Madri

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Enrico, detto Il Bovino, tornava a casa con la testa abbassata, le braccia ciondoloni, le mani vuote e un licenziamento in tronco. Il proprietario della piscina, dove lavorava, lo aveva licenziato con l' accusa di aver aggredito Filippo Santacroce nello spogliatoio. Glielo avevano riferito altri frequentatori della piscina.
L' ultima fonte di guadagno di Enrico si era prosciugata e adesso non gli restava che tornare a casa, dare una carezza a sua madre malata e restare seduto sul letto a pensare cosa fare. Ruminava un odio senza precedenti contro quel maledetto Filippo.
Era tutta colpa sua: non solo gli aveva negato qualsiasi forma di aiuto, ma era il responsabile anche del suo licenziamento. Il Bovino avrebbe voluto attaccarlo, picchiandolo senza alcuna pietà, assestandogli calci nel ventre con una violenza cieca e disumana. Il portone era aperto, salì le scale a due a due e poi per l' affanno dovette fermarsi sul pianerottolo, seduto con il suo enorme deretano sui gradini.
Aprì la porta ed entrò in casa sua. La tv era accesa sullo stesso canale, che aveva lasciato lui prima di andare a lavoro. Sua madre era sdraiata sul suo lettino, gli occhi sbarrati lo salutarono puntandosi come due piccoli spilli neri su di lui.
Il Bovino le si avvicinò, le stampò un grosso bacio sui capelli grigi e arruffati e poi si sedette accanto a lei su una sedia sgangherata.
Non poteva neppure permettersi una badante per sua madre, che in quelle condizioni era costretta a stare da sola per molte ore.
Il Bovino si riposò alcuni minuti, parlando con sua madre, che però non lo ascoltava. Non lo aveva mai fatto. Aveva sempre preferito l' altro figlio, quello che adesso marciva in un centro per tossici. Il Bovino le diede da mangiare, le somministrò le medicine e infine aspettò che digerisse, per poterla cambiare e lavare.
Era stanco morto, quando la prese in braccio e delicatamente la posò sul letto. Sua madre continuava a guardarlo con quello sguardo perplesso e scettico, quello che sembrava aver studiato apposta per comunicare al Bovino tutto il suo disprezzo. Suo figlio le accarezzò il volto, racconrandole tutto ciò che era successo durante la giornata come fosse una fiaba da sussurrare ad una bambina piccola per farla addormentare. Sorvolò sul licenziamento, proprio per non rovinare quel momento fiabesco.
Sua madre si addormentò con una sorta di sorriso, Il Bovino restò con lei ancora un po', poi si diresse verso l' armadio, ne aprì le ante e tirò fuori un cuscino. Lo sprimacciò ben bene, si avvicinò a sua madre e lo premette delicatamente sul suo naso. Restò così pochi minuti, sua madre neppure si divincolò, il sonno le diventò solamente più pesante, molto più pesante.
Il Bovino sollevò il cuscino e lo mise sotto alla nuca della madre. Persino da morta emanava disprezzo verso il figlio. Quando era incinta di lui, aveva cercato di abortire in ogni modo. Tuttavia, più tentava di scrostarlo da sé, più egli si appiccicava al suo ventre.
Quel bambino era diventato l' apice del suo destino beffardo e amaro, che aveva deciso per lei un matrimonio infelice con un uomo che la picchiava, un figlio maggiore che aveva saccheggiato tutto il suo amore e il minore che aveva ereditato tutta la prepotenza e l' arroganza del padre.
Il Bovino spense la luce, uscì dalla stanza della madre, chiuse accuratamente la porta ed entrò nella sua. Si spogliò e rimase a guardarsi nello specchio.
Era grasso, brutto, butterato, appesantitoto. Non era mai stato bello o per lo meno grazioso, ma un tempo aveva avuto muscoli d' acciaio, un fisico potente e aitante, un vigore che sprizzava da ogni lembo della sua pelle.
Ora non era che un cumulo di grasso, con un ombelico affondato in un vasto addome come il foro di un proiettile.
Rabbrividì da solo dinanzi al suo aspetto. Avrebbe voluto spaccare quello specchio e continuare a maledire Filippo Santacroce, quel ciccione che era diventato non solo magro, ma persino atletico, forte, bello.
Le loro parabole erano così contrarie e opposte: lui ricco, Il Bovino disgraziatamente povero, lui circondato da belle ragazze, Il Bovino schifato da tutte, lui nato in una famiglia fortunata, Il Bovino in una di cui facevano parte anche la violenza, la droga, il carcere e la malattia. E nonostante questo, Filippo aveva decretato il licenziamento de Il Bovino, Filippo si era rifiutato di porgergli una mano, proprio lui che per salvarlo si sarebbe potuto limitare ad uno schiocco di dita.
La rabbia bolliva ne Il Bovino, facendo tremare le sue narici e facendogli stringere a pugno le mani. Si sarebbe vendicato, dopodiché avrebbe scontato l' omicidio della madre. Non gli importava di finire in carcere, perché lì si sarebbe addormentato sereno pensando alla brutta fine che avrebbe inflitto a Filippo Santacroce.
Tornò nel soggiorno e si sedette su una vecchia poltrona, scolandosi una bottiglia di liquore, che sua madre un tempo custodiva gelosamente per possibili ospiti.
Conosceva un tipo che riusciva a procurarti pistole. Lo chiamò subito e gli chiese una pistola, una qualsiasi purché funzionasse bene. Gli ordinò di portargliela quanto prima, anche quella sera stessa.
Il tipo, dall' altro capo del telefono, rispose che avrebbe fatto il possibile. Il Bovino chiuse il telefono e restò a fissare il vuoto, immaginando proprio di fronte a sé il corpo senza vita di Filippo. Avrebbe scaricato tutto il caricatore contro di lui.
Quell' immagine lo riempì così tanto di piacere, che un' erezione coinvolse il suo pene. Sognò di rivedere il suo piano: irrompere nella bellissima e lussuosa villa dei Santacroce, freddare senza pietà l' ingegnere, ferire Filippo, legarlo e stuprare la madre sotto i suoi occhi. D' altra parte la madre era bellissima, l' aveva vista più volte e ogni volta tornato a casa si era masturbato pensando a lei. Immaginò la gamba di Filippo sanguinante, mentre lui legato ad una sedia biascicava inutili richieste di pietà, mentre ai suoi piedi giaceva scomposto il cadavere del padre. Il Bovino avrebbe legato la madre alla spalliera del letto, si sarebbe slacciato i pantaloni e l' avrebbe penetrata con forza. Sarebbe stata la sua prima volta e forse anche l' ultima, ma sarebbe stato bellissimo. Alla fine, avrebbe sparato prima alla madre e poi al figlio.
Si sbottonò i pantaloni e si contemplò il pene: era piuttosto tozzo, ma molto grosso e con le vene che circondavano la cappella. Aveva voglia di masturbarsi, chiuse una mano attorno al pene e iniziò ad agitarla con l' immaginazione che gli ritraeva nella mente la madre di Filippo con le gambe aperte e le mani legate.
Bussarono alla porta. Il tizio della pistola doveva essere già arrivato. Rimandò a dopo quella sega e si gettò addosso una maglietta.
Bussarono di nuovo e lui aprì quasi imprecando. Sulla soglia della porta c' era una ragazzina.
Aveva un' eccitante sguardo da biricchina, capelli castani raccolti in due treccine, un giubbottino di pelle e bellissime gambe sode.
<<Scusa, se disturbo a quest' ora>> Disse porgendosi in avanti, Il Bovino non poté non fissarle il seno piccolo ma sodo <<Sono venuta a trovare una mia vecchia zia, che abita qui, starei per tornare a casa e poiché è tardi, vorrei avvisare i miei che possono venirmi a prendere, però mi si è scaricato il telefonino. Mi faresti fare una chiamata? Mia zia si è addormentata e non vorrei disturbarla>>.
Il Bovino non perse tempo <<Non preoccuparti, entra pure!>>.
La ragazza accolse il suo invito ed entrò, aveva un bel sederino e seguì Il Bovino che la guidò verso il telefono. Squillò a vuoto, dopodiché lei lo chiuse.
<<Riproverò tra poco>> Disse con un sorriso molto impertinente, che quasi fece impazzire Enrico.
Lei lo guardò appena e poi sul visetto si schiuse un' espressione sorpresa <<Ma io ti conosco! Tu sei Il Bovino. Mi ricordo perfettamente di te>>.
<<Come fai a conoscermi?>> Domandò perplesso Enrico, cercando di mettere a fuoco quella ragazza. Un po' per l' alcool, un po' per la masturbazione lasciata interrotta, un po' per l' avvenenza fisica di quella ragazza, non riusciva proprio a concentrarsi su chi fosse, solamente su come fosse.
<<Oh beh tu non mi conoscerai certamente>> Disse lei <<Ma io conosco bene te. Frequentavo la tua piscina e ti confesso con molto imbarazzo che avevo una cotta per te>>.
Il Bovino guardò quella ragazza, che ora gli si era fatta vicina e lo toccava pericolosamente sul collo con la punta delle dita.
<<Avevi un fisico da sogno e ogni volta che i miei occhi si posavano sul tuo corpo rivestito di muscoli, immaginavo cosa potesse fare un fisico forte come il tuo con uno fragile come il mio>>.
Queste parole furono benzina per il fuoco che ardeva nel Bovino, sentì il pene premere contro i suoi pantaloni esigendo di uscire.
<<Peccato che ti sia lasciato un po' andare. Eppure io ti assicuro che non solo tornerai più forte di prima, ma che il Bovino, quello vero, è ancora qui e lo desidero ancora>>.
Quella ragazza si inginocchiò e rapidamente liberò il pene di Enrico. Lo prese tra le sue labbra carnose e iniziò a succhiarlo avidamente. Il Bovino inizialmente restò quasi impassibile, poi si abbandonò a quelle ondate di piacere, socchiudendo gli occhi.
Qualcosa gli afferrò il pene penetrando in esso. Tra i vari gemiti di piacere sfuggì anche uno di dolore. Spalancò gli occhi e vide che i lunghi canini di quella ragazza erano immersi nel suo pene.
Cercò di ritirarsi, ma invano. La ragazza li estrasse con calma e gli sollevò i boxer. Il Bovino tremava, esterrefatto. Cercò di colpire quella ragazza con pugni, ma era troppo goffo e fragile e lei troppo forte.
Quasi le venne da ridere <<Un giorno la tua vampirizzazione sarà leggenda>>. Si avventò sul collo di Enrico, ma fu solo per poco, infatti lo lasciò senza forza lungo il pavimento, dopodiché si tolse il giubbottino di pelle e il top aderente che indossava. Si ferì con un' unghia il seno, vicino al capezzolo e lo immerse tra le labbra de Il Bovino.
Egli, da sempre desideroso di una goccia di affetto materno, scelse di nutrirsi da quel seno come estremo gesto.

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