Sono un casino

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*

Gocce di rugiada brillano sotto i primi raggi di sole di una nuova giornata, mentre i colori dell'alba scivolano tra le curve delle nuvole, ancora ferme all'orizzonte dalla notte precedente.
La neve si è sciolta quasi del tutto, ne è rimasto solo qualche mucchio sporco ai bordi delle strade ma, anche per quest'anno, il gelo peggiore sembra essersene andato dalla città.

Filippo siede sul muretto del parco, quello più in alto, da dove riesce a vedere la città svegliarsi dal sonno.
Quante volte ha visto l'alba di Monza, non lo sa, sicuramente più di ogni altro cittadino, dato che lì, in quel parco vicino alla ferrovia, ci ha passato le notti fino a vedere il sole sorgere. Era sempre il primo tra i suoi amici che arrivava e l'ultimo, che la mattina, se ne andava.

Piega le gambe, i piedi uniti e i jeans infilati dentro agli stivaletti scuri. Con le braccia attorno alle gambe, appoggia il mento sulle ginocchia e poi lascia andare un sospiro.
La testa gli scoppia da quanto ha bevuto e gli fa male la schiena per aver vomitato e poi dormito rannicchiato nel bagno.
Si massaggia le tempie con vigore, cercando di alleviare il dolore e mandare via la confusione.

Quando si è svegliato, incastrato tra le braccia di Einar sul pavimento del bagno, ha sentito il bisogno di uscire e prendere aria, camminare per un po' nella città ancora dormiente.

I sensi di colpa non lo lasciano in pace, gli stringono il cuore tra gli artigli e glielo fanno sentire pesante: gli ultimi giorni sono stati da incubo e non ricorda di averne passati di così terribili dalla morte di sua nonna. L'unica boccata d'ossigeno, ai tempi, era stata l'entrata alla scuola di Amici e, soprattutto, aver incrociato il proprio cammino con quellp di Einar.
Gli piace molto l'idea di un destino già scritto per loro due.
Quel ragazzo è stato una totale benedizione, colui che lo ha fatto tornare a respirare, a sorridere di nuovo e a rendersi conto di poter essere una persona normale, che dorme la notte e può anche divertirsi senza sentirsi in colpa col mondo.

Durante quei mesi, il problema, però, è arrivato quando ha avuto il bisogno di fare i conti col proprio passato.
In realtà, se proprio vuole essere onesto con se stesso, è stato Einar ad accorgersi che doveva risolvere le questioni del passato, a fermare tutto e a riportarlo a Monza.

E adesso, come lo sta ripagando? Facendolo soffrire.
Perché Filippo non è capace a fare altro, non sa come rendere felice una persona, come amarla senza andarsi ad incasinare, senza le crisi di panico, senza allontanarla.

Lo sa quanto sta male Einar, lo ha visto nei suoi occhi blu quando lo ha pregato di smettere di farsi del male, quando gli ha bloccato le braccia per far cessare la poggia di pugni contro la parete, quando gli ha baciato la mano e chiesto di smetterla, perché non sa più cos'altro fare per aiutarlo.

Ha paura, adesso, Filippo, di essere solo un concentrato di dolore e di sofferenza per lui, qualcosa che sta aggrappato alla sua schiena muscolosa e che è capace solo di succhiargli via l'energia, quella linfa vitale che sta prosciugando dai suoi occhi.

Così, Fil da un'ultima occhiata al sole che sta salendo in cielo, si asciuga nervosamente le lacrime agli angoli degli occhi verdi, poi scende con uno balzo dal muretto.

E riprende a camminare.

*

Il risveglio è brusco.
Einar spalanca gli occhi blu mentre il cuore gli martella nel petto: cosa ci fa seduto sul pavimento del bagno? Che ore sono? Che cosa è successo?
Ma soprattutto: dov'è Filippo?

"Fil..." chiama con voce impastata, col quel forte accento per il quale Filippo stesso lo ha preso in giro una vita, cercando di imitarlo.

"Fil?" ripete, adesso un po' più confuso, mentre con leggera difficoltà e un piede semi addormentato, si tira su in piedi, nel mezzo del bagno. Si sposta nella camera da letto e quando vede che Filippo non è nemmeno lì, schiude le labbra, perplesso. Si gratta la nuca cercando di mettere a fuoco i pensieri.

Come sopra un ring (Eiram)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora