(1 di 2) Gridando dentro al cuscino per nascondere l'urlo

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Il seguente capitolo è diviso in due parti

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Einar siede da solo al tavolino di un bar della periferia di Monza. Ha il cappuccio della felpa calato sugli occhi azzurri, le gambe -fasciate da una tuta morbida- virilmente accavallate.
Davanti a sé, sul tavolo di plastica sbiadita, una coca-cola e un tramezzino, entrambi ancora intonsi.

Tiene lo sguardo fisso qualche metro più in là, verso uno degli sgabelli del bancone: il barista, un uomo dalla lunga barba bianca, sta lavando dei boccali di birra mentre guarda una partita alla tv e, di tanto in tanto, commenta le azioni con qualche altro presente.

L'attenzione di Einar, però, è focalizzata su Filippo, da ore.
Dopo la fuga da casa Fanti, Einar ha guidato per un po' con la mano posata sul suo ginocchio, permettendogli di calmare quel pianto nervoso che continuava a squassargli le ossa.
Poi si sono fermati ed sono finiti in questo bar, uno dei più bassi dei quartieri, popolato solo da anziani che giocano a carte e si fanno un bicchierino di troppo già all'ora di pranzo.

Filippo, quindi, è chino su quel bancone da tutto il pomeriggio: ha bevuto così tanto che Einar ha perso il conto dei bicchieri.
La sua è una sbronza triste, che gli fa stringere le dita tatuate sul bicchiere di turno e tenere la testa bassa. Cerca di offuscare i pensieri, di spegnere il cervello.

Per evitare che facesse stronzate, Einar ha deciso di rimanere con lui (come se il suo cuore e il suo amore gli avessero anche solo potuto fare prendere in considerazione l'idea di lasciarlo solo...) e, nel dubbio, gli ha anche tolto il cellulare, per evitare che scrivesse qualche stronzata a qualcuno o che pubblicasse qualcosa sui social.
Ciò che lo ha colpito, comunque, è che quel telefono è rimasto muto: né sua madre né suo padre hanno provato a telefonargli. Tutto questo rende Einar profondamente triste e sa, sa quanto deve essere difficile per Filippo. Anzi, forse non riesce nemmeno ad immaginarlo totalmente.

"Un altro" biascica Fil alzando il dito verso il barista.

Siccome l'uomo lo ha capito, che quello strano ragazzo tatuato e con la giacca di pelle -a gennaio!- è insieme a lui, da un'occhiata ad Einar che scuote appena il capo, per negargli il permesso di versargli l'ennesimo bicchiere.

La decisione di sedersi lontano da Fil è stata piuttosto combattuta, quando sono arrivati al bar: Einar non è stato sicuro di potercela fare, a guardarlo ubriacarsi e distruggersi senza fare nulla. Dall'altra parte, però, sapeva che non avrebbe nemmeno potuto impedirglielo. D'altronde, era il suo modo per punirsi e chi era, lui, per proibirglielo?

Einar si alza e prende il portafogli dalla tasca dei jeans, si avvicina al bancone e fa un cenno al barista.

"Avanti, ragazzo, è ora di andare a casa" dice l'uomo e consegna uno scontrino al cubano, aggiungendo con un sorriso che l'ultimo giro lo ha offerto lui. E anche il tramezzino.

Einar paga, poi accarezza la schiena del fidanzato e ferma la mano sul suo fianco, per tenerlo saldamente.

"Forza, Fil, andiamo" mormora facendolo scendere dallo sgabello. Poi, con un altro cenno, saluta e ringrazia il barista.

Fortunatamente, Ein ha le spalle larghe e sorreggere un Filippo ubriaco e barcollante non richiede troppo impegno.
Lo preoccupa di più reggere quella situazione a livello mentale.
Ecco, questo pomeriggio non è stato sicuro di potercela fare, mentre guardava e riguardava la persona che ama distruggersi con le sue stesse mani, bicchiere dopo bicchiere.

Troppi ricordi sono tornati a galla, in queste ore, e gli hanno corroso cuore e fegato più dell'alcool.
Ma vuole essere forte per Filippo e deve discostarlo dalla figura di sua madre: deve relegare la donna in un angolo della mente ancora per un po'.

Come sopra un ring (Eiram)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora