Erano così dolcemente i battenti lasciati accostati probabilmente in seguito ad una repentina fuga. Lo spiazzale era un deserto incandescente, arso da un sole che spadroneggiava in un cielo rovente e indifferente nei confronti di tutto e tutti. Il palazzo si ergeva elegante e raffinato, nonostante l' evidente abbandono, la polvere che lo ricopriva e due cadaveri seduti con le spalle contro i due grifoni, che sorvegliavano l' entrata. Probabilmente erano due guardie, assalite dalla peste e morte non da molto, in quanto i monatti non li avevano ancora gettati sui carri per portarli via.
Erano simmetrici, identici sia nel modo di vestire che nella posizione: gambe incrociate, braccia parallele al busto e capo inclinato sul collo.
Alessandro trascinò Lucia, sua sorella, vacillando e con il respiro sempre più affannoso. Lucia aveva gli occhi semichiusi, di tanto in tanto socchiudeva le sue labbra esangui e biascicava poche parole, tutte sconnesse tra di loro.
Lei stava già morendo, Alessandro sarebbe morto di lì a poco, era questione di attimi. La peste aveva divorato tutta la loro famiglia, la sua falce si era abbattuta impietosa sui loro fratelli e sui loro genitori, lasciando Alessandro e Lucia per ultimi.
In lontananza, udirono il suono di minacciosi campanelli e le ruote del carro dei monatti che si avvicinava a loro. Alessandro accelerò il passo, inciampò e si rimise in piedi a fatica.
Lucia non riusciva neanche più a camminare, dovette issarla di nuovo sulle sue spalle e con passi rapidi e malfermi raggiunse quei due cadaveri, li oltrepassò e cadde per l' ennesima volta in quel giorno davanti, spalancando con il proprio peso quei battenti massimi.
Dentro era tutto buio, le finestre sprangate e quei pochi frammenti di luce che riuscivano a penetrare, gettavano lunghe ombre inquietanti giocando con le sagome dei mobili coperti da bianche lenzuola, a loro volta coperte da spessi strati di polvere grigia.
I monatti dovevano essere giunti in quello spiazzale, perché il tintinnare dei loro campanelli era vicinissimo e perché si udiva il nitrire del cavallo, che trascinava il loro carro.
Alessandro spiò rapidamente dalla fessura lasciata aperta dai battenti, il suo sguardo incrociò gli occhi sbiaditi e felini di un monatto. Alessandro si ritrasse con un balzo, afferrò sua sorella tra le braccia e velocemente sgattaiolò in un' altra stanza. Non appena si fu tuffato con la sorella dietro ad un monumentale divano, che ingombrava quasi tutta la stanza, si udì il cigolare della porta.
Più di un campanello riempiva di ansiose palpitazioni quelle stanze dal forte tanfo di morte.
Alessandro si fece piccolo piccolo sotto quel divano, sua sorella lo guardava con i suoi lucenti occhi verdi, che si stavano silenziosamente spegnendo.
Alessandro trattenne le lacrime, sentiva già i monatti incombere su di loro, strappargli con le loro mani unte Lucia dalle braccia. Si sarebbe consegnato, tanto neanche a lui doveva mancare molto.
<<Aveva gli occhi chiari, azzurri!>> Biascicava un monatto <<L' ho visto io!>>.
<<Sì, come quella volta che l' Innominato ti aveva proposto di lavorare con lui!>> Scoppiò a ridere un secondo monatto, seguito dalle rauche risate di altri di loro.
<<Siete dei poveri imbecilli!>> Imprecò il primo monatto.
Si sentirono rumori metallici <<Questi candelabri sono d' oro. Ai proprietari non servirà più, saranno fin troppo occupati a farsi mangiare dai vermi>>. Esplosero nuovi scrosci di risate. Lucia non respirava quasi più, ormai aveva gli occhi persi nel vuoto. Alessandro la strinse a sé, accarezzandole i capelli scuri.
Com' era bella sua sorella, neppure la morte poteva abbruttirla.
Qualcosa, posto in alto, sembrò luccicare e Alessandro instintivamente guardò in quella direzione: due occhi lo sorpresero da una tela, racchiusa in una cornice rettangolare, dorata e finemente decorata.
Quegli occhi appartenevano ad una donna, una donna da un fascino esotico, occhi a forma di mezzaluna e illuminati da un colore indefinibile, pelle bianca, setosi capelli neri che le scivolano sul lungo collo, dove pendeva una collana molto semplice rispetto alla ricchezza e allo sfarzo del resto dell' abbigliamento: una luna.
I campanelli dei monatti irruppero nella stanza, costringendo Alessandro a distogliere lo sguardo da quel quadro. Si appiattì sotto al divano, stringendo Lucia tra le sue braccia.
<<Andrà tutto bene>> le sussurrò all' orecchio e lei accennò un breve sorriso, aveva il volto solcato da un' unica lacrima, che a fatica si faceva strada su quella pelle sempre più fredda.
I campanelli erano assordanti, Alessandro chiuse gli occhi, ora anche lui piangeva.
<<Eccoli qui i due fuggiaschi!>> Esclamarono i monatti, spostando il divano.
<<Non siamo morti! Non potete portarci via!>> Gridò Alessandro.
<<Ma lo sarete tra poco, soprattutto lei>> gracchiò uno di loro, a cui mancava un occhio.
Un altro grassoccio e con diverse ferite sulle braccia villose cercò di sollevare Lucia, ma Alessandro si dimenò per cercare di difenderla. Un pugno gli colpì senza pietà una guancia. Alessandro si ritrovò disteso a terra, le sue forze, già di per sé misere, dimezzate.
<<Li porteremo al Lazzaretto. Se non saranno arrivati già morti, li metteremo tra quelli che lo saranno a breve>> Sentenziò un altro monatto, con un candelabro d' argento posto stretto tra le mani.
<<È davvero scortese per dei galantuomini come voi disturbare senza invito la quiete di una dimora così signorile, malmenare degli ospiti e tentare di derubare>> Si insinuò una voce sinuosa e sottile, che ricordò ad Alessandro un serpente che striscia tra sterpi verdi e apparentemente senza insidie.
Due figure erano in piedi sotto il quadro di quella bellissima dama e una di quelle figure era proprio la dama. Era vestita in maniera diversa, indossava una semplice tunica di seta nera, ma la collana era la stessa. L' uomo accanto a lei era straordinariamente alto, chiaramente nordico: lunghi capelli biondi, quasi bianchi, occhi di un blu innaturale, in cui serpeggiavano fitti reticolati rossi, labbra carnose e un abbigliamento da aristocratico.
La donna taceva, con le braccia incrociate, e gli occhi seducenti che fluttuavano tra i presenti.
<<N-n-n-n-noi n-n-non sapevamo della v-v-vostra presenza. Pensavamo che il p-p-p-palazzo f-f-f-fosse disabitato. Abbiamo visto anche i c-c-c-cadaveri delle g-g-guardie...>> Bablettò il monatto grassoccio, che parve rimpicciolirsi all' improvviso.
<<Guardie?>> Finalmente parlò la donna e la sua voce era così magica, che sembrò togliere tutto l' ossigeno da tutta la stanza, perché tolse il respiro a tutti i presenti.
<<Sono sbigottito anch' io, mia cara luna. Selene, questi stolti non sanno che io e te non abbiamo bisogno di guardie?>>.
<<Kerman, forse ora capisco: staranno parlando di quei due che stanotte si sono intrufolati qui dentro... Che brutto sapore che avevano>> Selene arricciò il naso disgustata. Aveva un naso pronunciato, ma nella cornice del suo volto non faceva che arricchirne l' incanto che diffondeva.
<<Noi comunque ci scusiamo e andiamo via immediatamente>> Intervenne uno dei monatti, quello con il candelabro.
<<Ma io non mangio da due giorni! La mia adorata Selene questa notte è stata così ingorda!>> Kerman parlò come se i monatti dicendo di andarsene, l' avessero offeso.
<<Noi non sappiamo come aiutarvi, signori, siamo solamente monatti e non abbiamo nulla da mangiare con noi>> Disse inginocchiandosi il monatto con un solo occhio, gli altri lo imitarono abbassando il capo.
<<Voi sapete come aiutarci. E non è vero che non avete il cibo con voi, in quanto il cibo siete voi>> Sorrise raggiante Selene. Era uno di quei sorrisi che i mortali possono tollerare appena senza morirne folgorati.
La confusione pervadeva e dilavaga in quella stanza, perciò Alessandro credette di aver perso i sensi e di essere già preda dei deliri, quando vide quelle due figure balzare sui tre monatti, addentare i loro colli e farli cadere a terra morti. Il monatto con il candelabro tentò la fuga, ma fu acchiappato quasi con pigrizia da Kerman e da Selene e poi anche lui crollò al suolo, facendo rotolare il candelabro.
<<E voi due chi siete?>> Domandò Selene umettandosi le labbra carnose e ora incredibilmente rosse.
<<Scusateci, io sono Alessandro e lei è mia sorella Lucia. Stiamo morendo, abbiamo la peste e non volevamo essere presi dai monatti. Potete anche ucciderci, tanto se non lo fate voi, lo farà a breve la peste. Vi chiedo solamente di non separarci, abbiamo perso tutta la nostra famiglia e siamo l' un l' altro tutto ciò che ci resta...>>.
Alessandro parlò senza fermarsi un attimo, non trattenne le lacrime semplicemente perché non aveva più. Aveva solamente la morte dinanzi a sé.
<<Siete incredilmente giovani e..... Belli>> Selene aveva gli occhi sgranati, meravigliati e rapiti, si avvicinò ad Alessandro e a Lucia, accarezzò i capelli scuri di Alessandro, poi quelli di sua sorella, sfiorò la loro pelle con le sue labbra, genitrici di brividi.
<<Io ho 19 anni, mia sorella 16>> spiegò Alessandro, stringendo fortemente Lucia tra le braccia.
Selene si voltò verso Kerman, lo guardò a lungo, sostenendo una silenziosa conversazione inaccessibile.
Alla fine, Kerman fece spallucce e con un gesto della mano concesse <<E sia, ma le responsabilità sono tue!>>.
Selene sembrò una bambina felice per aver ricevuto finalmente il balocco tanto ambito, sollevò con una forza straordinaria il corpo di Lucia tra le braccia.
Lei si dimenò appena, cercò di ancorarsi a suo fratello, ma ormai aveva a stento la forza per esalare l' ultimo respiro. La bocca di Selene si dischiuse come una rosa rossa che sboccia, aguzzi ma eleganti canini troneggiavano nella sua dentatura bianca e perfetta.
Si chinò sul collo della sorella, si dissetò appena e poi si morse le labbra e baciò a lungo Lucia, proprio sulle labbra.
Non appena finì, Lucia rivolse un ultimo sguardo terrorizzato al fratello, lanciò un debole urlo di dolore e paura e poi senza smettere di guardare Alessandro, spirò.
Alessandro scattò in piedi, traballante, cotto dalla rabbia, ma stremato dalla morte, tentò di scagliarsi contro Selene, ma da dietro sentì le braccia di Kerman che lo immobilizzavano.
Selene depose il corpo senza vita di Lucia sul divano e poi si accostò ad Alessandro. Affondò i canini nella pelle del suo collo, Alessandro sentì il sangue fluire via dal suo corpo, assieme alla vita.
La vista lo abbandonò. Nel buio sentì il contatto delle sue labbra con quelle di Selene. Assaporò l' odore di Selene, il sangue che quel bacio gli instillava a piccole gocce.
Il suo corpo tremò per l' ultima volta e poi si fermò, come fanno le chioma degli alberi, quando una folata di vento attraversa un bosco. Quel vento era la sua anima, quel bosco che ora era immobile, il suo cadavere.SE LA STORIA TI PIACE, LASCIA UN LIKE E COMMENTA.
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La Luce Del Sole
VampireNiente per un vampiro è più temibile della luce del Sole. È una carezza pericolosa, capace di segnare la fine di chi è destinato all'eternità. Eppure, c'è chi è riuscito a cristallizzarla, forgiando l'arma con cui sconfiggere i vampiri. Come ogni ar...