Pietà

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Irene Costa tremava, supplicava con le mani giunte e biascicando preghiere. L' addentarono a turno e alla fine cadde senza vita su un fianco, con cinque morsi sul collo e ancora lacrime sugli occhi.
Lucia, finalmente sazia, si appollaiò su una vecchia poltroncina girevole e Takijiro la spingeva come se fosse una bambina sull' altalena.
Kerman era più tenebroso del solito, si aggirava per la stanza con un' espressione tetra impressa sul volto. Sembrava una bestia feroce rinchiuso in una gabbia o una sentinella che già prevede l' invasione inarrestabile dell' esercito nemico.
Alessandro toccò lievemente la scottatura sul petto, si sollevò appena la maglia e lì sul torace vi era ancora quel rossore persistente, che disegnava una spirale vorticosa e compatta.
Gli faceva ancora male, notò con la coda dell' occhio Selene che lo studiava, perciò si risistemò con indifferenza la maglia e si sedette sul divano sprofondato al centro della stanza.
Avevano trovato un palazzo abbandonato nel cuore dei Sassi, era un nascondiglio perfetto, nonostante i mobili vecchi, l' umidità del tufo e gli scarafaggi che zampettavano in ogni angolo.
<<Cos' hai?>> Gli chiese Selene, allungando un braccio verso Alessandro.
Lui si scostò <<Nulla, va tutto bene>>.
Non aveva raccontato a nessuno quello che era successo durante la notte, in cui avevano assalito quell' auto. Aveva assaggiato il sangue di quella ragazza, ricordava ancora il suo sapore delicato, dolce, inebriante. Non aveva mai bevuto un sangue così saporito. Scorreva caldo lungo la sua gola, ma non saziava affatto la fame che gli mordeva le viscere, anzi la rendeva ancora più aggressiva e profonda.
Pertanto, Alessandro la strinse ancora più a sé, sprofondando coi denti nel collo di quella ragazza ancora più energicamente, per fare sua anche la più piccola stilla di sangue.
Qualcosa di infuocato poi lo aveva acchiappato al petto, bruciandogli il vestito, facendo ardere il petto. Era durato pochi attimi, un altro secondo in più lo avrebbe ammazzato.
E nonostante fossero passati diverse settimane, quel dolore persisteva ancora, come se fosse penetrato nelle sue carni, nascondendosi sotto l' epidermide della sua pelle.
Selene aveva ancora lo sguardo su Alessandro, i suoi immensi occhi gialli la facevano sembrare un gatto. Un tempo Alessandro sarebbe impazzito per quegli occhi, oggi lo lasciarono nella più totale indifferenza.
Spiò tra le fessure di una finestra sbarrata, il sole affondava oltre l' orizzonte e un folto gruppo di turisti era affacciato davanti alla Murgia, il cui vuoto colmava di incanto gli occhi chi ammirava il paesaggio al tramonto.
Alessandro si trovò a uscire dal palazzo ancor prima di decidere di farlo. Avevo voglia di perdersi tra le stradine piccole e tortuose dei Sassi per trovarsi da solo con i suoi pensieri.
Un peso lo asfissiava, opprimendolo. Era da quando avevano lasciato il Faro di Don John, che lo tormentava e con il passare dei decenni non aveva mai accennato a scemare, alimentato da tutto ciò che era successo da allora.
Ripensava a quel racconto, che Selene gli aveva confidato una sera di anni prima, quando rimasti soli in un albergo olandese lei aveva riavvolto il rullino di una memoria vasta quasi quanto l' eredità.
Da allora, Alessandro vagava in quei pensieri, mentre parallelamente Kerman li conduceva ignari all' interno di una missione sempre più pericolosa e assurda.
Alessandro salì delle scale molto ripide e strette. Pur essendo ancora la metà di settembre, tirava già un venticello che profumava d' autunno.
Fu sorpreso dal chiacchierare di alcuni adolescenti, che fumavano a cavalcioni su un muretto. Lo seguirono con lo sguardo e poi il loro parlottare continuò a essere interrotto solamente da scoppi di risata.
Alessandro si frugò nelle tasche, ora aveva voglia di fumare anche lui, anche se questa era un' attività molto complicata per un vampiro proprio perché doveva ricordarsi come si facesse a inspirare e ad espirare. Alessandro si accese una sigaretta e sbucò davanti ad una ringhiera di ferro, che sorvolava sui Sassi. Si affacciò e restò a osservare tutte quelle lucine e quei tetti arrampicati su altri tetti. Nel cielo già buio due grandi falchi grillai si rincorrevano salendo sempre più in alto.
Peccato che i vampiri non avessero volato, pensò Alessandro concedendosi un breve sorriso triste e rassegnato, sarebbe volato certamente verso il Sole e da esso si sarebbe fatto sciogliere, come le ali di cera di Icaro.
Che folle quell' Icaro, pose fine alla sua vita solamente per il capriccio di essere sovrumano. Alessandro tornò a camminare, ora il sapore del sangue aleggiava intorno a sé, perché era circondato da mortali, che lo sfioravano e che sarebbero potuti diventare il suo spuntino in ogni momento.
Alessandro si fermò in un piccolo bar, ordinò una birra ad una bella cameriera riccia e la sorseggiò appoggiato alla parete. La cameriera passò di lì almeno mille volte e gli riservava sempre uno sguardo da sedotta, alla fine prese coraggio e gli si avvicinò chiedendogli <<Non sei di qui, vero?>>.
<<No>> Rispose Alessandro <<Sono di Milano>>.
<<Oh wow, figo!>> Commentò lei, non era per niente interessata alla città d' origine di Alessandro <<E che ci fai qui? Sei in vacanza?>>.
Alessandro annuì <<Sì, sono con la mia famiglia. Loro sono rimasti in albergo, perché erano molto stanchi, mentre io ho deciso di farmi un giro, visto che è sabato sera>>.
<<Hai fatto benissimo!>> Squittì lei entusiasta <<Io comunque mi chiamo Jennifer!>>.
Alessandro le strinse la mano e fece scivolare lo sguardo sul suo corpo. Era davvero niente male: riccia, mora, un bel seno prosperoso e un invitante sedere a pera.
<<Se ti va, possiamo stare un po' insieme. Stacco tra mezz' ora, quindi appena finisco, posso mostrarti qualcosa di più di questa città>> Propose con gli occhi, in cui la malizia e la timidezza già facevano l' amore.
Alessandro ingollò un altro po' di birra, il suo corpo da 19enne decise al posto della lunghissima esperienza da vampiro <<Se mi porti un Bloody Mary, ti aspetto!>>.
Lei esultò con una risatina eccitata <<'Bloody' sta per 'sanguinaria', sei sicuro di voler qualcosa che abbia a che fare con il sangue?>>.
Alessandro la guardò con i suoi occhi magnetici e la attirò al suo petto <<Ne vado pazzo?>>. Jennifer gli rubò un bacio e poi sciogliendosi da quell' abbraccio, corse via.
Alessandro aspettò che finisse il suo turno, poi quando lei gli ebbe preso la mano, iniziarono a passeggiare.
Jennifer parlava come una radiolina, instancabilmente. Da come gli stringeva la mano, Alessandro capì che aveva solamente voglia di appartarsi in un angolo e pomiciare. D' altro canto, gli aveva appena raccontato che poche settimane prima aveva beccato il suo ragazzo a letto con un' altra, perciò in lei ardevano le fiamme della vendetta. Era ancora cotta di lui, la rabbia con cui ne parlava la tradiva più dell' ex.
Attraversarono una strada gremita di gente facendo piccoli passi e spintonando.
La folla si diradò dinanzi ad una chiesetta barocca con dei teschi, che fuoriuscivano dalle mura e in alto troneggiava una scritta imperiosa "MISERIMINI MEI MISEREMINI MEI SALTEM VOS AMICI MIEI".
Alessandro la lesse ad alta voce, Jennifer sgranò gli occhi <<Sai cosa vuol dire?>>.
Alessandro scandì lentamente <<Abbiate pietà di me, abbiate misericordia di me, almeno voi, amici miei>>.
Jennifer lo tirò a sé e lo baciò con trasporto. In quel momento, il barlume di un' idea attraversò la mente di Alessandro: vampirizzare Jennifer. Allontanò quel pensiero come si fa con le mosche. L' eternità era una maledizione, non gliel' avrebbe mai inflitta.
Si avvinghiò a Jennifer ancora un po', proprio in quel momento una chioma bionda attirò la sua attenzione come un lontano luccichio.
Alessandro si staccò immediatamente da quella ragazza e riconobbe immediatamente la proprietaria di quei capelli: era lei che aveva morso quella notte, era lei che gli aveva marchiato sul petto quella scottatura. Indossava lo stesso pendente, ascoltando con curiosità un bel ragazzo biondo, uno un po' più basso e tarchiato e una ragazza con bizzarri capelli celesti.
Gli occhi scuri e scintillanti di quella ragazza bionda incrociarono quelli di Alessandro, che li spostò subitaneamente. Si congedò con rapide parole mozzate da Jennifer, pedinò la ragazza bionda per qualche metro e poi la lasciò andare, inseguendola solamente con lo sguardo in quella matassa confusa formata da tanti ragazzi.
Jennifer cercava quel bel ragazzo, con cui avrebbe fatto morire di invidia il suo ex, con cui si sarebbe fatta una limonata in pubblico e di cui si sarebbe certamente innamorata, ma lui era sparito, perciò con la sconfitta piombata nel cuore tornò a casa.
Era stanca, si sarebbe fatta una doccia e dopo avrebbe aspettato la fine di quel sabato sera davanti ad un film horror, di cui andava matta. La strada era buia, passava solamente qualche auto, Jennifer prese il telefono e iniziò a messaggiare con la sua migliore amica.
Una figura le si accostò, era un uomo sulla trentina, di bell' aspetto e con i capelli neri. L' ennesimo turista, pensò Jennifer, fermandosi già pronta a dargli indicazioni.
<<Ha bisogno di una mano?>> Gli domandò annoiata.
L' uomo sorrise educatamente <<Sì, avrei fame e vorrei il suo aiuto>>.
Jennifer si concentrò pensando a quale ristorante consigliargli. Era ben vestito, di certo non si sarebbe accontentato di una rosticceria. Puntò il dito in una precisa direzione, ma dalla bocca invece che parole, fuoriuscì un verso strozzato.
La trovarono lì qualche ora dopo, morta, senza neppure un goccio di sangue nel corpo e con l' espressione di chi non ha avuto neppure il tempo di poter chiedere pietà.


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