(1 di 2) Nell'abisso di un mattino senza alba

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Il seguente capitolo è diviso in due parti

*

Immobili.
Nella stanza è sceso il gelo e fa freddo da morire.

Filippo spegne la sigaretta nel posacenere, lo ha trovato poco prima, rovistando in cucina. Prende un grosso respiro, ma sente lo stomaco dolere. Allora lo trattiene, quel respiro. Ma lo stomaco gli fa ancora più male.

La sente, la presenza di Einar: è alle sue spalle, lo sa perfettamente. Eppure non riesce a voltarsi. Non ce la fa.
Fa malissimo. Fa malissimo sia stare fermo e trattenere il respiro, sia pensare di girarsi e guardarlo negli occhi.
Filippo ha paura. Davvero paura.
A cominciare da come, poco prima, è stato scostato via da Einar, allontanato con quel gesto nervoso, secco e per niente abituale per suoi modi di fare: ha sentito una fitta al cuore, mentre il cubano si chiudeva a riccio quando si è trattato di affrontare il discorso mamma.
Il realtà è scocciato, Fil, incazzato perché Einar non gli ha mai parlato di sua madre, degli evidenti problemi con l'alcool che ha. Da anni. E poi, un po' lo infastidisce anche che non gli abbia mai detto nulla dei suoi problemi a scuola.
Gli rode proprio il culo, anzi.

Altre volte, comunque, si sono spintonati, strattonati e spinti, ma non in questo modo, non con quella luce che ha visto negli occhi dell'altro. Una luce capace di gelargli il sangue.
Dio.

Filippo ha lo stomaco ribaltato. L'ansia lo tiene stretto, lo stritola proprio. Ed è in totale paranoia.
Non può muoversi.

Cosa cazzo sta succedendo.

Einar sente i piedi incollati al pavimento: le gambe sono pesantissime e non riesce ad alzarle per muoversi verso Filippo, per abbracciarlo e scusarsi con lui per tutto quello che è successo
Basterebbe dire Filo, scusa ho dato di testa. Basterebbe così poco.
E invece no, si sente così incazzato per tutta la situazione che non è sicuro di riuscire a muoversi nella sua direzione.
No, davvero non ce la fa.
Lo sguardo torna a scivolare lungo la sua figura, lungo quel corpo che ama come non ha mai amato.
Corpo, al quale però nemmeno riesce ad avvicinarsi.

L'occhio gli cade su un particolare che non aveva ancora notato, che sicuramente non c'era prima e che gli fa sgranare gli occhi blu: Filippo ha la mano fasciata.

"Che cazzo hai fatto alla mano?"
Lo domanda di getto, con una strana ansia allo stomaco, un'apprensione pesante, che gli stringe il cuore e il petto. Gli pare che gli stia sfuggendo di mano tutto, si è solo distratto un attimo e guarda cosa è successo.

Filippo si volta con una lentezza estenuante, si volta solo dopo aver spento la sigaretta nel posacenere, con estrema calma.
Se si fosse girato più velocemente avrebbe rischiato di confessare tutto e subito, colto con le mani nel sacco.

"Nulla, Ein. Mi sono solo tagliato" risponde, allora, scrollando le spalle. Cerca di utilizzare un tono rassicurante e menefreghista, ma è perfettamente conscio del fatto che non sia credibile.
Quindi decide anche di evitare i suoi occhi, ma solo per qualche centimetro, solo per posarli sulla sua spalla, sul tessuto della felpa scura. E far credere che siano nei suoi occhi.

"Ti sei solo tagliato" ripete il cubano alzando un sopracciglio.
Chissà perché ma non crede a quella versione. Proprio per niente. Sarà che lo conosce, sarà che lo sa, che il lato masochista di Filippo è più esteso di quanto si pensi. E lui lo sa bene.
Sarà che in questo momento proprio non riesce a credergli, non potrebbe nemmeno se si aggrappasse alla speranza che è stato un errore, nemmeno con tutta la forza del mondo.
E poi lo sa, lo sa che mente.
Lo conosce così bene che la sicurezza di Filippo sta vacillando. Lo sa anche lui.
Einar lo guarda negli occhi.
Ma non lo riconosce più.

Come sopra un ring (Eiram)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora