Ti chiedo ancora il senso che ci lega

692 64 58
                                    

*

L'ennesimo lampo squarcia il buio della notte, fa tremare il terreno da quanto è vicino il temporale. La tempesta non accenna a placarsi, il vento è sempre più forte e la pioggia battente è ancora più fredda di prima.

Filippo batte i denti.
Batte i denti con la testa tra le ginocchia, cerca di tenersi le gambe strette e di non avere più paura. Perché Einar è lì, accanto a lui, come lui, fradicio come lui, sotto la pioggia come lui.
È così stanco, Filippo, che non pensa di avere le forze di aprire gli occhi verdi. Forse non sono nemmeno più verdi, ma sono neri come tutto ciò che ha attorno.
L'unica fonte di calore è data dalla mano di Einar, posata sulla sua: i loro cuori battono all'unisono anche in questa occasione, eppure nessuno dei due parla nè guarda l'altro.

Filippo si sente davvero malissimo: sa di non essere la parte lesa della coppia, almeno non del tutto, ma il panico lo ha dilaniato, stancato a livelli che non sa quantificare.

Einar lo sente tremare contro di sè. Gli è bastato sedersi accanto a lui, sull'asfalto bagnato, per capire che Fil è ancora invaso dagli strascichi di un attacco di panico.
Adesso che sono lì, insieme, da non sa nemmeno quanto, Einar inizia a preoccuparsi.
Allora, come ha sempre fatto, mette un po' da parte se stesso e i suoi sentimenti, mette via anche la rabbia, la ripone in un cassetto della sua testa: lascia che le sue dita risalgano lungo il braccio di Filippo, lascia che arrivino alla spalla. Lì stringe appena la presa.

"Ce la fai, ad alzarti?"

Lo domanda con una dolcezza tale che a Filippo viene da piangere. Ancora. Trova la forza per posare la mano -quella fasciata per il taglio- sulla sua e gli afferra le dita.
Quando alza un po' lo sguardo, Einar lo può vedere solo sotto la luce di un lampione qualche metro più in là. Eppure gli basta per spaventarsi: vede che Fil non è solamente pallido, ma grigiastro, come se dovesse collassare da un momento all'altro.
E nonostante anche lui stesso si senta stravolto, si alza in piedi e lo tira su con sé, con tutta la forza che trova, riposta in un angolino del suo fegato.

Filippo gli sbatte contro il petto, posa la fronte contro la sua spalla e sembra non reggersi in piedi.
Ma poi alza la testa ed è il suo turno di guardarlo negli occhi. Gli sfiora la linea dello zigomo con le dita, in un movimento lento, delicato, rallentato dai suoi sensi offuscati.

"Dimmi che stai bene" gli sussurra, con quella voce roca.

"Non sto bene, Filippo. Né io né te stiamo bene. Sono ancora incazzato. Ma non è il momento per affrontare il discorso. Troviamo un posto dove asciugarci e riscaldarci."

Ci tiene, Einar, a fargli sapere che è ancora nero di rabbia e che non sarà quell'attacco di panico a fargli passare l'incazzatura che ha, ancora per quel gesto che proprio Filippo ha fatto.
Ma ci tiene anche a fargli capire che, nonostante tutto, mette il suo bene, prima del proprio. E che quindi cercheranno un posto dove passare il resto della notte.
Così tira fuori il telefono e, per mezzo di un'applicazione, prenota il posto più vicino a loro.

"Adesso andiamo" dice semplicemente riponendo il telefono in tasca e poi guardando Filippo: lo guarda di striscio e può confermare a se stesso che no, non gli fa schifo guardarlo, ma che anzi lo guarderebbe ancora per ore. Allora un po' si tranquillizza e si dice che forse c'è ancora, quell'amore travolgente che prova per lui. Forse è solo nascosto sotto strati di rabbia e tristezza.

L'hotel che Einar ha prenotato è uno di quelli vecchi, dal design di vent'anni fa e con un signore, alla reception, che non ha molta voglia di lavorare, non alle tre del mattino: Einar lo ha prenotato perché è l'unico libero, che accetti una prenotazione così tardi la sera ma anche così presto la mattina. Ed è anche il più vicino.
Sa che più di così, Filippo non sarebbe  in grado di camminare e la macchina è parcheggiata troppo distante.

Come sopra un ring (Eiram)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora