CAPITOLO XIV

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-Chi vuole venire alla lavagna a risolvere quest'equazione?- la squillante voce della Wilson rimbomba per tutta l'aula, risvegliando chi sonnecchia ancora sul banco.

È passata più di una settimana dall'attacco che ha completamente distrutto la palestra e ho potuto riprendere le lezioni solo oggi. Il Dottor Ross non era molto tranquillo sulle mie condizioni fisiche e ha voluto accertarsi che mi fossi davvero ristabilita.

Non ce la facevo più a passare intere giornate su quel letto di ospedale, circondata da strumenti medici e imbottita di antidolorifici fino alla nausea. Eppure, devo dire che il viso severo dell'insegnante di matematica, per non parlare della sua voce, quasi mi fanno rimpiangere quelle giornate.

Un ragazzo più minuto e più basso degli altri, dai capelli biondi, il viso tempestato di brufoli e che indossa un paio di occhiali rotondi, alza la mano agitandola in continuazione. La Wilson non si cura del ragazzo, probabilmente stanca di essere ascoltata solo da lui, e continua a scrutare gli alunni uno ad uno.

La situazione sembra essere tornata alla normalità, all'apparenza come se non fosse accaduto nulla, come se nessuno di noi avesse rischiato di farsi male. Le giornate continuano, il tempo scorre inesorabile e persino le lezioni della Wilson sono sempre la solita tortura.

-Signorina Thompson, perché non viene lei a risolvere l'esercizio?- finalmente l'attenzione dell'insegnate si concentra su qualcuno.

La ragazza stacca gli occhi dal quaderno e sussulta. Si irrigidisce e Nic le rivolge un sorriso di rassicurazione. Lo sguardo tagliente della donna non si stacca da Megan, che prende coraggio e avanza verso la lavagna senza abbassare lo sguardo.

Ricordo che ha dovuto seguire delle lezioni pomeridiane per recuperare l'insufficienza in matematica. Il suo atteggiamento sicuro dimostra che passare del tempo in più con la vipera che ci troviamo come insegnante ha dato i suoi frutti.

La ragazza si ferma davanti alla lavagna e afferra il pennarello nero con una mano tremante. Gli occhi della donna seduta dietro la cattedra non la lasciano un attimo, mentre quelli di Megan osservano la lavagna con titubanza. Stringe i pugni talmente forte da far diventare le nocche bianche e prende un respiro profondo prima di poggiare la punta del pennarello sulla superficie bianca della lavagna.

Osservo anch'io la traccia dell'espressione, scorgendo numeri, lettere e parentesi per me incomprensibili. Non sono mai stata un granché in matematica. Anzi, in realtà, non sono mai stata un granché a scuola. Era Sean il figlio modello, quello che non ha mai portato un'insufficienza a casa e di cui nessuno avrebbe potuto lamentarsi. La mia fortuna era averlo anche come compagno di classe. Non so se, senza di lui, sarei riuscita ad arrivare dove sono adesso.

-Vedo che ha studiato, Thompson- esclama l'insegnante con una punta di sorpresa nella voce. Si avvicina alla ragazza e la invita a tornare al posto con un gesto della mano. Subito dopo cancella l'esercizio che Megan ha svolto, lasciandone solo la traccia.

-Signorina Cooper, perché non viene a rifare l'esercizio- propone, linciandomi con lo sguardo -Non dovrebbe essere un compito troppo difficile, considerando che Thompson l'ha appena svolto correttamente-

Lo sapevo che non sarei dovuta tornare in classe oggi, con una vipera come lei alla prima ora. E pensare che sono anche arrivata in orario.

Lo sguardo di tutti gli studenti si posa su di me, attendendo che io mi alzi e mi diriga verso la lavagna. Cosa che faccio, anche se non ho seguito un solo passaggio e non ho la più pallida idea di come scamparla.

Prendo il pennarello tra le mani e fingo di analizzare l'espressione troppo lunga e complessa per i miei gusti. Quanto vorrei che ci fosse Sean seduto al suo banco guardarmi annoiato, alzare lo sguardo al cielo e poi suggerirmi come risolverla. Anche se, pensandoci meglio, non l'avrebbe mai fatto. Preferiva apparire davanti agli altri come il fratello distaccato e indifferente davanti alle difficoltà della sorellina stramba.

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