Capitolo 9

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Il mio sous chef non è solo il mio braccio destro responsabile della cucina in mia assenza. È molto di più. Pensa come me e in situazioni di difficoltà fa quello che farei io possedendo la mia stessa visione e percezione della cucina e di tutto ciò che ne gravita attorno.

E così è non solo nella mia testa o nella mia cucina, lo stesso accade in tutte le cucine che funzionano in maniera corretta e professionale del mondo, da Cavalese a Pachino, da Finisterre a Tokyo.

Però per quanto mi riguarda la mia non è semplicemente stima verso un collega simpatico, la mia è una vera e propria forma di amore. Con lui ho condiviso difficoltà e successi, momenti di amarezza e momenti di felicità. Discussioni accese che sembrava quasi che da un momento all'altro uno dei due potesse sferrare una coltellata all'altro seguite immediatamente da serate memorabili passate a bere fino allo sfinimento nello stesso modo in cui solo due vecchi commilitoni in libera uscita sanno fare.

È difficile trasmettere cosa si prova quando, con il locale pieno di clienti esigenti e affamati arrivati tutti nel medesimo istante tanto che basterebbe tenere la porta aperta per appena 5 minuti per farli entrare e accomodare tutti, tu e il tuo compagno di avventura guardate silenziosi questa mandria rumorosamente ingioiellata passare per andarsi a sedere con già qualcuno che maleducatamente chiede con fare sbrigativo l'acqua e il pane. In questo momento di calma surreale, dove i cuochi pronti alle proprie partite stanno ricontrollando la linea e affilando i coltelli, sei conscio che di lì a poco si scatenerà la frenesia più totale con padelle che sfrigoleranno sotto cappe di aspirazione rumorose, gesti di stizza seguiti da rimproveri sgarbati e piatti che finalmente verranno guarniti e infiocchettati prima di essere passati alla tua supervisione per poi poter uscire ed essere quindi finalmente consumati dai clienti. Tu sai che lui sarà lì al tuo fianco a controllare e coordinare e che, con un solo sguardo di intesa, saprà come agire per portare faticosamente ma trionfalmente al termine il servizio.

Non c'è influenza, cefalea o mal di pancia che tenga, tutti e due sappiamo che al proprio fianco ci sarà il compagno di questa incredibile battaglia che si ripete ogni sera all'ora di cena.

Ma la convivenza con lui non si limita solo al momento del servizio. La vita in una cucina è un misto di gioie e dolori che si protrae per una lunga e interminabile giornata che inizia alla mattina presto quando, mentre si programma la scaletta delle diverse incombenze che si dovranno affrontare nelle successive ore, si ha appena il tempo di bere il primo di una lunga serie di caffè e poi subito a gestire il lavoro dei ragazzi nelle diverse partite con i quali chiarire dubbi per non ripetere errori o imperfezioni, spesso anche criticando a muso duro un atteggiamento o una preparazione mal fatta il giorno prima.

Poi quando arrivi al servizio del pranzo e hai già bevuto almeno altri 3 caffè, riesci a mangiare un boccone velocemente in piedi e, se ne hai il tempo, ti ricordi di andare a pisciare.

Un altro caffè e via a parlare con i clienti per intrattenerli mentre il tuo secondo organizza l'inizio del lavoro della brigata in cucina.

I piatti escono e il servizio termina ma si è già pronti a rinchiudersi nuovamente in cucina, tu e lui da soli, per provare un nuovo piatto, un nuovo accostamento, una nuova tecnica e intanto il pomeriggio passa tra assaggi di nuovi prodotti, idee per il menù e almeno altri 2 caffè.

Poi, prima che arrivino i clienti per la cena, si ha giusto il tempo di mangiare un piatto composto da un paio di cose fredde avanzate dalle preparazioni del pranzo.

Finalmente a mezzanotte si conclude il dì facendo un veloce resoconto degli eventi accaduti nelle ore appena trascorse e delle criticità da superare nei prossimi servizi davanti all'ultima tazzina di caffè della giornata.

Questo rituale si ripete identico tutti i santi giorni; e poi dicono che gli chef sono delle persone nervose e con un brutto carattere. Certo con tutti quei caffè che beviamo...

Questa è la vita che passiamo noi cuochi, la vita che ho fatto da quando all'età di 13 anni ho abbandonato Foggiano per andare a vivere prima in Francia, poi in Spagna e Svizzera per poi approdare a Milano nella cucina di questo ristorante in pieno centro.

Il "Castore & Polluce", in riferimento all'inseparabile amicizia che lega me con il mio secondo Stefano e al nostro carattere con piglio decisamente battagliero. Locale su due piani con vista mozzafiato direttamente su piazza del Duomo all'interno del quale io e Stefano abbiamo, in appena 3 anni di duro lavoro, avuto i riconoscimenti di pubblico e di critica che meritavamo prendendo 2 stelle e continuando ad avere il locale sempre costantemente pieno.

Ma il cammino formativo è stato lungo e duro prima di arrivare a questi successi. Dopo gli anni passati in Francia cercai nuovi stimoli lavorativi in Spagna dove un nuovo stile di cucina stava andando per la maggiore ormai da qualche tempo cominciando addirittura a influenzare il mondo intero con le sue nuove tecniche. Lì appresi molte cose interessanti che, unite alla mia più che approfondita conoscenza della cucina tradizionale italiana e francese, mi permisero di ambire a un posto da chef in una prestigiosissima struttura stellata a Losanna ad appena 31 anni.

In Svizzera stetti 7 anni dove potei perfezionare il mio stile di cucina e dove conobbi Stefano facendolo diventare il mio braccio destro e dal quale non mi sono più separato.

Dovetti però lasciare Losanna a causa di alcune strane voci che cominciarono a circolare sul mio conto, sul fatto che avevo un carattere particolarmente cupo e che alcune notti sparivo senza lasciare traccia e senza dare spiegazione. Quindi, dopo la scomparsa di un inquilino del mio palazzo, decisi che era giunto il momento di cambiare aria e di tornare in Italia.

Tanti anni sono passati e molte cose sono accadute, tutti i sogni professionali immaginati si sono avverati e i difficili anni passati all'epoca in cui ero solo un bambino sono oramai uno sbiadito ricordo del quale rimangono solo le cicatrici sul mio corpo, le devastanti emicranie e i pensieri legati ai miei fratelli.

Ora sono un professionista affermato, ora sono un uomocon i suoi pregi e i suoi difetti e con un unico doloroso vizio. O meglio pensavoche fosse così, pensavo di essere realizzato sotto tutti i punti di vista e diaver trovato un equilibrio che fino a pochi giorni fa reputavo perfetto, ma adessoun rovello sta scavando dentro la mia mente. Un dubbio, un'incertezza. E io didubbi non posso averne, non mi sono concesse incertezze. Eppure è cominciata ainsinuarsi questa vaghezza che aleggia nella mia psiche e che sembra stia lentamenteavvolgendo il demone con una pesante fodera di insicurezza, come se ci fosse unnesso tra questi episodi accaduti negli ultimi mesi e lo stile di vita che ho avuto da quando assassinai quel povero cane.

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