CAPITOLO I

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Il mio letto è davvero morbido. Spesso mi capita di passare interi pomeriggi sdraiata sul suo morbido materasso, come se non ci fosse nulla di più importante da fare. Mi sono talmente abituata alla sua forma e consistenza che, a volte, anche solo sedermi sul divano mi risulta scomodo.

Vi chiederete: perché una diciottenne passa il tempo coricata sul suo letto? Perché non è in giro per la città con le amiche? A fare shopping? A spettegolare? O, semplicemente, seduta dietro la sua scrivania a fare i compiti?

L'unica cosa che riuscirei a rispondere è che non ne ho la più pallida idea. Non so perché sono qui, in questa stessa posizione, da così tanto tempo. In questi momenti non faccio nulla. Non ascolto musica, non leggo un libro, non guardo un film, ma penso. Il mio cervello è una macchina che non riposa mai e che vaga per i sentieri più strani e inaccessibili della realtà... e non solo.

Posso semplicemente limitarmi a pensare alla mia famiglia. La mia amata mamma, che si interessa sempre di ciò che accade ai suoi figli. Mi sommerge di domande riguardo la scuola, gli amici, i ragazzi, mentre io la liquido con qualche risposta sbrigativa. A volte mi sento in colpa per questo, ma ammetto che ho un caratteraccio e nemmeno a Summer, la mia migliore amica, rivelo tutto.

Altre volte penso a papà e a come trascuri i suoi figli. Non è quasi mai a casa e quando passiamo del tempo insieme ci riempe di regali, quasi volesse scusarsi per la sua assenza.

Penso anche allo strano rapporto che ho con Sean, mio fratello gemello, che è più grande di me di appena qualche minuto. Questa cosa non mi va proprio giù, perché la sfrutta a suo vantaggio per ricattarmi e minacciarmi. Crede di aver il permesso di dettare legge solo perché più grande, quindi finiamo per litigare e per farci sentire dall'intero vicinato. La cosa strana del nostro rapporto, però, è che sappiamo essere complici, specie se si tratta di fare uno scherzo a mamma o papà.

Nei momenti più tristi, invece, penso a me. Penso a quanto mi senta inutile e poco importante. Non per la mia famiglia, ma per me stessa, perché non riesco a capirmi. Perché mi sento...

Mia madre che bussa alla porta della mia camera mi distrae dai miei pensieri e mi fa tornare con la testa alla realtà.

-Tesoro, la cena è pronta- mi avverte, sbucando con i suoi capelli corvini sempre perfettamente in ordine da dietro la porta socchiusa.

-Sì, mamma. Ho appena finito con i compiti, sto arrivando- forzo un sorriso di circostanza.

In realtà è da parecchio che ho terminato con quello stupido tema sulla mia famiglia, ma non posso mica dirle che stavo pensando alla mia inutile vita.

È da poco iniziato un nuovo anno scolastico e già rimpiango i miei vecchi professori, molto più discreti e preparati. Odio quegli insegnanti che si impicciano degli affari degli alunni mostrandosi fin troppo amichevoli. Quelli che ci inducono a comportarci con loro come dei confidenti per poi accusarci di esserci approfittati della loro bontà e disponibilità. C'è pur sempre un gradino di distanza tra un alunno e il suo insegnante. Una distanza che si deve mantenere.

Mi alzo controvoglia dal mio comodo lettino e percorro le scale, diretta in cucina.

-Meglio tardi che mai, pulce!- afferma mio fratello con aria innervosita e senza guardarmi.

Odio lo stupido nomignolo che il mio amatissimo fratello (ovviamente sono ironica) mi ha affibiato, a causa della mia esile corporatura.

-Adesso che la principessina dei miei stivali ci ha degnato della sua presenza, posso mangiare?- continua, rivolto a mia madre che lo rimprovera con lo sguardo.

Se c'è una cosa su cui mia madre è irremovibile è che i pasti si svolgano tutti insieme. Dice che, a volte, l'unico momento in cui la famiglia si riunisce è a tavola. Niente lavoro, niente scuola, niente problemi. Solo noi. Infatti, non ricordo un solo giorno in cui mi abbia permesso di mangiare prima che tutti prendessero posto.

Light and Darkness- NemesisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora