Trappola

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Lucia sedeva sulla sommità di un armadio, aveva le gambe incrociate e guardava divertita lo spettacolo sotto i suoi occhi. Takijiro e Il Bovino lottavano l' uno contro l' altro, entrambi a petto nudo e con i muscoli tesi.
Takijiro, ovviamente, era molto più forte: parava i colpi con estrema facilità ed era puntuale nel scaraventare ripetutamente il suo avversario contro la parete.
Lucia canticchiava la canzoncina di un cartone animato, che poche ore prima aveva fatto da colonna sonora della loro cena: una madre e i suoi due bimbi. Il Bovino aveva una forza impressionante e una fama insaziabile.
Takijiro lo batteva continuamente, scagliandolo a terra, più Il Bovino veniva sbattuto al suolo e più si rialzava incattivito. Più li guardava, più Lucia era soddisfatta di quanto aveva fatto.
Il Bovino era perfetto per il suo piano. Con una piroetta atterrò ai piedi dell' armadio, su cui era appollaiata. I due maschi, sentendosi osservati più che mai dalla loro domina, resero ancora più acceso lo scontro. Il Bovino si gettava con tutto il suo peso su Takijiro, che atterrava di qualche passo e cercava di respingerlo con spintoni e calci.
Lucia con passi cadenzati simili a quelle di una danza, si aggirava tra di loro, con le braccia dietro la schiena. Takijiro con un agile balzo si issò sulle spalle del Bovino, che si dibatteva come un toro infuriato, tentando di disarcionare il vampiro su di lui
Takijiro afferrò il collo del Bovino e disegnando nell' aria una parola volteggiò sferrando un calcio nel petto del suo avversario. Il Bovino stramazzò a terra con un verso rauco e strozzato.
Restò disteso a terra, a pancia in giù, irradiando grugniti rotti e sempre più bassi di intensità per tutta la stanza. Takijiro ridacchiava con le mani sui fianchi, vittorioso posò il suo piede sulla schiena del Bovino.
Lucia prevedette tutto. Takijiro si schiantò a terra, tirato per la caviglia dal piede del Bovino, che con la bava schiumante alla bocca si innalzava come una massiccia montagna sul suo rivale.
Le venuzze del collo taurino erano dei bassorilievi che pulsavano sangue e rabbia. Takijiro esterrefatto fissava sul ghigno animalesco del Bovino, i suoi colpi sprofondavano nella carne del rivale, non procurandogli alcun rivale.
Il Bovino sferrò un pugno dritto contro il suo volto, poi un altro e un terzo che si abbatté con una violenza inaudita sul suo petto. Takijiro sputava sangue e tossiva, mentre i suoi occhi strizzati dal dolore vagavano erranti alla ricerca di un punto debole del Bovino, le cui mani ora impugnavano le orecchie di Takijiro, come se fosse una coppa. Ritmicamente sollevò la sua testa e la picchiò contro il suolo. Takijiro non articolava alcun suno, mentre dal Bovino fuoriuscivano cupi versi gutturali a fiotti, con cui scandiva i colpi inferti all' altro vampiro.
Sul pavimento si estendeva una macchia circolare di sangue, che si allargava sempre di più, nutrita dallo sbattere della testa di Takijiro al pavimento.
<<Basta così>> Li fermò oziosamente Lucia, guardandosi le unghie <<Direi che così va più che bene>>.
Il Bovino si fermò di scatto, nonostante dal suo volto si intuiva che avrebbe continuato a malmenare Takijiro per ore. L' altro vampiro si alzò con difficoltà, tastandosi la nuca, da cui sgorgava copioso il sangue.
<<Dovrai combattere così violentemente>> Spiegò Lucia al Bovino posando una mano sulla sua spalla e sorridendo maliziosa <<Non ti sto chiedendo di ammazzarlo subito. Non voglio che tu lo faccia. Dovrai attaccarlo, dopodiché giocarci un po' e alla fine, quando ti darò il segnale, farlo fuori. È chiaro?>>.
Il Bovino annuì.
Lucia tolse la mano dalla sua spalla lentamente, strusciando sulla sua pelle sudata. Takijiro la guardava con rancore, gonfio di vergogna e gelosia. Con la coda dell' occhio provava un odio viscerale sempre più crescente per Il Bovino, che guardava liberamente i fianchi di Lucia, mentre camminava verso l' armadio, spalancava l' armadio e schiaffeggiava quel bambino urlante.
<<Te lo sei guadagnato!>> Disse lei porgendo al Bovino il bambino e un bacio.
Il Bovino si godette quel bacio sfidando con lo sguardo Takijiro e avventandosi su quel bambino con uno slancio famelico.
Lucia si arrampicò sull' armadio e sdraiata lì sopra, riprese a limarsi le unghie con l' orgoglio e la fierezza, che fiammeggiavano nei suoi occhi belli e maledetti.


Il cuore nel petto di Selene era un cielo notturno in tempesta, con fulmini e saette che squarciavano ogni briciolo di esso. Si aggirava per la tana con un lungo vestito nero, che la faceva sembrare una giovane e bella sposa già vedova. Le mani incrociate sul petto, come se volesse salvare i cocci di quel cuore andato in frantumi.
Kerman arrivò alle sue spalle rapido come un serpente, la afferrò per un braccio costringendola a voltarsi.
Si sentiva forte e capace di fronteggiare quegli occhi. Si scoprì estremamente debole, proprio perché vide in quegli occhi il peso che aveva per la loro proprietaria: nulla. Quello che potrebbe avere un granello di polvere per una gatta, che continua a miagolare leccandosi la zampa ferita dalla fionda di un teppista. Il peso dell' indifferenza: più che lievissimo per chi la esercita, pesante come piombo per chi la subisce.
<<Che cosa voleva da te Aristomaco? Vi ho visti!>> Le disse Kerman, non con la voce rabbiosa che aveva sentito urlare dentro di lui quando li aveva visti insieme, abbracciati; ma con un filo di voce, già da sconfitto.
<<Non toccarmi!>> Selene si liberò di quella debole presa, ma Kerman la intrappolò nuovamente tra le sue braccia.
<<Posso tollerare qualsiasi cosa, Selene. Accetto che tu mi tradisca con Alessandro. Non mi ribello al tuo amore esaurito o forse mai germogliato nei miei confronti. Ma non posso in alcun modo lasciarti ritornare da Aristomaco. Non farmi questo, ti prego>>.
La voce di Kerman era ferita, incrinata e vibrava scossa dal vento impetuoso di una sofferenza, che lo aveva pugnalato conficcandosi in profondità.
<<Se è questa l' unica cosa di cui ti importa,>> Negli occhi di Selene si gonfiava sempre di più il disprezzo <<Puoi stare tranquillo. Ho dichiarato guerra ad Aristomaco molto prima che lo facessi tu>>.
Kerman tentò di baciarla, ma Selene lo schiaffeggiò riempiendo la stanza, fino alle pareti, di suoni simili a scudisciate.
<<È Alessandro che ti sta facendo in questo modo. Dovresti prendertela con lui, non con me>> Kerman guardava Selene con il capo chino, come un bambino offeso e deluso da una sberla immeritata.
Selene lo spintonò leggermente e poi andò via, sollevandosi la veste nera, che sfiorò i piedi di Kerman e poi sparì con lei.
Selene uscì nella sera appena sorta, mentre una luna immensa e circolare eclissava con la sua luce bianca e ghiacciata tutte le stelle attorno ad essa.
Camminava Selene come una furia, calpestando energicamente il pavimento irregolare della città antica con i suoi tacchi. Si arrampicò lungo degli scalini tortuosi e ripidi e spuntò su un' altura, sopra cui era abbarbicata una chiesetta. Si fermò a sfidare il cielo con le mani sui fianchi, bellissima e pericolosissima.
Ciò che squarciava il suo cuore chiedeva solamente di irrompere, uscire da lei come un fiume in piena, esplodere e far esplodere tutto. Si aggrappò con le mani ad una ringhiera di ferro e la scavalcò. Sotto di sé vi era la vastità di nulla fatto di altezze oscure, misteriose e letali.
Si lasciò andare con un urlo acuto e isterico. Il volo fu molto breve, qualcuno le prese per la vita e la tirò su.
<<Non ti salvo dalla morte, ma dall' infamia di esserti dimenticata che noi vampiri siamo immuni alla forza di gravità>>.
Era Aristomaco che la reggeva e che adesso la lasciava andare.
Selene sorrise, vittoriosa, quella gonna nascondeva una tasca tra le sue innumerevoli pieghe. Sollevò il pugnale d' argento, mentre la sua stessa mano andava a fuoco.
Fu un lampo argentato illuminato dalla Luna. Aristomaco stupefatto assistette al tradimento di una rosa, che ti sorprende con le sue spine. La punta acuminata di quell' argentato tradimento sfiorò il suo collo, lo scalfì, ma poi precipitò a terra.
La mano di Selene era annerita, si sbriciolava come carbone incenerito nell' aria. Una nuvola fosca ora si stava mangiando la luna, facendo tornare a galla tutte le stelle.
Selene cadde a terra, in ginocchio, fissando la sua mano. Non restavano che due dita.
<<Perché l' hai fatto?>>.
<<Perché hai rovinato l' eternità, che mi avevi consegnato>>.
<<Sei una stupida, Selene>>.
<<Uccidimi>> Ora lei quasi lo implorava <<Kerman ti verrà a prendere e finirà quello che ho iniziato. Quello che ho iniziato andandomene via da te. Solo ora capisco quanto ti ho fatto soffrire. Solo ora capisco i giochi dell' amore e quanto sia bravo nel mascherare il male, facendole scambiare per il bene assoluto. Ora lo so>>.
<<Hai pianificato questo finto suicidio, perché sapevi che ti avrei salvata. Era una trappola per me. Come mai non hai finito di uccidermi allora? Come mai quel pugnale è per terra e non nel mio collo>>.
Aristomaco diede un calcio al pugnale con la punta del suo stivale.
Selene non trovò una risposta. Forse non ce n' era o forse era perché aveva capito solo in quel momento quanto lei e Aristomaco fossero simili. Gli volle bene come si fa con un fratello o con chi conosce ciò che stiamo affrontando, perché è da anni che combatte con esso.
Voleva trovare Alessandro, a tutti i costi. Gli occhi le scivolarono verso il pugnale. La luna era tornata a regnare nel cielo, brillava su quel pugnale facendolo sembrare più invitante che mai.

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