Epilogo

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EPILOGO

Le nostre anime danzano tra la sabbia e il vento

La vita è un'andata e un ritorno
e noi siamo il viaggio che lascia un ricordo.
Fotografarne il momento, 
ma per viverlo, in fondo,
non basta uno scatto.
E quando questi occhi si accendono
sotto un cielo spento
le nostre anime danzano
tra la sabbia e il vento.

A Filippo non è mai successo di venir strappato dal gelo di Milano di inizio febbraio per ritrovarsi dentro ad un'estate caldissima dall'altra parte del mondo. Perché è questo, che è, Cuba: un'estate caldissima, afosa, piena di colori e di sapori così diversi, da quelli che è abituato a percepire a Milano.
Filippo non è mai stato un gran turista, uno di quelli da zaino in spalla e via, però si è sempre saputo adattare, soprattutto quando si è trattato della sua musica: le esperienze, le culture, i mondi diversi - lo hanno sempre arricchito fino all'anima e pensa che, anche questa volta, questo nuovo paese potrà regalargli qualcosa che terrà, per sempre, custodito nel cuore. Differentemente dalle altre volte, però, non custodirà questo ricordo con gelosia, ma anzi, lo condividerà – lo dividerà in due parti, sì, con Einar. Einar, che si guarda attorno felice, col suo zainetto giallo in spalla e quel sorriso che Filippo bacerebbe per ore ed ore, per quanto lo adora, per quanto vorrebbe farlo suo in ogni momento. Ecco, questo sorriso vorrebbe custodirlo solo per sé, con egoismo e possessività: suo, suo e solo suo.
"Guarda, quel posto me lo ricordo!" esclama ad un tratto proprio il cubano, con gli occhi enormi di felicità.
Il viaggio in aereo, quello che Filippo aveva preventivato fosse di sole otto ore, in realtà – dato che tanto bravo in matematica non è mai stato – è risultato essere un viaggio di sole undici ore. Fortunatamente Filippo lo ha scoperto nel momento in cui l'aereo stava per decollare, ché con tutto il discorso del fuso orario aveva fatto una gran confusione e quindi...
Filippo gli cammina accanto, spalla a spalla, e si riempie gli occhi di ogni sfumatura d'espressione del fidanzato, che adesso è molto più rilassato: sono lì da qualche giorno, ed Einar, per prima cosa, è andato a trovare suo nonno e le vecchie zie. Gli incontri lo hanno rasserenato, lo hanno calmato perché ha potuto controllare la situazione coi suoi stessi occhi – nonno sta benino, è un po' acciaccato, ma resiste. E il sorriso di Einar, quando lo ha visto, ha fatto sentire a Filippo una gran voglia di piangere di felicità. Nonno e nipote si sono abbracciati a lungo e Filippo, dopo un breve saluto in uno spagnolo stentato, si è defilato nel giardinetto: si è seduto su un muretto e si è fumato una sigaretta, immergendosi nella quotidianità cubana, tanto semplice da lasciarlo senza parole. Quando Einar, un'ora dopo circa, lo ha raggiunto, portava addosso una luce diversa, una luce rilassata, bellissima, che Filippo non gli aveva mai visto indossare– e proprio Filippo, in quel momento, ha desiderato solo baciarlo con tutta la forza del mondo e godere del calore della sua felicità. Hanno fatto l'amore, poi, chiusi nella piccola stanza d'hotel, con le persiane accostate e quel caldo che gli scivolava addosso e gli toglieva il fiato, immersi in un'afa che, paradossalmente, gli faceva desiderare di stare ancora più vicini, di fondersi ancora di più. 
Sono felice, ha sussurrato Einar quando la bolla post-orgasmo è andata – delicatamente – dissolvendosi. Filippo lo ha abbracciato più stretto e ha sorriso. Anche lui, anche lui è felice.

Sono ancora sul ring, ci staranno per sempre probabilmente, ma loro non hanno paura di smettere di combattere – un po' per se stessi, un po' uno per l'altro. Ne hanno bisogno. Non possono mollare adesso, sentono che se continueranno su questa strada, se continueranno a fare a pugni col mondo, allora poi il peggio sarà passato, almeno per un po'. E questa sorta di vacanza a Cuba è sicuramente il premio per aver vinto almeno un round. Comincerà il prossimo, di round, ed il prossimo ancora, ma non è ora che vogliono focalizzarsi su quello che la vita pretenderà da loro – la lontananza per il tour di Filippo, quella per l'uscita dell'album di Einar, tutti gli impegni, le interviste. Non vogliono pensarci adesso.
Filippo si è sentito un po' nostalgico, in questi giorni, quando ha visto il nonno di Ein, quando ha sentito il calore della sua famiglia – a lui non è più concesso, tutto questo: praticamente rinnegato dalla propria, di famiglia, l'unica speranza che gli è rimasta è sua sorella, che andrà a trovare non appena torneranno a Milano. Lei non sa cos'è accaduto, ma magari potrà capirlo, no? E forse, alla fine, dei suoi genitori nemmeno gli interessa più di molto, forse perché lui e i suoi sono sempre stati pezzi di puzzle diversi, impossibili da incastrarsi e di andare d'accordo. E poi, Filippo adesso ha trovato un cuscino pronto ad attutire la sua caduta, un cuscino di nome Einar, un cuscino che gli dona tutto l'amore di cui ha bisogno per sopravvivere. È egoista, il suo pensiero? Può essere. Ma è stanco di sentire l'egoismo del mondo dargli calci in faccia - e lui, ora, tiene i guantoni in posizione di difesa, a coprirsi il viso per proteggersi: guardami ancora mentre mi alzo sulle braccia, mentre mi guardi il sangue che mi scorre sulla faccia, tanto una ferita passerà da sé, tanto la mia vita cambierà da me – ogni volta che lo canta, il cuore urla con lui.
"Là-" Einar interrompe i pensieri di Filippo ed indica un campo da calcio sterrato, uno di quelli molto arrangiati "là ho segnato il mio primo goal, lo sai?" e gli ridono gli occhi, mentre lo dice.
"Il tuo primo goal?"
"Sì, era una partita tra i bambini della compagnia e tipo - tipo c'era questa specie di tradizione, la domenica pomeriggio, di giocare una partita diciamo seria, con uno dei genitori che faceva da arbitro e gli altri che si raccoglievano tutti attorno. Ho segnato il mio primo goal e ricordo di aver corso tra le braccia di mio papà" gli dice con un sorriso nostalgico - e no, non è ancora pronto a sentire il magone formarsi in gola. Allora non aggiunge altro, che il ricordo fa già troppo male.
Filippo gli sfiora le dita, gli sorride incoraggiante.
"Da quanti metri hai segnato?" gli chiede, che sente che per Einar non è ancora giunti il momento di aprire del l'argomento padre. Sono lì da giorni e ancora non ha accennato a suo papà (forse questo è il primo ricordo che butta fuori), né di voler andare al cimitero: Filippo non vuole costringerlo, vuole dargli tutto il tempo di cui ha bisogno. È stato così anche per lui, con sua nonna, ci ha messo tanto a riuscire a tornare sulla sua tomba e a guardarsi dentro. La immagina, quindi, la fatica che sta facendo il cubano, incastrato nel desiderio di rimandare e quello di andare, ora, subito, potesse mollare a metà qualsiasi cosa stia facendo.
"Ma tipo da davanti al portiere, Fili" ride l'altro "e lui era una pippa micidiale, non avrebbe preso la palla manco se gliel'avessi passata con le mani" continua e Filippo scuote la testa divertito: riesce a vederlo, in quel campo, che corre dietro ad un pallone e di tanto in tanto si volta verso la folla, a cercare il suo papà lì in mezzo, per salutarlo con la mano. Ein. Ein, Ein, Ein.
Einar svolta lungo il sentierino e raggiunge il campetto, apre il cancelletto di legno e fa segno al fidanzato di precederlo – si siedono sui gradoni di cemento, quelli un po' arrangiati ma che quando era piccolo erano i più belli del mondo. Filippo tira fuori una sigaretta dal pacchetto nei jeans, l'accende e fa un tiro, poi la passa all'altro. C'è silenzio, tra loro, un silenzio comodo, un silenzio confortante, mentre nuvole di fumo salgono fino al cielo e dei bambini corrono scalzi dietro ad un vecchio pallone. Einar non ha mai potuto dimenticare la povertà della sua città natale, non del tutto, almeno: alcuni dettagli, sì, li ha scordati, cancellati egoisticamente dalla testa insieme alla sofferenza – non che la vita a Brescia sia stata più facile, con tutti i problemi che aveva avuto ad ambientarsi - il bullismo e tutto il resto - però ha lasciato fuori quel dettaglio, ha circoscritto i ricordi a ciò che di più felice aveva.
"Stanotte ho buttato giù qualcosa" dice ad un tratto voltandosi a guardare Filippo e passandogli la sigaretta "per una canzone, dico."
Filippo piega un po' il capo di lato, lo osserva con quel sorriso sorpreso sulle belle labbra.
"Davvero?" chiede, che di solito è lui quello che la notte rimane sveglio a scrivere mentre l'altro gli dorme accanto. "È tornata?" continua, quasi stia parlando di una vecchia amica. Che poi sì, l'ispirazione non è forse una vecchia amica? Una di quelle un po' snob e dispettose, che ti viene a trovare di tanto in tanto e ti tiene occupatissimo, ti strappa a tutto il resto del mondo e dalle attenzioni degli altri. È egoista, ti vuole solo per sé. E poi, va via all'improvviso, senza spiegazioni, lasciandoti perplesso e con un pesante senso di vuoto dentro. È lei, però, che spesso sosta sotto il loro ring con una medaglia in mano, ad aspettare la fine della battaglia. È lei, quella con la quale i due ragazzi si misurano durante le brevi pause, quella che un po' li sprona. È lei che raccoglie le loro gocce di sangue. È lei che le trattiene e poi le trasforma in musica – a volte sì, a volte no. Dispettosa, ricordate?
"È tornata, sì. Sarà Cuba, sai, i ricordi, tipo - voglio dire, forse l'aria di casa ha un po' aiutato" si spiega l'altro, le mani a gesticolare appena, come descrivesse come ha acchiappato l'ispirazione e come l'ha domata per qualche ora.
"Forse potrebbe diventare qualcosa di concreto. Chi lo sa."
"Sono sicuro di sì" gli sorride Filippo e gli dà una piccola gomitata nel fianco. Che la sigaretta è quasi finita, che ha voglia di baciarlo - ma quella voglia la sotterra e la terrà sotterrata ancora per qualche ora. Ed è così orgoglioso che Einar stia tornando a comporre le sue canzoni, che ci stia anche solo provando con tutto se stesso. È così assurdamente orgoglioso, così felice. Merita tutto, Einar, no?
Einar gli regala un sorriso enorme, uno di quei sorrisi che – cazzo – illuminerebbero l'intero universo. Gli dà pacca sulla coscia.
"Zaino in spalla, dai, si va al mare" dice alzandosi e tirando Filippo su con sé. Spezza la linea dei ricordi, la frantuma perché no, non è ancora il momento di pensarci.
Che c'è il mare, c'è il caldo. C'è Filippo.

Come sopra un ring (Eiram)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora