Prologo

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Lo scopo della vita? Nessuno lo sa realmente. Si può solo immaginare. È come un sogno impossibile da realizzare. Vuoi trovarlo? Bene, rimboccati le maniche, perché ci potranno volere anni, forse anche tutta la vita. Perché dico questo? Perché la maggior parte delle volte è lui a trovare te. Ti verrà a fare visita, improvvisamente, senza avvisarti, come una tempesta, ti attaccherà finché non cadrai a terra e finché non ti rialzerai, continuerà a buttarti giù.
E sì, lo so, magari ti starai chiedendo l'utilità di questa piccola parte di pensieri. Bhe.. lo capirai più avanti. Nel frattempo ti racconterò la mia storia. Colei che mi ha fatto diventare quella che sono.

Era un weekend come tutti gli altri. Io, mio fratello maggiore Simon e i miei genitori stavamo andando alla nostra casa in montagna.

Era quasi notte fonda e la pioggia aveva appena iniziato a battere sul parabrezza della nostra auto; alla radio era trasmessa Umbrella di Rihanna e JAY Z, come se sapesse dell'imminente temporale che stava per cadere sulle nostre teste.
Guardai il finestrino e ammirai il paesaggio situato al di fuori di esso, era stupendo, i fari della vettura illuminavano a poco a poco la scia di pini ricoperti di neve, mentre i fulmini si ramificavano nel cielo; feci la foto a questo magnifico panorama e, successivamente, girai la testa verso la strada.

A un certo punto, come se fosse sbucata dal nulla, vedemmo una figura situarsi a pochi metri di distanza da noi. Mio padre perse il controllo, girò il volante e, a causa dell'improvvisa frenata, il veicolo si capovolse a pochi metri di distanza da quell'essere.

Per qualche istante non riuscii ad aprire gli occhi, a sentire i rumori, a muovermi. Quando riuscii ad aprirli cercai di uscire da quel cumulo di rottami, ma sentii un atroce dolore alla gamba; mi voltai verso di essa e vidi un pezzo di metallo che si era infiltrato nella mia carne. Digrignai i denti per non cercare di urlare; provai a sfilarmelo dalle membra, ma il poco spazio non me lo permetteva.

Mi girai per osservare lo stato della mia famiglia, ma nessuno di loro era all'interno del veicolo.
Guardai fuori, vidi una sagoma a terra, a pochi metri di distanza, era mio fratello.. il suo corpo privo di vita che mi guardava come per comunicarmi che fosse tutta colpa mia.

Chiusi gli occhi e, successivamente, sentii le urla e la voce dei miei genitori. Girai il capo verso le loro voci e cercai di ascoltarle, ma il rumore del fuoco me lo impedì, allora non feci altro che osservare la scena.
La figura, che qualche istante prima si fermò in mezzo alla strada, prese per i capelli mio padre e lo trascinò affianco al corpo stanco e spaventato di mia madre, che, ormai sfinita dal dolore che stava provando, si stese a terra in cerca di pietà.
Diedi un'ultima occhiata a mio padre, che, forse, in qualche modo, era riuscito a notarmi. Lo guardai negli occhi. Era terrorizzato. Forse per quello che sarebbe potuto succedere in quei minuti successivi o, magari, per il solo pensiero che io dovessi assistere a una scena così traumatica.

L'individuo prese una pistola e la puntò verso il corpo di mia madre e, successivamente, si girò verso il veicolo in cui ero rimasta nascosta per tutto il tempo. Mi guardò con i suoi occhi scuri, cupi, ma allo stesso tempo chiari, perché rischiarati dalla luna che si era fatta spazio tra le nuvole del temporale. Poi sparò una, due, tre volte. Urlai, me ne fregai di quel mostro. Cercai di nuovo di liberarmi, questa volta con successo; con fatica strisciai fuori dall'auto e, una volta uscita, cercai di rialzarmi reggendomi al veicolo.

Mio padre rabbrividì, l'altro una volta accortosi della mia presenza lo lasciò cadere a terra, si girò e si avviò verso la sua motocicletta, che aveva nascosto dietro qualche cespuglio sul ciglio della strada. Presi questa occasione al volo. Iniziai a camminare il più velocemente possibile, senza fermarmi, tutte le volte che cadevo a terra mi rialzavo e acceleravo il passo. Mi mancavano pochi passi, forse quattro, o cinque.
Quell'uomo, che era ormai lontano, alzò l'arma per un'ultima volta e sparò al suo torace, il corpo cadde al suolo, senza vita, immobile. Mi lasciai cadere sulla superficie della strada, non sentii neanche il dolore dell'impatto delle mie ginocchia sull'asfalto. Mi chinai sulla sua figura e iniziai a piangere, mentre quell'individuo se ne andava, soddisfatto delle sue azioni.

In lontananza si sentivano alcune sirene avvicinarsi, probabilmente avvisate da qualcuno o semplicemente dal rumore o dal fumo. Mi girai a guardare per un'ultima volta quella motocicletta, in cerca di qualche dettaglio da memorizzare. Mi voltai verso i miei genitori, guardai i loro volti assenti, mi alzai e iniziai a camminare velocemente verso il bosco.
Non potevo rimanere lì, mi avrebbero portata in qualche orfanotrofio e io non me lo potevo permettere, anzi, non volevo permettergli di vietarmi la vendetta. Cominciai a correre, senza contare il dolore, senza contare tutto quello che mi stavo lasciando alle spalle, ma contando il fatto che sarei tornata.

Ora il mio scopo è la vendetta e la avrò. Sento ancora ogni sensazione o emozione che ho provato quella notte, ogni odore o rumore, sento ancora tutto e ho intenzione di far provare a quell'essere tutto il dolore che mi ha causato, a qualunque costo.

Angolo autrice

Spero che il prologo vi sia piaciuto, se è così continuate a leggere.. aggiornerò molto presto.
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