Capitolo 3

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Sono passati 3 giorni dall'esplosione e Rebecca non si è ancora svegliata. I dottori dicono che è una cosa normale, perché ha perso molto sangue, ma a me non sembra una cosa normale.
In sala d'attesa ci siamo io e altre due persone: un ragazzo un po' riccio e un signore, forse la conoscono, o forse sono dei suoi parenti. Per accertarmene mi alzai e gli andai incontro.

"Buongiorno.. Io sono Peter, un amico di Rebecca, voi la conoscete?" domandai, cercando di essere il più gentile possibile.
Il ragazzo mi guardò, si alzò e mi puntò il dito contro.
"È tutta colpa tua se Rebi è qui. Sei stato tu a convincerla di andare con te e il tuo amico stupido a prendere un tacos!" mi sputò tutto in faccia, con rabbia e senza un minimo di calma.
Lo guardai dritto negli occhi, senza indietreggiare di un millimetro. Non può trattarmi in questo modo, non ne ha il diritto.
"Thomas stai calmo, lui non poteva saperlo" si alzò il signore. Gli mise una mano sulla spalla e lo fece sedere.
"Scusalo è solo che siamo molto preoccupati. Comunque io mi chiamo Jackson e sono il padre di Rebecca" disse e, successivamente, allungò la mano.
"Piacere di conoscerla" gliela strinsi "Io sono Peter"

Mentre attendevo informazioni sulle sue condizioni dai medici decisi di alzarmi e mi avviarmi alle macchinette per prendere qualcosa da mangiare. Mentre stavo camminando mi scontrai con un ragazzo incappucciato, che si fermò proprio davanti all'entrata della sua stanza. Ogni tanto mi giravo per guardarlo, ma più lo osservavo e più mi sembrava fuori posto. Perché rimanere in piedi davanti alla porta senza entrare? Perché allungare la mano verso la maniglia se poi non la sfiori nemmeno?
Mi girai per cinque secondi, solo per vedere il cibo all'interno del distributore, quando mi voltai di nuovo non lo vidi più.

D'istinto iniziai a correre verso la stanza, guardai la porta e vidi che era socchiusa, entrai e lo vidi. Aveva una siringa vuota in mano, senza liquidi al suo interno, ma mi accorsi di una cosa: l'acqua della sacca era diventata azzurrina. Si girò di scatto, mi buttò per terra e iniziò a correre.
"Fermatelo!" urlai mentre lo rincorrevo.
Non mi ascoltò nessuno, tutti che si spostavano, senza darmi un minimo aiuto. Era pieno di gente, non riuscivo più a distinguere chi o dove fosse andato, ma continuai a correre, fino all'uscita, finché non mi accorsi di averlo perso di vista.

Ritornai al suo piano e vidi che la stavano portando di nuovo in sala operatoria.
"Dove la portate?!" continuava ad urlare il fratello, mentre il padre lo teneva dalle spalle.
Mi sedetti a terra, con le lacrime agli occhi e le mani tra i capelli -Quando c'è bisogno del tuo aiuto non sei mai presente. A cosa serve essere Spider-Man se non sei in grado di catturare un fuggitivo!
Continuai a pensarci, senza sosta. Come faccio a essere Spider-Man se non riesco neanche a proteggere i miei amici.

2 giorni dopo

Sono passati altri due giorni e io non so più che fare. Vado a scuola e subito dopo torno qui, a vegliare il suo sonno, ad aspettare che si svegli per chiedergli un semplice Come stai? oppure un Mi dispiace, è tutta colpa mia. Ho il bisogno di dirglielo, ho bisogno che lei ascolti queste parole e che poi mi dica qualcosa, qualsiasi cosa, bella o brutta, ma basta che mi parli.
Entrai nella sua stanza e mi sedetti al suo fianco.
Gli osservai il viso candido, anche se con qualche taglio; osservai le sue piccole lentiggini, che, anche se un po' scura di carnagione, si distinguono perfettamente sulla sua pelle; osservai i suoi capelli neri, che risaltano sul cuscino bianco. La osservai in generale e non potei fare a meno di sorridere. È stupenda.
"Mi dispiace" sussurrai, sperando in un minimo movimento o risposta.

Rebecca

Non riesco a muovermi, sento la voce di qualcuno, ma non riesco a rispondere. Cosa mi sta succedendo?!
Continuai a brancolare nel buio, senza trovare una meta, senza riuscire a capire il luogo in cui mi stessi trovando.
"C'è qualcuno?" urlai, ma continuai a sentire solo il mio eco.
Il suono pesante dei miei passi si faceva spazio attorno a me e in sottofondo un bisbiglio molto confuso e troppo basso per comprenderlo.
Dopo ore, forse giorni, riuscii a vedere un fascio di luce proveniente da una porta socchiusa, la aprì e un bagliore mi accecò. Per un momento rimasi spiazzata.
Tutto d'un tratto la stanza si fece di nuovo nera e notai che le voci si fecero sempre più forti, finché non riuscii a capire completamente quello che stessero dicendo. Queste sono le voci dei miei genitori; queste sono le ultime parole che sono riusciti a dirmi prima che quell'uomo li uccidesse.

"Allison smettila di scrivere sul finestrino, che poi rimane il segno" ripeté mio padre.
"No, papà. Deve smettere di scrivere il nome di Josh, abbiamo capito che lo ami e che oggi è il vostro primo anniversario"
"Dai ragazzi, lasciatela stare. È innamorata" sentenziò mia madre.

Guardavo quella scena per la seconda volta, senza parole, sperando che questa fosse la realtà e che tutto ciò che era successo quella sera fosse un sogno. Iniziai a sorridere, con le lacrime agli occhi -I loro volti.. li avevo quasi dimenticati del tutto. Non sapevo se continuare a guardare, oppure se distogliere lo sguardo, ma ero troppo curiosa di vedere cosa sarebbe successo dopo.
Rividi tutto, dal primo all'ultimo minuto, senza mai distogliere lo sguardo da quell'ombra.
Quando tutto finì la presenza si giro verso di me e mi puntò la pistola contro.

"Perché non mi hai ucciso quella sera?! Perché!" urlai. Caddi per terra, proprio come in quel fatidico momento, quando lui sparò a mio padre.
"Perché tu dovevi sopravvivere" mi rispose.
Alzai lo sguardo e lo guardai. La faccia che non era altro che fumo e oscurità. Mi alzai e mi posizionai davanti a lui.
"Tu.." dissi "Lurido figlio di puttana" iniziai ad urlare e a puntargli il dito contro "Non ne avevi il diritto!" esclamai e iniziai a spintonarlo con tutta la forza che avevo nel corpo.
Lui mi prese per le braccia e avvicinò il suo viso, se così possiamo chiamarlo, vicino al mio orecchio.
"È inutile. La tua famiglia è morta e tu con loro" queste furono le sue ultime parole.

Si allontanò lentamente, senza mai girarsi. Sentivo il suo fetore anche da un kilometro di distanza.
Successivamente capii che non proveniva da lui questo odore di morte, ma, bensì, dalla mia famiglia.
Mi guardai intorno e li vidi, con i visi mangiati dalle larve, con ancora il sangue che usciva dalle ferite causate dagli spari.
Si fermarono a circa due metri di distanza da me, poi la voce di mio padre mi richiamò.
"Sei stata tu ad ucciderci. Non lui." e indicò la sagoma, che era rimasta a guardare da lontano "Siamo venuti a vendicarci. A vendicare la vita che TU ci hai tolto" dissero tutti insieme, per poi spararmi contemporaneamente.

Angolo autrice

Come sempre: spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se è così allora continuate a leggere, aggiornerò molto presto. Consigliate la storia a qualsiasi persona che potrebbe interessarsi, voi, intanto, mettete una stellina e commentate, facciamo diventare virale questa storia. Qualsiasi persona che voglia consigli o che vorrebbe che leggessi qualche storia: mandatemi un messaggio in privato, vi risponderò il prima possibile.
Comunque andate a leggere le storie di
Sono stupende. S T U P E N D E!!

Amore Proibito [Peter Parker]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora