Luna

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Il corteo funebre del faraone giungeva alla piramide sotto il tramonto afoso dell' Egitto. Il faraone era morto da più di 70 anni, eppure solamente adesso veniva consegnato alla sua piramide, il corpo racchiuso in una tomba d' oro, che a sua volta sarebbe stato fagocitato da una piramide che pungeva la superficie del cielo.
Il corpo senza vita del faraone era stato maneggiato prima dagli imbalsamatori, i quali gli avevano tolto prima tutti gli organi, eccetto il cuore; poi lo avevano cosparso con oli e altre sostanze profumate e infine lo avevano avvolto in più veli.
Selene osservava silenziosa quei tesori, che stavano accompagnando il faraone nell' aldilà. Tra quegli ori, tra quelle sete, tra quei gioielli, tra quelle pietre preziose, tra vesti di pregiata e raffinatissima fattura, tra quei profumi, tra quegli anelli così maestosi, c' era anche lei.
Il faraone l' aveva trattata per tutta la vita come una divinità, fin da quando poco più che bambina l' avevano donata a suo padre.
Selene non aveva nessun ricordo relativo alla sua vita, prima che fosse porta a quel farone impacchettata in un sontuoso tappeto proveniente da terre molto distanti. Era come se la sua esistenza fosse iniziata in quel momento, quando dal buio cupo e ovattato di quel tappeto era stata, come partorita, gettata in una stanza gigantesca, dal lusso abbagliante e tempestata di occhi fissi su Selene, che completamente nuda tentava di coprirsi solamente grazie all' ausilio delle sue mani e di quel rossore che si spargeva sulla sua pelle ambrata, esattamente come accadeva quando l' acqua del Nilo straripava inondando i territori limitrofi.
Il vecchio faraone non l' aveva mai toccata, neppure sfiorata minimamente, preferendo la compagnia di giovinetti o di donne più esperte. Quando questo morì, suo figlio come primo ordine diede quello di portare Selene nelle sue stanze.
Ella fu condotta da alcuni soldati nella camera del faraone in piena notte. Il faraone pretese di essere lasciato solo, volle con lui solamente quella fanciulla così bella, sul cui volto era dipinto un rosso pudore, che stordì il farone come se fosse il gioiello più seducente di tutto l' Egitto.
Quel faraone, ancora così giovane, l' aveva sognata per un lasso di tempo quasi eterno. Disponeva di un intero harem, era sposato con una delle più incantevoli donne del suo regno, possedeva innumerevoli amanti e aveva il potere di trasformare tutte le fanciulle egiziane nobili e non in cortigiane inginocchiate ai suoi piedi.
Tuttavia, in mente aveva sempre avuto lei e aveva sempre fantasticato su tutti i piaceri sfrenati che avrebbe sfogato sul suo bellissimo e desiderato corpo, quando avrebbe potuto avvinghiarsi ad esso. Eppure, ora che era davanti a sé, si sentiva un ragazzino alle prime esperienze, intimidito da quello splendore. Attratto da quella perfezione, ma lo allo stesso tempo timoroso e inadeguato.
Tremando le prese una mano e la fece accomodare sul suo letto, come se fosse una dea portata lì dalla luce della luna. Fu per questa ragione che le diede come nome Selene, che nella lingua dei Greci discendeva direttamente dalla luna, e fu sempre per questa ragione che dai suoi gioiellieri fece forgiare un gioiello con quella forma.
Selene, intanto, teneva lo sguardo basso, perché non era ancora consapevole della sua bellezza e del potere che essa le conferisse. Il faraone sembrava veramente il figlio di un dio: aveva un bel profilo, labbra carnose e spalle larghe, protettive. Le si avvicinò lentamente, chiedendole quasi il permesso prima di accostare le sue labbra alla sua pelle e assaporarla attraverso lunghi baci.
Continuava a ripeterle quella parola, "Selene", alternandola ai baci. Dinanzi a lei, le sue labbra non sapevano fare altro che articolare baci e invocare la luna.
Selene sembrava così indifferente a lui, ma in realtà stava solamente morendo di paura.
Vibrò di piacere e di dolore, quando il suo faraone la penetrò. Non ignorò quella smorfia di sofferenza, ma al contrario le accarezzò il volto quasi per scusarsi. A Selene parve così bizzarro quel modo di fare: un faraone che si scusa con una schiava! Con lei si comportava come un pastorello!
Era così delicato, incredibilmente diverso da tutti quelli che l' avevano preceduta: quegli uomini che le erano saltati addosso, come belve, tappandole violentemente la bocca per farla tacere, possedendola con foga, senza pietà, senza la premura di non farla sentire un oggetto.
Selene, indirizzò lo sguardo verso il sarcofago del suo faraone, tra poco sarebbe stata rinchiusa in quella piramide con lui. Sarebbe invecchiata lì dentro e poi sarebbe morta sbarrando i suoi su un' esistenza segnata solamente da abusi, sofferenze, cattiveria, indifferenza e brevi parentesi di serenità. Parentesi tutte regalatele dal suo faraone, parentesi in cui Selene aveva quasi conosciuto cosa fosse l' amore.
I rituali del sacerdote si erano finalmente conclusi, ora non restava che introdurre all' interno della piramide il sarcofago del faraone e i suoi tesori.
Selene si sentì sollevare da forti braccia, che la issarono su un carro rivestito di morbidi cuscini. Era notte ormai e le uniche luci provenivano dalle fiaccole. Il nuovo faraone sollecitò i suoi funzionari di corte a procedere più speditamente e infatti dopo circa una mezz' oretta Selene sedeva all' interno della piramide, accanto ad un sarcofago e circondata dal luccichio dell' oro.
Si lasciò sprofondare tra cuscini soffici e si rese conto di aver compiuto un grosso errore: non sarebbe mai invecchiata lì dentro, sarebbe morta di fame, perciò si augurò che quel momento arrivasse presto.
<<È davvero singolare vedere una priogioniera ridere>> La colse di sorpresa una voce. Selene si guardò intorno, il cuore nel petto era un martello che segnalava l' accrescere del terrore, che provava in quei momenti.
<<Chi sei?>> Urlò scattando in piedi. Non c' era nessuno lì.
<<Ti presento subito>> Rise sardonica la voce incorporea.
Il coperchio del sarcofago deflagrò e il proprietario di quella voce balzò in quella stanza.
Era vestito come un faraone, ma aveva lunghissimi capelli neri, un' espressione intelligente e ambiziosa sul volto sorridente.
<<Il mio nome è Aristomaco, mentre il tuo non è solamente soave e dolce come il miele, ma mi riporta con la mente lì dove sono nato e cresciuto bagnato dalle acque del mare, dominio del dio Poseidone. Oh la Grecia, mi manca così tanto...>>.
Selene lo guardava interdetta, ancora scossa e con il cuore che non trovava pace nel suo petto.
<<Ti ci porterò in Grecia, mia adorata. Ti mostrerò io stesso le scogliere, dove da fanciullo mi arrampicavo; gli ulivi che popolano le campagne; le arnie, dove le api operose producono l' unica sostanza che può competere forse con la  tua dolce; il miele: ti indicherò le vite, dal cui nettare scorre fecondo il vino. È meraviglioso il vino, il suo colore lo rende magico, perché assomiglia al vermiglio del sangue>>.
Le tese la mano e Selene gliela prese, affascinata com' era dalle sue parole e da quel modo di parlare melodioso, simile all' intonazione di un canto.
<<Che sciocco che sono a descrivere la bellezza, proprio a te che sei la bellezza>> Abbassò gli occhi sul petto di Selene e proprio in direzione del cuore pose una mano, socchiudendo gli occhi <<Mi beo del battito del tuo cuore, che suono meraviglioso e indescrivibile!>>.
Tolse la mano e vi pose per un istante l' orecchio, poi la guardò intensamente negli occhi <<Vedrai tutta la bellezza che c' è nel mondo: l' Egitto cadere in mille pezzi, un nuovo Impero sorgere e splendere fino ad eclissarsi per sempre, le guerre, le paci più insulse e brevi essere travolte da nuove guerre, la nascita di nuovi regni, re gloriosi innalzarsi potenti e cadere poi nella polvere, uomini chiamati Papi predicare la pace subito dopo aver dichiarato guerra, il dilagare delle follie umane, l' incenerirsi della ragione umana, l' esplosione di ere di ricchezze che poi l' uomo sconterà con secoli di fame, il combattimento di conflitti totalmente diversi rispetto agli altri, capaci di polverizzare le città con funghi giganteschi.... Ti mostrerò l' eternità, ma non riuscirò a convincerti che non esiste nulla di più bello di te>>.
Selene si sentì come se una potentissima droga stesse agendo su di lei, stordendo i suoi sensi e la sua mente.
Aristomaco si allontanò per un attimo, giusto il tempo per rimediare due calici d' oro, con sopra rubini rossi come il sangue. Reggeva nell' altra mano una lancia aguzza, posò i calici su quello che restava del coperchio del sarcofago vuoto. Con punta della lancia tracciò una lunga ferita sul suo avambraccio, fece zampillare il suo sangue in uno dei due calici e poi lo consegnò a Selene con un inchino.
Con la punta di quella lancia lacerò soltanto in superficie il costato di Selene, un piccolo fiume di sangue colmò il fondo del secondo calice.
<<Bevi, mia amata>> La esortò lui ed entrambi avvicinarono quasi simultaneamente il proprio calice alle labbra.
Selene bevve avidamente, poi svenuta roteò tra le braccia di Aristomaco, già protese verso di lei.
Mai l' Egitto era stato illuminato da una luna bella magnetica come quella notte.

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