CAPITOLO II

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Mi sveglio non appena mi accorgo di non essere più adagiata sul mio comodo letto, ma stretta tra le braccia robuste di un uomo. La testa pulsa così forte che il dolore quasi non mi permette di pensare. La vista è appannata e non comprendo dove mi trovo, almeno finché il mio sguardo non incontra una foto di famiglia che ormai da anni occupa lo stesso posto all'entrata, facendomi dedurre che, chiunque mi abbia svegliato, mi stia conducendo fuori dalla mia casa.

-Chi sei? E dove mi stai portando?- sussurro, inducendolo a spostare finalmente lo sguardo su di me e ad accorgersi che adesso sono sveglia.

-Tranquilla Crystal. Non voglio farti del male, ma adesso devi venire con me. In un luogo sicuro- è tutto ciò che mi fornisce come spiegazione.

Osservo il suo volto, che mostra i segni dell'età considerando le piccole rughe ai lati degli occhi, i capelli castani tendenti al ramato, gli occhi nocciola, il viso magro ben delineato e un accenno di barba.

Mi viene spontaneo pensare che possa avere più o meno l'età di mio padre, cosa che non fa che ricordarmi quell'orribile incubo. O forse era la realtà?

Scendo immediatamente dalle braccia dell'uomo, che mi guarda perplesso non capendo cosa mi passi per la testa. Volto il capo in direzione delle camere dei miei genitori, decisa a cercarli e trovarli, ma sembra intuire le mie intenzioni. Non ho nemmeno il tempo di indietreggiare di un passo che mi afferra per un polso, impedendomi di allontanarmi.

-Dobbiamo andare via- sentenzia.

-Cosa? No, no. Io devo andare dai miei genitori e da Sean. Dove mi vuoi portare?- cerco di liberarmi dalla sua presa, ma lui mi impedisce di muovermi e mi strattona il braccio spingendomi a voltarmi. Poggia l'altra mano sulla mia spalla, prende un respiro profondo e fissa i suoi occhi nei miei.

-Crystal, non c'è nessuno in casa. Solo noi. Loro sono... morti- rivela, con tono gentile, ma che sembra nascondere una punta di rabbia.

All'improvviso quell'incubo, che adesso è diventato realtà, si fa largo nella mia mente in ogni particolare, in ogni più piccolo dettaglio. Smetto di pensare all'uomo che ho davanti e a come diavolo faccia a conoscere il mio nome. Smetto di parlare, di tentare di liberarmi della sua presa e per un attimo mi sembra di aver smesso anche di respirare.

Era solo un incubo ne sono certa.

Allora chi è stato? Chi mi ha privato dell'amore della mia famiglia?

Anche l'ultima parte del puzzle si incastra al suo posto e mi rendo conto di ciò che è accaduto.

-Sono... stata io- alzo lo sguardo di nuovo su quello dell'uomo, riacquistando la voce.

-Dimmelo! Sono stata io, vero?- lo supplico, sentendo le lacrime spingere per uscire.

-Cosa?- si allontana da me con uno scatto, sbattendo le palpebre più volte. Si inumidisce le labbra e si schiarisce la voce -No, non sei stata tu. Adesso dobbiamo andare, sbrighiamoci- conclude sbrigativo, afferrandomi il polso e conducendomi di nuovo verso l'uscita.

Dopo nemmeno due passi, però, i miei piedi si ancorano al suolo senza alcuna intenzione a seguirlo. Le mani iniziano a tremare e mi sembra di non controllare più il mio corpo che emana solo freddo, gelo ed è privo di ogni emozione.

-Perché mi nascondi la verità?- sibilo con una voce così piena di rabbia che a stento riconosco come la mia -Dimmi chi è stato. Chi ha fatto del male alla mia famiglia?- alzo la voce, cercando di intimorirlo in modo che pronunci le parole che mi incrimineranno.

So di essere stata io. Mi ricordo.

Fisso lo sguardo nel suo, ma non noto intimidazione, né paura. Mi dedica un sorriso amaro, ma che sembra celare una certa soddisfazione. Tuttavia, troppo confusa e arrabbiata per ragionare lucidamente, non dò peso a questo particolare, continuando a fissare i suoi occhi castani.

Light and Darkness- NemesisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora