9. Capitolo

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3 anni dopo

Erano passati tre anni dal giorno più brutto della mia vita. Nel frattempo avevo finito gli studi di criminologia e diritto. Facevo parte delle forze speciali nella polizia e intanto cercavo di far luce sul caso di Costia. Mi ero resa conto di quanto fosse difficile incastrare Roan appena quando sono venuta direttamente a contatto con i suoi avvocati, i suoi protettori e i suoi seguaci. Metterlo tra le sbarre sembrava praticamente impossibile.

Amavo il mio lavoro. Una ragazza a 24 anni non chiede di meglio. Però il lavoro non riusciva a riempirmi completamente. Ne ero cosciente. Mi ero abituata ad una routine...non andava bene per me questa cosa...non ero stata mai un tipo da routine. Avevo smesso di prendere antidepressivi da un anno e nonostante l'ansia, gli attacchi di panico molto rari e gli incubi sembrava tutto più o meno normale. Avevo scelto di essere impassibile alle emozioni. Avevo costruito un muro di cemento armato tra me e le altre persone. Lavoravo per la giustizia e questo mi faceva sentire un po' meglio.
Ogni volta che chiamavano per denunciare speravo denunciassero Roan. Ma questo non accadde mai.

Stavo a guardare la Tv quando ricevetti una chiamata da Jaha.

-Lexa...abbiamo bisogno di te...è in atto una sparatoria nell'ospedale di Saint Mary.-
- Cosa?-
- Stanno cercando di far evadere un criminale che doveva fare un operazione lì.-
- Cosa devo fare???-
- Recati all'ospedale e cerca di fermare la sparatoria...fai anche da negoziatore se serve.-
- Ok... non c'è problema.-

Quando riattaccai ero già sulla mia moto diretta verso l'ospedale.

C'era tantissima gente fuori. Automobili della polizia...la paura si sentiva nell'aria.
Io tolsi la mia giacca di pelle e presi la mia pistola.

- Dove vai Lexa?- mi chiese Lincoln.
- A lavoro...- risposi seccata. Ultimamente mi controllava sempre...senza nessuna ragione.
- Almeno metti il microfono così rimaniamo in contatto.- disse lanciandomi un oggetto nero piccolissimo. Lo attaccai alla maglietta e mi diressi verso l'entrata.

Salii al primo piano. Tenevo stretta la pistola e cercavo di non fare rumore.
Sentii delle urla provenire dal piano di sopra perciò salii di nuovo.

Ora mi trovavo così vicino che potevo sentire le voci.
- Come usciamo ora?-
- Siamo circondati.-
- Non andare in panico Roan.-
Quando sentii quel nome mi si gelò il sangue.
Aspettai ancora un po' e quando capii che erano solo in due accesi il microfono e diedi l'ordine a Lincoln di far venire altri due poliziotti.

Nel frattempo capii che Roan teneva due ostaggi.
Irruppi nella stanza.

-Buttate giù le armi!- urlai.
Sul viso di Roan nacque un sorriso beffardo.
- Buttatele giù! Ora!-
- Guarda guarda chi si rivede....- disse.
- Non costringermi a sparare.- gli risposi con la testa che faceva un male incredibile e le mani che tremavano.
- Se lo fai noi uccidiamo loro due.-
Disse mostrando le due ragazze in ostaggio.
-Lasciale andare.- dissi non capendo perché gli altri non stessero arrivando.
- Butta giù la pistola.-
- Altrimenti?-gli chiesi.
- Altrimenti finisce male...e sai che se lo dico alla fine è veramente così.-
Buttai giù la pistola...non volevo che gli ostaggi diventassero vittime a causa mia.
Anche se dentro stavo bruciando dal desiderio di sparargli contro mi controllai e decisi di stare al suo gioco.

- Ora tu ci lasci uscire di qui. E ottieni queste due bamboline....se non lo fai loro muoiono...Ora girati con la faccia verso il muro e non ti azzardare a seguirci.-

Mi girai. Sentii uno sparo e caddi a terra. Mi aveva sparato alla gamba per accertarsi che non lo seguissi. Avrei dovuto pensarci prima a questa possibilità. Aveva però colpito l'arteria. Non era passato neanche un minuto che mi ritrovai in una pozza di sangue. La polizia arrivò e liberarono le due ragazze. Erano medici. Mi portarono in sala operatoria e io vidi solo il buio.

Mi svegliai il giorno dopo. La prima cosa che vidi era una ragazza bionda che camminava su e giù nella stanza. Controllando i miei valori sulle macchine. Era in camicie bianco...sicuramente un medico. Mi alzai sui gomiti e la osservai...non si era nemmeno resa conto che ero sveglia, tanto era occupata a riempire la mia cartella.

Quando si girò capì che mi ero svegliata.
- Oh...buongiorno Alexandra...come ti senti?-
- Meglio...direi...grazie.-
Il colore dei suoi occhi era azzurro come l'oceano...non riuscivo a smettere di fissarla.
- Volevo ringraziarti per quello che hai fatto ieri...-mi disse.
- Ho fatto solo il mio dovere.-
- Mi hai salvato la vita.-
Mi scappò un sorriso...lei abbassò lo sguardo un po' imbarazzata.

- Quanto è grave la mia gamba?-
- La ferita dovrebbe rimarginarsi molto presto...e sta tranquilla...non ci saranno cicatrici. Ti ha curato la migliore.-
- E chi sarebbe?-
- Mia madre.-
-Le sono grata.-
- Vado ad avvertire i tuoi che hanno passato qui tutta la notte.-
- Grazie.-

Io sono LexaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora