Capitolo 15

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Dopo il " colloquio", se così lo si può chiamare, con l'ex preside dello U.A., io e Midoriya veniamo separati. Preferirei mille volte essergli vicino, ma sappiamo tutti e due che non sarebbe possibile ed inoltre quegli sporchi ribelli ci tengono ancora le canne dei fucili puntate dietro la schiena. Non è il caso di fare scenate. E' in gioco la mia, ma soprattutto la sua, incolumità.

Non diciamo una parola mentre ci portano via. Non ci guardiamo nemmeno negli occhi. Solo alcuni secondi dopo giro la testa di scatto, appena in tempo per vedere il mio compagno scortato da soldati in divisa dirigersi dalla parte opposta alla mia. E' di spalle, ma posso vedere le sue spalle alzarsi ed abbassarsi con un ritmo irregolare, il busto scosso dai singhiozzi, le sue mani che cercano inutilmente di ricacciare indietro il pianto, e poi grosse lacrime calde che si schiantano sul pavimento della scuola. Ha paura: fa sempre così quando non ce la fa più. Lo avevo visto spesso, durante gli allenamenti o nella sua camera della base Hawkins. Midoriya è una persona che non riesce a nascondere i suoi veri sentimenti, tantomeno a controllarli.

Vorrei correre da lui e stringerlo forte a me, dirgli che sarebbe andato tutto bene, che saremo stati insieme e che non ha nulla da temere, ma gli sguardi vigili delle guardie ce lo impediscono. Non voglio, non posso vederlo piangere così davanti a me. Avevo giurato di proteggerlo da tutto, ma non ci sono riuscito.

In un attimo mi torna in mente il momento in cui lo avevo visto combattere con quel ribelle. Quello sguardo, apparentemente di odio puro,  nascondeva qualcos'altro, qualcosa che non riesco a capire, e di cui probabilmente lo stesso Midoriya è ignaro. Non mi piace per nulla, e so che la colpa è di quel ribelle.

Perciò gli puntai addosso la pistola senza esitazione. E' colpa sua se il Midoriya che conoscevo e avevo giurato di proteggere adesso sembra uno sconosciuto ai miei occhi. Dentro le mie vene il sangue pulsava tanto forte che sentii nella mia bocca l'odore del sangue. Fissavo prima i suoi capelli biondo grano, poi i suoi occhi vermigli.

E quello che vidi mi fece arrabbiare ancora di più.

Aveva la stessa espressione di Midoriya.

Era come guardare in uno specchio. Le emozioni del mio compagno e di quel ribelle sono esattamente le stesse: un odio bruciante, che cela emozioni ancora più recondite, seppellite nel profondo di ciascuno dei due.

Conosco bene quello sguardo.

E' lo stesso che avevo avuto io.



Era da poco cominciato l'inverno e grossi fiocchi di neve fluttuavano pigramente nell'aria gelida di quel pomeriggio. Un fiocco più dispettoso degli altri scelse di appoggiarsi proprio sul mio naso, svegliandomi di colpo e facendomi starnutire. Mi stropicciai gli occhi, non ancora totalmente ripreso dai postumi del sonno. Mi rialzai in piedi e i miei occhi vagarono per tutto il grande giardino della casa mia, di mamma e di papà. Era ben curato e tipicamente giapponese, con un piccolo ruscelletto e un ponticello di legno che collegava il grande acero sotto cui mi ero addormentato al portico di legno dove mia madre si riposava, seduta su una sedia a dondolo. Le corsi incontro e lei mi accolse tra le sue braccia, portandomi in alto, fin sopra le nuvole, e facendomi girare.

" Ma guarda il piccolo Shouto, com'è cresciuto! Sembri proprio un signorino di tutto rispetto! "

" Più in alto, più in alto, mamma! "

Il dolce sorriso di mia madre mi scaldava il cuore mentre le nostre risate si fondevano con il canto degli uccelli e il rumore del vento che timidamente scuoteva i possenti rami dell'acero. La mamma mi mise giù delicatamente e quando protestai mettendo il broncio mi accarezzò teneramente la testa.

" Shouto, da grande che cosa vorresti fare? "

" Voglio essere un eroe! Voglio essere l'eroe della mamma! "

" E mi proteggerai? "

" Ma certo! Ti proteggerò da tutti i cattivi, mamma! "

La mamma mi fece salire in grembo e io affondai le testa nella sua chioma di capelli candidi come la neve, mentre lei mi accarezzava dolcemente la schiena. Rimanemmo così per non so quanto tempo, mentre il ritmico su e giù della sedia a dondolo ci cullava entrambi dolcemente.

Ormai era arrivato il tramonto, e i raggi cremisi del sole si riflettevano sulla superficie cristallina del ruscello, mandando bagliori di ogni colore. Ad un tratto lo sbattere furioso di una porta interruppe la pace di quella giornata, mentre la voce dura di mio padre risaliva alle nostre orecchie.

" Vieni qui! Dovevi preparare la cena, te lo avevo detto! Va in cucina, forza! Io e Shouto dobbiamo allenarci. "

Lei mi mise giù e si diresse verso la cucina. Improvvisamente era diventata un'altra persona: il viso tradiva una tristezza tale da spezzarmi il cuore, le sue movenze erano spente, sembrava un automa. Si girò di scatto, ma riuscii comunque a vedere i suoi pugni stretti e una calda lacrima che le solcava la guancia, mentre si schiantava a terra.

" Shouto, vai. "

" Mamma... "

"Vai, ho detto. "

Volevo ribattere, ma l'ennesimo richiamo di mio padre mi mise a tacere. Sapevo che se non mi fossi allenato con lui avrebbe trattato ancora più male mamma di quanto non lo facesse già.

Ero un eroe, dopotutto. L'avrei protetta da tutti i cattivi.

Incluso mio padre.





" Non preoccuparti. " La guardia che mi stava scortando, che altro non era che un ragazzo di forse un anno più di me, mi rivolge un segno di incoraggiamento. " Vogliamo solo farti vedere il tuo dormitorio. Dopo ti lasceremo solo, così potrai prepararti alla giornata di domani. "

" Mi aspetta un altro interrogatorio? "

" Se vuoi un programma meno noioso faresti meglio a dirci tutto quello che sai. "

Sbuffo, scocciato. Già l'idea di separarmi da Shouto mi fa venire le lacrime agli occhi, in più sono prigioniero di ribelli senza senso dell'umorismo.

Finalmente arriviamo in quello che sembra essere stato uno sgabuzzino. E' piuttosto spazioso, anche perchè i mobili sono stati svuotati da ogni oggetto utile. In un angolo giace un materasso con una coperta.

Le guardie chiudono la porta e, dopo avermi tolto le manette, mi lasciano solo con i miei pensieri. Mi butto sul mio nuovo giaciglio, mentre chiudo gli occhi e mi lascio assorbire dalle mie riflessioni.

Solo due giorni fa ero un membro della squadra speciale Alpha, un soldato scelto, mentre adesso sono solo uno stupido prigioniero in uno sgabuzzino. E' così umiliante.

E in più c'è lui.

L'idea di non essere riuscito ad ammazzarlo mi fa venire il sangue alla testa. Eppure era tutto perfetto: lui che, impotente, si sottomette al mio volere. Lui la preda e io il predatore. Quella volta avevo scambiato i ruoli, eppure perchè non sono riuscito a farla finita? 

Lo odio, di questo ero sicuro. Mi ha fatto sentire uno schifo per troppo tempo, e ho sempre sopportato le sue angherie, mentre lui se ne approfittava. Lo avrei sempre odiato, con tutte le mie forze.

E allora perchè?

Perchè quando ho rincontrato quegli occhi rubino non sono riuscito a smettere di fissarli, come se abbiano un potere su di me?

Possibile che nel rivederlo abbia provato... Sollievo?











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