18. Fuggire

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"Lei avrebbe voluto soltanto essere capita, per questa storia e per molto altro, ma non succedeva, non succedeva mai

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"Lei avrebbe voluto soltanto essere capita, per questa storia e per molto altro, ma non succedeva, non succedeva mai.
Neanche lui, che lei lo amava, riusciva a capirla.
E allora, che senso aveva restare?
E allora, fuggiva."
-

Non si parlavano da tre settimane.
Harry e Isabelle si erano chiusi entrambi nel loro guscio fatto di incertezze e orgoglio.
Avevano smesso di parlarsi, di scambiarsi sms, di cercarsi ogni qualvolta gli era permesso, avevano smesso di sfiorarsi quando erano vicini. Ma non avevano smesso di cercarsi con gli occhi, anche solo per guardarsi ed insultarsi con lo sguardo; non avevano smesso di cercarsi fra la gente, in mezzo a gli sconosciuti. A quello non riuscivano a smettere. C'era sempre una piccola parte di loro che li spingeva a cercarsi tra la folla, che li spingeva a trovarsi per guardarsi. E anche se faceva male, vedersi e sentirsi distanti, non potevano farne a meno.
Lei non sapeva più come comportarsi. Da quando avevano litigato per Ronnie, non erano riusciti a trovare un punto di incontro. Harry per orgoglio se ne stava per i fatti suoi, la fulminava con gli occhi se li vedeva insieme, con quello sguardo come a dirle «stai sbagliando, lo sai che lui non fa per te».
Eppure Isabelle non voleva dargliela vinta. L'aveva sempre messo al primo posto, considerato più di chiunque altro, apprezzato giorno e notte. Si era lasciata toccare da lui come pochi prima di allora, si era lasciata entrare dentro come nessuno, perché lui le era entrato dritto nel cuore. E il suo cuore lo stava torturando, più che custodendo.
Non capiva il perché: che senso aveva comportarsi in quel modo, se poi alla fine non concludevano nulla? Che senso aveva dimostrarsi geloso, avere tutte quelle pretese, se poi lui per primo fuggiva?
Isabelle non aveva mai capito perché nascondere i propri sentimenti.
Spesso gli uomini dicono che le donne sono complicate, difficili, strane ed ingestibili. Ma Isabelle era sempre stata diversa; certo, non era facile da gestire, ma lei amava e non aveva paura a dimostrare quell'amore.
E impazziva quando guardava Harry e lui le gettava certe occhiate, ma non si muoveva.
Forse, in realtà, non mi vuoi a fianco? Pensava lei.
Infondo però, se ami una persona, non bisogna perdersi troppo in storie, sotterfugi o stranezze. Non servono giochetti, o strategie, basta dirlo, rischiare e buttarsi.
Ma la verità è che siamo tutti un po' codardi e preferiamo prendere e tenere stretto quel poco che abbiamo e che riceviamo, o che comunque con la forza ci prendiamo, piuttosto che rischiare di perderlo.
Quando si parla d'amore è questa la realtà. Quando si parla d'amore, o hai tutto o perdi ogni singola cosa. Il mezzo, l'essere al centro tra la possibilità di perdere tutto o di tenersi quel poco, Isabelle constatò, fa schifo.
Lei stava persino iniziando ad odiarlo. Ogni volta che lo vedeva dava di matto, si innervosiva, si infuriava, sbatteva i piedi, stringeva le mani, aggrottava la fronte fino a farle male. Non sopportava il suo comportamento da sfrontato e strafottente, non lo sopportava tanto quanto lo amava.

Si guardavano da lontano da più di un quarto d'ora, tutto il tempo a fissarsi e a lanciarsi messaggi con gli occhi.
Isabelle era seduta sul prato, con le spalle appoggiate al tronco di un albero; Ronnie, seduto a gambe incrociate davanti a lei, le stava raccontando di suo padre che ultimamente lo costringeva a fare gli straordinari per sistemare la merce nuova in arrivo. A causa di quegli straordinari, i due non si vedevano soli da un po' di giorni; non avevano avuto modo di uscire, né tantomeno di stare insieme senza nessuno intorno.
Anche in quel momento, loro si erano allontanati e seduti distanti dal resto del gruppo, ma che però non era altro che a pochi metri da loro.
Ecco perché Isabelle poteva vedere Harry dietro le spalle di Ronnie, che da quando era arrivato non aveva fatto altro che fissarli e fumarsi sigarette, una dopo l'altra.
«Vorrei stare un po' solo con te», le disse Ronnie.
Lei annuì distrattamente, ancora troppo concentrata ad interpretare lo sguardo duro di Harry.
«Oggi convinco mio papà a lasciarmi andare e ti porto al cinema, okay?»
E Isabelle annuì ancora, ma senza prestargli davvero attenzione.
Dio solo sapeva quanto Harry quel pomeriggio la stava irritando più di ogni altra volta, e quanto al tempo stesso fosse irritata da sé stessa che nonostante tutto non riusciva anche lei a smettere di guardarlo.
Ronnie, nel frattempo, le si era avvicinato, accarezzandole le gambe, tirandosele sulle sue e giocando con gli strappi sulle cosce dei jeans di Isabelle.
Gli occhi di Harry saettarono sulle mani di Ronnie, mentre pensava che se le avesse allungate ancora un altro po', probabilmente non si sarebbe fatto scrupoli ad avvicinarsi e a dargli un pugno in faccia. Stava fumando dalle orecchie e ci mancava poco che andasse seriamente a strapparlo via da lei. Proprio non sopportava di vederli così vicini e tutto questo lo incupiva, lo infastidiva, lo mandava in bestia. Soprattutto perché non riusciva a spiegarsi il perché di tutto quel suo fastidio, o forse perché in fondo lo sapeva ma non riusciva ad accettarlo.
Ad ogni modo, dovette costringersi ad allontanare lo sguardo e a sfogare la sua frustrazione sull'ennesima sigaretta. Non poteva permettersi altre stronzate, sapeva di averne già fatte abbastanza, a partire dalla sceneggiata alla quale aveva dato sfogo settimane prima in mezzo ad un parcheggio, nel buio, con Isabelle.
Sapeva di aver un po' esagerato quella sera e sapeva anche che da quel momento era stato rovinato tutto, perché se fino a poco tempo prima Isabelle ancora si lasciva abbindolare, dopo quell'occasione aveva smesso del tutto di lasciarsi toccare e convincere che lui poteva avere questo privilegio di sfiorarla. Si dava dello stupido per averla allontanata tanto.
Si odiava.
Si odiava perché non voleva essere così, non con lei, perché avrebbe voluto prendersi qualcosa che non sapeva quanto potesse custodire. Lui non era bravo nei rapporti e con lei era terrorizzato dall'idea di poter rovinare ogni cosa.
Ma la odiava, comunque.
Si odiavano entrambi, si odiavano forse tanto quanto si amavano.
E come due stupidi, non se lo dicevano.
Averlo accettato, per Isabelle, era già abbastanza. Lui non riusciva a fare nemmeno quello, figuriamoci a prendersi cura di lei.
Dopo un po', Isabelle si stancò di stare seduta sul prato con Ronnie, in un silenzio che lei davvero non riusciva ad apprezzare.
Con lui erano diversi anche questi: i silenzi.
Allora si alzarono entrambi e con una scusa, si avvicinarono al resto del gruppo, si avvicinarono a Harry.
«Che facciamo stasera? Usciamo?» domandò Nichole.
Manuel le sorrise e le pizzicò una guancia, mentre Nichole le strizzava un occhio e arrossiva.
Da quando c'era stato quel bacio alla festa di compleanno di Heaven, avevano iniziato a frequentassi e contro le aspettative di tutti, le cose tra loro stavano andando meglio del previsto. Sembrano entrambi presi ed eccitati di scoprire un interesse che c'era sempre stato, ma che in qualche modo avevano sempre soppresso. A Isabelle quei due ricordavano un po' lei e Harry, solo al contrario: loro erano passati dall'odiarsi, all'apprezzarsi, mentre con Harry avevano fatto l'esatto opposto.
«Io spero di convincere mio padre a lasciarmi andare, ma ad ogni modo, ho promesso a Bel di portarla al cinema», rispose Ronnie.
La ragazza si sentì addosso gli sguardi di tutti, in particolare le pesò quello di Harry. Si mosse imbarazzata e sorrise.
«Allora non vi disturbiamo, piccioncini», ridacchiò Nichole.
L'amica di Isabelle sapeva tutta la storia, sapeva del rancore tra lei e Harry, sapeva quello che era successo e in quel modo, voleva solo provocarlo.
Isabelle sorrise, stringendosi nelle braccia che teneva conserte al petto.
Harry strinse i pugni lungo i fianchi.
«Perché? Non possiamo venire anche noi? Ho voglia anch'io di andare al cinema», disse lui.
I suoi occhi erano fuoco contro quelli di lei.
«Non vi disturbiamo, tranquilli», proseguì,
sfidandola.
«Oh, non preoccuparti, andate pure. Volevo giusto chiedere a Ronnie di andare a cena, piuttosto che al cinema», rispose Isabelle, acidamente, per poi voltarsi verso Ronnie e rivolgergli un sorriso.
Era chiaro che stava sfidando Harry, era chiaro che gli stava dicendo di smetterla di impicciarsi, di smetterla di essere così stupido.
Ronnie notò la tensione tra i due e ne fu turbato, ma non disse nulla, si limitò ad annuire soltanto e a poggiare una mano sulla schiena della ragazza per accarezzarle la pelle.
Harry rimase senza parole, tacque e con la mente cercò di controllarsi. Doveva smetterla di reagire in quel modo.
Ripresero allora a parlare, mentre Nichole organizzava una serata al cinema al quale Harry non aveva in realtà nessuna volta di partecipare, eppure al quale si trovò costretto ad aggregarsi. Lui odiava il cinema e Isabelle lo sapeva.
Quest'ultima, dopo un po', si allontanò per andare a comprare una bottiglia d'acqua al bar poco distante da loro e anche perché aveva bisogno di respirare e di fuggire dallo sguardo di Harry.
Ma non appena uscì dal bar, notò Harry fermò lì davanti ad aspettarla.
«E quindi vai a cena con quello là?» le domandò, adirato.
Lei non gli rispose. Stava cercando qualcosa a cui appigliarsi, perché quel pomeriggio non sapeva quanto avrebbe resistito ancora prima di dare di matto completamente.
«Io non ti capisco» disse lui stizzito.
Si guardarono ancora, ma lei continuò  a non rispondere.
Isabelle erano mesi ormai che non capiva più lui, ma mai nessuno le aveva dato una risposta concreta.
«Perché ti comporti così adesso? Che ti ho fatto?»
Sembrava esasperato, stanco. Isabelle ultimamente non lo reggeva più, non sopportava più di averlo vicino, ma mai quanto e come avrebbe voluto. C'erano momenti che si sentiva soffocare e la voglia di sorridere le veniva strappata senza pietà da lui, dai suoi gesti meschini, dalla sua indifferenza e poi dalle sue assurde pretese.
Ma lei non avrebbe parlato. Mai gli avrebbe detto perché in quel momento i suoi occhi bruciavano ed avrebbe soltanto voluto piangere, ma non ci riusciva. Mai gli avrebbe detto quello che provava.
«Niente», così si limitò a rispondere.
«E allora perché fai così?»
«Io non faccio assolutamente nulla».
Niente e nulla. Un po' quello che loro erano.
Ad Harry non andava comunque bene quella risposta e si innervosì soltanto di più. Lui non capiva lei e lei non avrebbe mai capito lui.
Sbatté un pugno sul muro accanto a loro, gettandole un'occhiata infuocata.
Odiava le menzogne, odiava lei in quell'istante.
«Voglio sapere che ti prende», pretese.
Ed erano esattamente queste le assurde pretese a cui Isabelle si riferiva, quelle che la facevano imbestialire ed alle quali non riusciva a dare una valida motivazione. Non c'era ragione per Harry di pretendere determinate cose. Loro non erano niente per farlo.
«Tu da me non devi volere un bel niente», gli rispose Isabelle acidamente.
«Vedi? Smettila di fare la stronza, non ti sopporto quando fai così».
Harry corrugò la fronte, scuotendo la testa.
La verità era che lui si era così tanto abituato alle attenzioni di Isabelle, la sua dolcezza, le sue dolci parole, le carezze, gli abbracci, tutte le volte in cui lei gli aveva detto sì anche quando avrebbe preferito dire di no, che adesso che lei aveva imparato a dirglieli quei no, si sentiva perso, una mina vagante. Lei lo coccolava e lo faceva sempre sentire speciale, importante, al centro del mondo, ma in quel modo lui non era più nessuno e lei era per tutti, non più soltanto sua.
