Ogni mio ricordo mi incatena

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*

Einar siede su una panchina di pietra, una di quelle senza schienale, in una piazzola deserta, nonostante siano appena le sette di sera. Forse fa davvero troppo freddo.
Hanno camminato per un po', spalla a spalla, le dita di Fil a sfiorare la mano di Einar, come a dirgli io ci sono e soprattutto io non vado da nessuna parte.
Einar non ha parlato, è rimasto in totale silenzio e Fil lo ha rispettato, ha marciato accanto a lui, inconsapevole di quali ricordi lo stessero martoriando dentro.
Quando Einar si è seduto, a cavallo della vecchia panchina di pietra, Fil gli si è immediatamente fatto accanto.
Adesso, Einar tiene lo sguardo oltre la spalla di Filippo, verso il panorama serale che gli offre quella posizione.
Ha ancora voglia di piangere e si odia per essere così debole.
Filippo porta le mani sulle sue, le stringe appena.

"Va meglio?" chiede apprensivo ed Einar fa un cenno timido per dire di sì. Va davvero un po' meglio, quel pianto lo ha, in un certo senso, rilassato.
Filippo sa che Einar non ha avuto né un'infanzia né un'adolescenza facile ed è consapevole che Brescia gli porta alla mente ricordi, che belli o brutti che siano, lo sopraffanno senza pietà.
Era comprensibile che prima o poi, Einar sarebbe scoppiato, Fil ha avuto il sentore già dalla sera precedente, da quella sigaretta fumata sul balcone.

E comunque, si sente in colpa per aver insistito -anche se per un attimo- perché Einar si sedesse sull'altalena accanto a lui, che stessero un po' lì in quel parco deserto.

"Mi dispiace per prima. Non avrei dovuto insistere" lascia scivolare via piano, la voce graffiata di senso di colpa.

"Non potevi saperlo. Non ti preoccupare."

Non ti preoccupare. La frase preferita di Einar quando non vuole far sentire qualcuno responsabile di qualcosa. A suo discapito. Non vuole che Fil vada in paranoia per ciò che è successo, non poteva saperlo. Nessuno può saperlo.

"Vuoi una sigaretta?" domanda Fil prendendo il pacchetto dalla giacca e portandosene subito dopo una alle labbra.

"Forse è meglio" risponde Einar e Filippo sgrana di nuovo gli occhi, adesso davvero teso.
Se il cubano fuma per rilassarsi, la situazione è proprio grave.
Fil gli allunga la sigaretta, gliela lascia tra le dita e lo sente di nuovo tremare, appena appena, ma lui se ne accorge in un attimo. Gli passa anche l'accendino ma il tremore dell'altro si è fatto tale che dopo tre tentativi non riesce a far uscire la fiamma.

"Okay" fa Fil posando le mani sulle sue e fermando quel movimento nervoso "calma. Ci penso io, mh?" e si accende la sigaretta che ha tra le labbra, poi gliela passa.
Sta davvero cercando di non andare in paranoia.

Einar fa un cenno, poi un lungo tiro, gli occhi blu liquidi di lacrime e tristezza e lo sguardo fisso sulle luci della città.

"Sono arrivato qui a nove anni, lo sai no? Ovviamente non è stato facile. Non sarebbe stato facile per un bambino qualsiasi, uno che cambiava semplicemente scuola. Immagina quanto sia stato difficile per un bambino come me" inizia a dire, calcando con una sorta di disprezzo le ultime due parole.

Filippo lo guarda fisso, assottiglia un po' gli occhi verdi cercando di capire cosa intenda davvero Einar. Il significato di quella frase gli scappa un po', non riesce a trovarlo.

"Straniero?" tenta, allora, sussurrando quasi la parola.
Straniero. Che cazzata. Per lui Einar non è straniero, è un bresciano doc, con quella cadenza che inquina ogni sua parola e lo fa ridere.

"Straniero, sì. Ma anche grasso e povero."

Fil non riesce ad ignorare la nota di svilimento nella sua voce, sempre così gentile e piena d'amore per tutti.
Tranne che per se stesso (come quando si era sorpreso, ad Amici, e aveva detto sembravo un cantante vero. E Filippo, con gli occhi un po' al cielo, aveva risposto tu sei un cantante vero, coglione.)
Ma adesso sente solo il cuore che gli batte fortissimo in gola, fin nelle orecchie.
Ha paura di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Allora rimane immobile. Quasi trattiene il respiro.

Come sopra un ring (Eiram)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora