Il Guerriero

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Takijiro sedeva nel giardino della sua abitazione. Il crepuscolo si irradiava nel cielo e neppure un soffio di vento accarezzava i rami dei ciliegi in fiore. A gambe incrociate sull' erba, osservava sua madre che canticchiava una vecchia canzoncina popolare.
Aveva sempre considerato sua madre bellissima, ma adesso gli appariva così vecchia, che quasi quasi non la riconosceva più.
Gli occhi infossati, perché scavati da troppe lacrime; i capelli neri ormai argentati; la pelle aggrinzita e cascante.
Erano rimasti soli, Takijiro e sua madre. Uno storpio e una vecchia, sul finire di una guerra, che il Giappone forse credeva di poter ancora vincere.
La guerra aveva risparmiato loro due, dopo aver preteso i migliori, gli uomini più valorosi e giovani.
Ma Takijiro sapeva cosa doveva fare, lo aveva deciso da sempre, forse ancor prima che i fratelli partissero, che suo padre gli lacerasse nel sonno la gamba per allontanarlo il più possibile dalla guerra, che la guerra scoppiasse.
Non poteva restare inerme. Non poteva usare la sua gamba zoppa come alibi. Suo padre lo aveva reso un invalido per salvare almeno uno dei suoi figli dall' annientamento della guerra.
Takijiro lo avrebbe sorpreso, si sarebbe arruolato per la sua patria, per quel padre medico che sapeva esattamente dove colpire con una lama per mettere fuori uso una gamba e un eroe, per quella madre già morta, perché sopravvissuta a tanti figli, per quello spirito nazionale troppo orgoglioso per arrendersi.
Sua madre continuava a canticchiare, ora accennava qualche passo di danza e con gli occhi chiusi sembrava essere tornata nel passato, quando da giovanissima aveva festeggiato l' Hanami indossando il suo kimono più bello. Seguendo il ritmo della musica aveva danzato e proprio in quel momento aveva scorto da lontano un ragazzo, che quasi la spiava e che era subito arrossito quando si era accorto che lei gli sorrideva.
E gli sorrideva perché era così buffo quel ragazzo, con degli occhialini rotondi che gli ingradivano gli occhi facendolo sembrare un pesce, i capelli folti e disordinati,  il kimono troppo largo per quella corporatura così esile.
E sorrideva perché si vide in quegli occhi e capì che prima o poi i fiori sui rami sarebbero andati via, l' amore nello sguardo di quel ragazzo mai. Danzò per lui il giorno del matrimonio, poi per tutta la vita danzò con lui. Danzò con lui quando una fitta al ventre le fece perdere il loro primo bambino, quando un' emorragia di sangue le annunciò la morte di un bambino che doveva ancora passare per la vita. Ogni volta lui le aveva detto che sarebbe andato tutto bene, ponendole una mano sulla schiena per iniziare a danzare.
Così facendo le aveva fatto credere che sarebbero stati sempre felici e lei si era sempre più convinta che lui avesse ragione, anche perché finalmente partorì un bellissimo bambino e dopo un anno diedero vita ad un altro, ad un terzo e poi addirittura ad un quarto. Quattro maschi.
Infine, era arrivata la guerra e la vita volle indietro tutte le gioie che le aveva elargito: i suoi figli e anche suo marito.
Quest' ultimo, però, sapeva che non si può essere sempre felici, sapeva perfettamente che spesso prima che le cose vadano bene, bisogna passare da un inferno, da cui l' uscita non è garantita. Fu per questa ragione che di notte, l' ultima che passò in casa sua, andò in camera di suo figlio piccolo, gli chiese scusa e gli trafisse la gamba. Era l' ultimo dono che faceva a sua moglie: salvarle una parte di loro, un frammento di felicità, un sollievo. Fu così che quel medico così innamorato di sua moglie ingannò la guerra e la vita.
E sua moglie continuava a danzare, nonostante non le rimanesse che un figlio per giunta zoppo, nonostante solo ora si rendesse conto che suo marito l' aveva ingannata, promettendole invano un' eterna felicità.
Ma lei lo aveva perdonato, perché quell' eterna felicità lui in realtà gliel' aveva già donata innamorandosi di lei, mentre fiorivano su di lui i ciliegi.
Takijiro si alzò in piedi, aggrappandosi al bastone che suo padre gli aveva deposto ai piedi del letto prima di infilzargli la gamba. Camminava con passi incerti. Era dura per lui essere un invalido, dopo aver passato la vita ad allenare il suo corpo ad essere un' arma.
Sua madre smise di danzare e si fermò a guardare il figlio, che le andava incontro. Takijiro si fermò proprio davanti a lei e le diede un lungo bacio sulla fronte.
Lei aveva intuito tutto <<Allora hai proprio deciso>>.
<<Siamo già morti, madre: tu vivi solamente nei tuoi ricordi e io nei miei propositi. Non abbiamo più alcun contatto con il presente, siamo morti>> Rispose Takijiro.
<<Non cercherò di trattenerti, figlio mio>> Iniziò sua madre <<Il mio cuore è stato fatto a brandelli dalla sofferenza, ma è una terra straniera per la vendetta. Se è questo ciò che ti anima, ti prego di fermare la mano di questo maledetto demone>>.
<<No, madre, lo faccio per me. Lo faccio perché sono ancora un valoroso guerriero, nonostante questa gamba>>.
<<È il tuo cuore a renderti un valoroso guerriero, figlio mio...>>.
<<Ed è il mio cuore a spronarmi ad andare>> Concluse Takijiro.
Lui e sua madre si congedarono l' uno dall' altra attraverso un lungo sguardo, in cui si dissero tutto, poi Takijiro uscì.
Non c' era nessuno per strada, scelse di giungere alla caserma costeggiando il fiume, proprio quello dove andava a pescare con i suoi fratelli, dove aveva imparato a nuotare e dove amava andare per guardare il stelle.
Aveva quasi 20 anni, eppure aveva già deciso di morire. Ora si era sollevata una leggera brezza e pesanti nuvole grigie avevano offuscato le stelle, Takijiro sarebbe arrivato alla caserma zuppo d' acqua. Magari avrebbero anche deriso quello zoppo fradicio, che voleva lanciarsi sulle navi americane.
Takijiro accelerò il passo per quanto potesse e per quanto il dolore alla gamba gli permettesse.
Qualcosa sfrecciò accanto al suo fianco, perse quasi l' equilibrio, ma si ristabilì subito. Si guardò attorno, la via ere deserta. Pensò che dovesss essere un gatto, perciò continuò a camminare come se nulla fosse. Un lampo precipitò proprio lì vicino, cadendo sull' altra sponda del fiume.
Grossi goccioloni iniziavano a cadere dalle nuvole gonfie, diventando man mano più fitti e violenti. Takijiro fu di nuovo investito da qualcosa di veloce e invisibile, che lo sfiorò su un fianco.
Si mise in posizione di guardia, guardandosi attorno e voltandosi vide una figura dietro di lui.
Era una figura femminile, gli dava le spalle e fu un secondo lampo a illuminarla. Indossava un kimono bianco decorato con fiori di ciliegio. Si voltò lentamente, era elegantemente pettinata e finemente truccata. Non aveva gli occhi a mandorla, erano blu.
<<Chi sei?>> Gridò Takijiro per sovrastare il rumore della pioggia.
<<Mi chiamo Lucia>> Sorrise lei.
Era molto bella, Takijiro rimase immobile, mentre lei si avvicinava a piccoli passi.
<<Non sei giapponese, come fai a parlare la mia lingua?>>.
<<Io conosco tutte le lingue>> Aveva uno sguardo malizioso, vivace e furbo.
<<Sei una spia americana?>> Si insospettì lui, lei scosse il capo.
Ora erano l' uno di fronte all' altra, la pioggia cadeva a catinelle su loro due, più scioglieva il trucco sul suo volto, più smascherava la sua bellezza.
<<Mi stai seguendo?>> Le chiese lui. Lei annuì con un sorriso da bambina pizzicata con le mani nel miele.
<<Perché?>> Urlò lui.
<<Perché siamo fatti l' uno per l' altra>>.
Takijiro strinse con forza ol bastone, sollevandolo in aria per batterlo violentemente su quella sconosciuta, ma lei fu di una velocità disumana: arrestò il bastone in aria, lo strappò dalle mani di Takijiro e lo lanciò nel fiume.
<<Non ti servirà più!>> Esclamò lei senza perdere il sorriso. Takijiro la guardava sbigottito, senza bastone vacillava, ma lei lo reggeva passandogli una mano sotto un braccio e portandola sulla sua schiena. Lui era molto più alto di lei, eppure erano così armoniosi in quel momento, che sembrava che stessero danzando.
<<Io ti renderò il guerriero più valoroso; non avrai padroni da servire; non dovrai mai sacrificare nulla; ti temeranno tutti; chiunque rispetterà il tuo nome; dovrai ubbidire solamente al tuo cuore e io ti chiedo di dare a me il tuo cuore, così come io ti sto porgendo il mio. Vuoi condividere con me una felicità che durerà per tutta l' eternità?>> Gli chiese lei con la più dolce tra le voci.
Takijiro era prigioniero dei suoi occhi blu, delle sue promesse e di quella bellezza, che gli aveva già trafitto il cuore. Si chinò su di lei e appoggiò le sue labbra sulle sue. Restarono così a lungo, danzando sulle note di quella pioggia.
Sentì qualcosa affondare nelle sue labbra, sangue che usciva da lui e sangue che entrava in lui. Lei lo abbracciava ancora più teneramente e saldamente, nonostante il dolore alla gamba fosse misteriosamente sparito.
Smise di piovere e un leggero torpore calò sulle palpebre di Takijiro. Si lasciò cullare da Lucia, che gli separava i capelli bagnati sulla fronte ripetendogli ancora quanto lo amasse.



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