con un sorriso.
Ma Harry non era il suo ragazzo e a Isabelle non importava a prescindere il suo parere.
«Non sono affari tuoi», ringhiò.
Sua madre, il cui nome faceva Cassandra, deglutì, consapevole di essere colpevole e che quello sguardo infiammato che la figlia le stava rivolgendo era meritato. Isabelle era solo una bambina quando lei l'aveva abbandonata.
«Che cosa vuoi da me? Chi ti ha detto dove trovarmi?»
«Tuo padre» le rispose.
E ovviamente Isabelle non poteva che aspettarselo. Chi altro sapeva se non lui, che continuava a mandarle degli assegni mensili nonostante lei puntualmente glieli rimandasse indietro, che era lì che abitava?
Non amava i suoi genitori, non come avrebbe dovuto, brutto da dire e da pensare, ma quella era la verità.
Isabelle sapeva che suo padre le mandava quegli assegni soltanto per mettersi a posto con la propria coscienza, ma non perché realmente le importasse di sua figlia: quei "pezzi di carta" non erano altro che un alibi per difendere sé stesso dalle accuse di non essere mai stato un buon padre per lei.
La ragazza però non sapeva perché la madre adesso si trovasse lì, ma a distanza di così tanti anni, detta francamente, non le interessava più.
Se talvolta si concedeva di pensare ai suoi genitori e alla sua mancata famiglia era solo per tristezza, ma non per desiderio di riaverla indietro.
«Okay, adesso che mi hai trovata, te ne puoi andare da dove sei venuta», disse Isabelle.
Cassandra guardò la figlia sempre con gli stessi occhi supplicanti di un po' di pietà e di perdono.
«Sono qui per te», disse a bassa voce.
Ma alla ragazza quelle parole arrivarono forti e chiare, limpide come l'acqua, anche se furono più un tuono nella sua testa. Cassandra era lì per lei, sua madre era lì per lei, ma Isabelle non voleva più averla lì. Era cresciuta, si era fatta donna ed aveva maturato quella rabbia nei confronti di quella donna che l'aveva abbandonata; aveva chiuso le porte al suo passato senza intenzioni di riaprirle un giorno.
Isabelle, a quel punto della sua vita, non voleva che sua madre fosse lì per lei.
«Sei qui per me sedici anni dopo?» esclamò, «E dov'eri quando da bambina chiedevo a papà di te? Dov'eri quando lui ha fatto entrare con la forza nella mia vita una donna che ha sempre dettato su di me assurde pretese senza venirmi assolutamente niente? Dov'eri quando ho scelto di andare via da sola perché io non sono mai stata figlia di nessuno?!» urlò.
Era furiosa, era cieca di rabbia. Quella vita lei non se l'era scelta, né tantomeno quella solitudine, eppure aveva imparato a viverci bene, ad apprezzarla; Isabelle non accettava che adesso sua madre fosse lì per lei.
«Mi dispiace» disse sua madre, tentando di dire altro, ma senza riuscirci perché Isabelle gli stava urlando ancora una volta contro.
«Non dire che ti dispiace! Non lo dire perché non ti credo! Sei una vigliacca, una bugiarda e a te di me non è mai importato nulla! Se c'è qualcuno qui che deve dispiacersi, quella sono io; mi è sempre dispiaciuto avere una madre così!» gridò un'ultima volta.
Poi in fretta la superò, aprì la porta del suo appartamento ed entrò.
«Non tornare a cercarmi mai più», ringhiò prima di sbatterle la porta in faccia senza guardarla neanche.
E al sicuro, nel suo appartamento, Isabelle si guardò attorno, sentendo l'angoscia salirle addosso: la borsa palle cadde dalle spalle e lei scivolò sul pavimento insieme ai pezzi del suo cuore che cadevano a terra con lei.
Si portò le mani tra i capelli e pianse, come non faceva da anni, spezzata e devastata.Era tarda notte quando Isabelle aprì gli occhi. Le faceva male il collo perché si era addormentata malamente sul divano, aveva gli occhi gonfi dal pianto e continuava a tirare su con il naso. Dopo tutto quello che era successo si era dimenticata anche a misurare la febbre, ma non si sentiva comunque molto bene; il mal di testa persisteva e aveva iniziato anche a sentire freddo, tutti tipici sintomi da febbre.
Si alzò dal divano, stringendosi nella sua felpa e rimettendo a posto i cuscini, spense la tv e la luce prima di andare in camera sua. Si sentiva svuotata, stanca e voleva soltanto tornare a dormire, anche se poi così sonno non aveva più.
Entrando in bagno cercò tra gli sportelli un termometro ed un'aspirina, poi si infilò tra le coperte del suo letto. Brividi di freddo le ricoprirono la pelle, tanto che Isabelle si strinse al petto un cuscino in più nel tentativo di riscaldarsi. Una volta toltasi il termometro vide che la sua temperatura segnava poca febbre, ma comunque presente; allora mando giù l'aspirina, stringendo gli occhi per il sapore in parte troppo dolce ed in parte aspro. Rigirandosi nel letto provò ad addormentarsi ancora, ma da un lato non ci riusciva affatto e dall'altro il suo cellulare stava vibrando sul comodino segnando l'arrivo di un messaggio.Un nuovo messaggio - 01:07
Da: Harry
Come stai? Non mi hai più chiamato. HxxIsabelle sospirò. Dopo tutto quello che era successo si era completamente dimenticata che gli aveva promesso che l'avrebbe chiamato; d'altronde lui era stato così gentile e premuroso da riaccompagnarla a casa personalmente dopo lo spettacolo.
Messaggio inviato - 01:08
A: Harry
Scusami, mi sono addormentata. Comunque, ho solo un po' di febbre.
E grazie per avermi accompagnata a casa. xxNon passarono neanche due minuti, che Harry la stava già chiamando. Era rimasto per tutta la sera ad aspettare che lei lo chiamasse e alla fine aveva rinunciato all'attesa inviandole quel messaggio, ma adesso voleva sentirla davvero tanto, almeno solo per poco, il tempo di una buonanotte.
Isabelle rispose subito.
«Ehi», disse, strofinandosi le tempie con le dita.
«Non pensavo di trovarti sveglia» rispose lui.
«Sì, mi sono svegliata appena pochi minuti fa e adesso non riesco più a dormire», spiegò lei.
Guardò il soffitto, Harry fece lo stesso, disteso sul letto di casa sua, ancora vestito e con le gambe incrociate, una mano dietro la testa e l'altra a tenere il telefono. Rimasero in silenzio per pochi minuti.
«Non mi hai detto come stai», disse lui poi.
«Sì, ti ho detto che ho solo un po' di febbre».
«Non è lo stesso».
Isabelle restò in silenzio, senza parole. Sapeva che Harry aveva ragione e si meravigliò di come quel ragazzo fosse stato capace di capirla senza neanche guardarla o parlarci. Isabelle non aveva risposto alla sua domanda perché infondo non stava bene e di certo non per colpa della febbre. Harry non conosceva Cassandra, quella donna con cui aveva lasciato la sua piccoletta, ma conosceva lei e sapeva bene che non si dimenticava a chiamarlo, non si addormentava senza prima avergli mandato almeno un messaggio, non succedeva, non più in quelle ultime settimane.
«Sono stanca», decise di rispondere soltanto.
«Vuoi che stacchiamo così dormi un altro po'?»
«No, non voglio. Parla con me», quasi lo supplicò.
E lui non se lo fece ripetere due volte.
Parlano per intere ore, alternandosi ai silenzi che tanto piacevano ad entrambi.
Che nonostante fossero lontani, si sentivano così vicini.
Isabelle si addormentò dopo essersi dati la buonanotte, quando ormai mancava poco al sorgere del sole. Il tempo era passato senza che loro se n'erano resi cont0. Lei avrebbe continuato a dormire e avrebbe saltato le lezioni, ma Harry no, eppure non gli importò: preferì continuare a parlare con lei per tutta la notte e non dormire affatto.
Isabelle strinse le coperte, si nascose sotto il cuscino e chiudendo gli occhi si immaginò che il calore del suo letto era proprio quello di Harry.
Fino a che il sole sorge, forse posso averti vicino.______
Scusate l'immenso ritardo, ma scrivere questa storia si sta rivelando più complicato e non so perché :(
Ad ogni modo, spero il capitolo sia di vostro gradimento, fatemi sapere nei commenti. Vi aspetto :)
Adesso vado.
Endless love. xx
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Il rumore del silenzio [HS]
FanficE tacque. Tacque i suoi sentimenti. Tacque il suo amore. Restando in silenzio, un silenzio che però faceva rumore. Il rumore di un amore che nessuno ascolta, che nessuno vuol capire, che nessuno è capace di sentire. Smisero di guardarsi, ma non smis...