Isabelle a quelle parole scosse la testa e si allontanò; non sarebbe rimasta lì a sentirlo lagnarsi un minuto di più. Era stanca e triste, anche arrabbiata, e se non andava via sarebbe scoppiata rovinosamente.
Ma ad Harry non andò bene che lei andasse via così, senza neanche guardarlo, allora le afferrò un braccio e la strattonò. Ciò che fece Isabelle sorprese entrambi: la mano le era volata fino al viso di lui, schiantandosi rumorosamente e dolorosamente contro la sua guancia destra.
Harry stringeva ancora un braccio di Isabelle tra le mani, mentre lei lo guardava con un'espressione mista alla confusione, ai sensi di colpa e al nervosismo. Non avrebbe voluto colpirlo così forte eppure da un lato si sentiva più leggera, come se in qualche modo quel gesto l'avesse aiutata a scaricare un po' della frustrazione che la tormentava.
«Ma sei scema per caso? Che cazzo di problemi hai? E non dirmi niente perché mi hai appena schiaffeggiato ed evidentemente hai qualche problema con me» ringhiò, a denti stretti.
Sei tu il mio problema. Sei tu e non te ne rendi conto. Pensò la ragazza.
Isabelle continuò a non rispondere e dopo averlo guardato negli occhi con la speranza che lui riuscisse a vedere da questi qual era il suo problema, strattonò ancora il braccio dalla sua presa e fuggì via.
Lei avrebbe voluto soltanto essere capita, per questa storia e per molto altro, ma non succedeva, non succedeva mai.
Neanche lui, che lei lo amava, riusciva a capirla.
E allora, che senso aveva restare?
E allora, fuggiva.
Tornò dagli altri, che avevano assistito alla scena, ma che finsero di non aver visto nulla. Ronnie per primo capì molto di più di quello che si ostinava a rifiutare come vero, un interesse di Isabelle palese agli occhi di tutti che però non era rivolto a lui. Finse di non aver visto nulla, finse che tutto andava bene.
Le sorrise quando lei gli chiese di andare via e le promise ancora che quella sera l'avrebbe davvero portata a cena.
Ma è vero che le bugie hanno le gambe corte, prima o poi vengono a galla e Isabelle, di menzogne, con Ronnie ne aveva accumulate un bel po'.

Quella stessa sera, come promesso, Ronnie era riuscito a convincere suo padre a lasciarlo andare, quindi stava portando Isabelle a cena fuori. Nessun posto troppo romantico, o troppo scontato: era solo una trattoria locale dove si mangiava anche abbastanza bene. Ronnie conosceva i proprietari da una vita, erano vecchi amici di famiglia, persone che l'avevano visto praticamente crescere e per questa ragione, quando lo videro arrivare accompagnato dalla bellissima Isabelle, lo accolsero calorosamente con abbracci e baci affettuosi.
Isabelle sorrise alla signora bionda e con un po' di rughe sul viso, che si chiamava Abbie, la quale non appena ebbe salutato Ronnie, le sorrise e le rivolse un bel po' di complimenti.
«Conosco questa ragazzo da quando aveva solo pochi mesi!» esclamò, pizzicando con le dita la guancia destra di lui che continuava a sorridere amorevolmente verso quella donna, «E tu mamma mia, quanto sei bella!»
Isabelle sorrise, ringraziandola ancora.
Quella donna era così affettuosa e dolce e quel posto le sapeva così tanto di casa.
Si accomodarono in un tavolo per due, uno difronte all'altro, ordinarono la loro cena squisita e passarono una delle serate più divertenti della loro vita.
Ma nonostante tutto, Isabelle non riuscì completamente a lasciarsi andare: una parte di sé stava pensando sempre a cosa fare per togliersi dalla testa l'immagine di due occhi verdi che lei conosceva così dannatamente bene, che la guardavano sconcertati e delusi dopo uno schiaffo ricevuto. Non si sapeva ancora spiegare il perché di quella sua reazione, forse un po' eccessiva.
Quando salutarono Abbie per andare via, Isabelle riuscì a sentire l'ansia assalirle il petto: stava sbagliando tutto, se lo sentiva. E ci sono sensazioni che non si possono ignorare.
Passeggiarono per un po' per la via poco affollata dove si trovavano.
Ronnie stesso capì che le cose non andavano più: la guardava costantemente evitare il suo sguardo, tenersi distante e con le braccia incrociate al petto.
Eppure lui non si arrendeva, lei gli piaceva davvero tanto.
Così si fermò sul marciapiede, voltandosi per guardarla.
«Allora, ti è piaciuto tutto?»
Isabelle si appoggiò al muro dietro di lei, annuendo con l'accenno di un sorriso.
Nella sua mente qualcosa le urlò di andare via, di andare da qualcun altro.
Non le era mai capitato, non con Ronnie. Con lui era sempre stata bene, senza nessun altro pensiero, era come se con lui riuscisse a smettere di pensare a Harry. Ma i pensieri prima o poi arrivano e la verità ti si mostra più spietata di prima, arrabbiata perché per tanto tempo hai provato a nasconderla.
Isabelle si era innamorata, ma non del ragazzo che aveva davanti in quel momento.
«Sei bellissima, stasera.»
Ronnie si avvicinò di più, appoggiando una mano sul muro dietro di lei.
Il cuore di Isabelle batteva come un pazzo, l'ansia le aumentava. Avrebbe voluto scappare via.
«È da un po' che voglio baciarti», sussurrò Ronnie.
Con le dita, le spostò i capelli dal collo, sfiorandole la pelle e facendola rabbrividire.
Il panico assalì la mente della ragazza, mentre le mani le tremavano e i palmi le sudavano, ma non erano le solite emozioni che si provano quando non stai nelle pelle di baciare un ragazzo. Lei non voleva baciarlo, lei voleva andare via.
Per questo motivo si allontanò da lui, premendo i palmi sul suo petto per mettere una distanza tra di loro che le permettesse di respirare.
E pensò a Harry, pensò che avrebbe voluto lui al posto di Ronnie, pensò che avrebbe voluto fuggire via e trovare le braccia di quel ragazzo che la tormentava tra i pensieri.
Quella lì non era lei, non poteva farlo.
«Io non posso, Ronnie. Scusami.»
«È per lui, non è vero?» le chiese.
Isabelle non disse nulla.
«Vi ho visti litigare questo pomeriggio. A te piace, ma non vuoi ammetterlo.»
Lei si guardò le mani, sfuggendo da uno sguardo che la stava svelando. Ogni verità stava venendo a galla e le bugie non avevano più tempo per nascondersi.
«È complicato», sussurrò.
«Cosa è complicato, Isabelle? Ti piace e a lui piaci tu. Io ero solo un pretesto per farlo ingelosire!»
«No! Io non volevo far ingelosire nessuno, io con te sono stata veramente bene», si affrettò a rispondere.
Solo allora alzò gli occhi e si ritrovò addosso i suoi: erano un po' arrabbiati, un po' delusi, un po' tristi. Isabelle era quello che voleva evitare, lei non voleva far soffrire nessuno, eppure stava soffrendo Ronnie, stava soffrendo lei e forse stava soffrendo pure Harry.
«Ma non è abbastanza...» sussurrò Ronnie.
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime. Era difficile da capire, era difficile da spiegare.
«Non sarebbe abbastanza per te. Io non posso darti quello che vuoi, non ci riesco, non se ho la testa invasa da qualcuno che non sei tu.»
Allora lui annuì, ma non aggiunse altro.
Non avevano più nulla da dirsi.

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Oggi sono di buon umore, è il mio compleanno e scelgo io di farvi un regalo ahaha
Sto invecchiando, ho compiuto 19 anni, aiuto.
Mi sono iscritta su Wattpad qualcosa tipo cinque anni fa e non sapete quanto mi ha aiutato scoprire questo mondo. Qui, scrivendo, riesco a dire molte più cose di quante riesco a dirne con la voce.
È bellissimo.
Ad ogni modo, me lo fate voi un regalino, adesso?
Non chiedo nulla in particolare, solo un piccolo commento. Mi farebbe davvero piacere, adoro leggere i vostri pareri, credetemi.
Io adesso vado.
Buonanotte, endless love. :)xx

Il rumore del silenzio [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora