7. Capitolo

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Il giorno dopo mi svegliai...ero seduta alla scrivania con in mano ciò che avrei detto al funerale. Tutta la mattina ho pensato e ripensato se fosse davvero il caso di dire qualcosa. Forse sarebbe meglio non dire niente e restare in silenzio. Un silenzio solenne.

Un'ora prima del funerale io ancora non avevo deciso se sarei stata effettivamente capace di dire qualcosa. Misi il vestito nero che di solito portavo per queste cose. Pantaloni neri a vita alta, la camicia che ho portato la prima volta che ho visto Costia, una giacca nera elegante. Scarpe nere. Mi guardai allo specchio. La mia faccia era una merda. Ma davvero non avevo la forza di andare a truccarmi.

Dopo un po' sentii una macchina parcheggiare davanti a casa mia. Erano Titus, Anya, Indra e Lincoln.

Lincoln scese dalla macchina e suonò al campanello.
Aprii la porta...

- Ciao...- mi disse.
- Ciao...-
- Sei pronta?-
- Non credo si è mai pronti per queste cose...-
- Sarò sempre al tuo fianco, non avere paura.-
- Grazie Lincoln...-
- Di nulla...-

Presi le chiavi di casa e il foglio sul quale stava tutto quello che avrei voluto dire a Costia ma che non ho avuto il tempo di dirle. Lo strinsi forte al cuore e feci uno sforzo sovrumano per non piangere ancora una volta.

Entrai in macchina. C'era un silenzio tombale. Nessuno disse nemmeno una parola fino al cimitero.

Titus guidava...in un momento mi guardò e mise la sua mano destra sulla mia. Quel contatto con la persona che da quando ho 10 anni mi faceva da padre è stato di un conforto immenso. In quel momento non mi sentii più così sola...

Arrivammo al cimitero...c'era tantissima gente. Il giorno era soleggiato e gli uccellini cinguettavano allegramente. Mi ricordava le ore passate con Costia al lago vicino al ranch.
Costia era una ragazza molto amata da tutti. Conosciuta per la sua musica e per la sua bravura, ma sopratutto per la sua gentilezza e per l'amore che era capace di dare anche alla persona più cattiva di questo mondo.
Lincoln mi prese per mano e ci avviammo verso gli altri.

La madre e il padre di Costia stavano ricevendo le condoglianze ma quando mi videro mi vennero incontro e mi abbracciarono entrambi.
- Come stai?-
- Male...mi manca...-
- Lo sappiamo...-
Assieme ci dirigemmo verso il luogo della cerimonia.

Il parroco disse un paio di parole. Vedere la bara con dentro Costia mi fece venire la nausea. E una sensazione mista a panico e vuoto.Per fortuna che c'era Lincoln con me.
Le mie mani tremavano e lui me le teneva strette tra le sue.

-Ora pregherei Lexa Trikru di dire qualcosa per Costia- quando sentii pronunciare il mio nome l'ansia mi pervase il corpo.

Mi avvicinai al microfono. Tirai fuori dalla tasca interna della giacca il foglio. Feci un sospiro e decisi che Costia non avrebbe voluto che quello lo leggessi ad alta voce. Lo avrebbe voluto tutto per se. Chiusi il foglio.

- In realtà avevo preparato qualcosa da dire, ma...non credo sia necessario...tutto quello che ho da dire è che Costia ha reso la mia vita incredibilmente perfetta da quando ha cominciato a farne parte. Io l'ho amata con tutta me stessa e nessuna parola non può esprimere quanto mi mancherà.-

Mi avvicinai alla tomba. Guardai quel viso bellissimo di Costia. Le spostai un ciuffo di capelli come facevo sempre e le accarezzai la guancia, misi il mio foglio tra le sue mani e me ne andai.

Portarono Costia fuori e la seppellirono. Lincoln mi teneva stretta e non mi lasciava proprio come mi aveva promesso, ma nemmeno una lacrima scese sulle mie guance.

- Ce la fai?- mi chiese mentre guardavo Costia sparire.
- Ce la faccio...non preoccuparti.-
- Ok...-
Allora ci dettero le rose da mettere sulla tomba. Posai la mia e mi ripromisi che non sarebbe passato giorno senza che lei non avesse avuto una rosa fresca lì accanto.
- Sogni d'oro piccola mia.- sussurrai.

Titus e Lincoln mi fecero segno di andare. Salutai i genitori di Costia, anche loro scossi dalla giornata più difficile della loro vita.
Nessun genitore dovrebbe vedere suo figlio morire.

Ci avviammo verso la macchina e stemmo di nuovo in silenzio.
- Ti portiamo a casa?-
- No....vado in palestra...-
- Cosa?-
- Vado in palestra.-
- ok.- disse Titus con tono stupito.

- Verrò con te.- disse Anya.
- No.- le risposi secca.
- Come farai a tornare dopo?-
- A piedi.-
- Ok.-

Dopo 15 minuti mi lasciarono davanti all'entrata del Dojo.

-Sicura che non vuoi che rimanga?-
- Si, Anya.-

Entrai in palestra. Non accesi la luce. Mi diressi verso lo spogliatoio e mi cambiai. Ora portavo il kimono bianco con la cintura nera che nella parte interna aveva il nome di Costia.

Conoscevo a memoria il posto. Non avevo bisogno della luce. Raggiunsi il tatami. Tolsi le scarpe e le calze. Mi misi in posizione, mi inchinai al mio avversario immaginario.

-Hean jodan !- il nome della Kata.
Iniziai a svolgere passo per passo quest'arte, perché lo era davvero. Il Karatè lo vedevo come la musica. Tutto girava attorno all'armonia e alla pace.

Il tempo passava incredibilmente veloce e una dopo l'altra le Kate andavano esaurendosi. Ne conoscevo 100. Passarono ore e ore. Alla fine mi resi conto che il sole era ormai sorto. Alle 8 cioè tra due ore Anya sarebbe venuta ad aprire la palestra. Decisi di meditare. Mi inginocchiai sul tatami con le mani sulle ginocchia. Facevo respiri profondi e mi calmavo. L'amore è debolezza, l'amore è debolezza, l'amore è debolezza....questo era l'unica cosa alla quale pensavo.

Avevo deciso....le mie emozioni non sarebbero dovute uscire mai più. Tutto quello di cui mi dovevo preoccupare era di mettere Roan in carcere, andare all'università, lavorare e non fare karate mai più.

Così Roan non avrebbe potuto rovinare più niente. Se la smettevo di legarmi alle persone Roan non avrebbe più avuto legami da spezzare. Era semplice come piano, ma la cosa più difficile che avessi mai tentato di mettere in atto.

Io sono LexaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora