risorta dal terreno

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Probabilmente ad un certo punto mi addormentai visto che riaprii gli occhi guardandomi confusa, fu frustante rendersi conto che non era un sogno ma tutto quanto stava accadendo davvero e in quel momento.
Avevo poco spazio nel quale muoversi e tutto era confuso, travi di legno spezzate, blocchi di neve ammassati che poco a poco cadevano verso il basso, restavo prona ed ogni tanto tentavi di liberare il mio piede che non capivo o meno se si fosse rotto.
La signora sicuramente era ormai morta, le sue braccia pendevano inermi verso il basso e il suo sangue scarlatto colava lungo le travi tingendo di rosso la neve in basso, guardai l'altro soldato incastrato con me.
< hey, se vivo? > domandai, fu la prima cosa che pensai e mentre attendevo un ipotetica risposta mi guardai attorno, fu in quel momento che notai con orrore due grosse travi rotte che però si sostenevano a vicenda in senso obliquo e opposto, esse scricchiolavano e della neve cadeva su esse poco a poco. Precipitando sarebbero crollate su di me e probabilmente mi avrebbero uccisa quindi capii che non potevo stare semplicemente ferma in attesa dei soccorsi.
Sentii mugugnare qualcosa dal soldato così tentai di allungare una mano per colpire il suo casco ma riuscii soltanto a sfiorarlo.
< svegliati porca puttana > gli urlai e non sapendo che alto fare sputai sul suo viso.
< devi svegliarti o ci crepiamo qui dentro > insistetti, se non altro era vivo ma vedevo solo il petto, le braccia e la testa, lui era supino, qualche centimetro sotto di me in quello spazio irrisorio.
Con una mano presi in bocca della neve che poi sputai addosso al ragazzo.
Poverino, non solo era nella merda fino al collo doveva anche subirsi i miei sputi in un vano e disperato tentativo di farlo svegliare.
< dove... dove sono? > finalmente disse per poi lamentarsi per il dolore. Fu come se si svegliasse di colpo perché poggiando le mani sulla trave che lo schiacciava tentò di sollevarla urlando per lo sforzo.
<aiuto! Aiuto! > gridò esattamente come io feci appena sveglia, quando invece vide alla sua destra il corpo della signora, prima imprecò malamente e poi girò la testa per vomitare, sporcandosi il viso in maniera disgustosa.
<calmati, calmati, sono il fante Mazzoli> lo chiamai così, lui mi guardò e poi guardò in alto ed il suo viso s'impallidì come la neve sotto di lui.
<esatto, lo hai notato anche tu, dobbiamo fare in fretta> aggiunse e lui tentò ancora di sollevare l'asse riuscendoci solo di pochi centimetri.
<io so il fante Marchigiani, tu.... Tu ti chiami elisa giusto? Stai bene?> mi domandò ancora con tono spaventato.
<si sono io e sto bene ma sono incastrata dal busto e dalla gamba, sento di poter scivolare via ma non posso farlo finché ho la gamba incastrata > spiegai quindi rapidamente la mia situazione.
<eh! Che coincidenza, sono nella tua stessa situazione> replicò lui.
Quindi trovai la forse per sorridere un attimo tentando di sdrammatizzare.
<beh meglio che non sia una coincidenza con la signora> borbottai e lui fece cenno di no con la testa.
<non mi ci far pensare cazzo, usciamo da questa bara>.
Aveva ragione più tempo perdevamo lì dentro più il rischio di venir schiacciati a morte aumentava e come fine non era affatto allettante.
Mi sentivo però impotente, per quanto spingevo col piede libero non riuscivo a liberare quello schiacciato se non solo di qualche millimetro.
Persi quasi la rabbia e se non fosse che riflettei sulle conseguenze, stavo per dare un calcio all'asse che mi teneva prigioniera.
Non si sentiva niente se non il suono del legno che di tanto in tanto strideva pericolosamente ma ad un tratto un urlo mi fece sobbalzare, era marchigiani che sembrava essere parecchio dolorante.
<cosa ti succede?!> domandai quindi spaventata, l'urlo divenne quasi un capriccio singhiozzante che gli rendeva difficoltoso parlare con me.
<se spingo la gamba incastrata mi fa malissimo non capisco che cazzo succede! Fa un male porco> la sua spiegazione diceva tutto come non diceva niente, speravo solo di poter uscire entrambi da quella situazione di merda.
< aspetta, provo a fare una cosa > lo avvertii e invece di tirare il piede per liberarmi, scivolai con grande fatica attraverso la trave sopra il mio busto, anche quella se sarebbe crollata mi avrebbe frantumato le costole uccidendomi.
Mi trovai rannicchiata in uno spazio ancor più piccolo e ancor più buio che puzzava di sangue, pensai si trattasse del mio ma guardando verso la mia sinistra notai due travi sovrapposte nel cui mezzo una poltiglia di cervella e sangue straboccava verso il basso.
Un braccio faceva capolino tra le due, questo indossava una divisa e il suo indice di tanto in tanto aveva degli spasmi.
La scena fu raccapricciante, degna di un film horror e dovetti concentrarmi per non vomitare.
<cristo santo... cristo santo> esclamai terrorizzata mentre prestai più attenzione alla mia gamba incastrata tra due assi.
<che c'è?!> subito la domanda del mio compagno arrivò preoccupata.
<uno dei nostri. Cazzo è morto> risposi <non so chi sia> aggiunsi poi.
Lui poi urlò maledicendo quella assurda situazione.
Io invece mi trovavo in posizione fetale col ginocchio del piede incastrato tra i seni, non una delle posizioni più comode, soprattutto se dovevo far forza per sollevare l'asse.
La scelta di andare in quel pertugio però mi salvò, perché le travi su cui poggiavo la schiena tremarono e dietro di me sentii i chiari suoni di un crollo ed un urlo che venne poi sommesso.
<marchigiani?!> urlai in ansia <marchigiani?!> ancora quando non sentii più risposta ed effettivamente, il soldato non mi rispose più.
Persi il controllo iniziando a respirare tante volte rapidamente, senza rendermi conto stavo andando in iperventilazione e oltretutto il freddo iniziava a farmi male, nonostante i guanti le mie mani faticavano a piegarsi.
< qualcuno mi aiuti! Sono qui! Qui! > urlai ancora mentre mi piegai in avanti, tentando in tutti i modi di sollevare la trave, sarebbe bastato anche qualche centimetro, il giusto per far scivolare fuori il piede e liberarmi da quella situazione, mi trovavo in una sorta di tunnel stretto che andava più o meno in alto e terminava in un tappo di neve. Non sapevo che c'era oltre ma non mi restava altro che provare a risalire. Pezzi di legno spezzati e sregolati formavano quel tunnel lievemente zigzagante, non più alto di due metri.
Speravo soltanto che se fossi riuscita a liberarmi, dopo mi sarei anche potuta muovere, che il piede non fosse fratturato.
Mi concentrai, calmai il mio respiro reso visibili da una nuvoletta che risaliva, infine urlando cercai di sollevare almeno un po quel pezzo di legno mentre con la gamba diede violenti strattoni all'indietro, quasi colpendomi in faccia col ginocchio, non cedetti, continuai a provare e riprovare fin quando sentii il piede scivolare ed infine liberarsi. Così lascia subito la trave che si abbassò di pochi centimetri.
Gemetti un po dal dolore che dalla caviglia si propagò fin sopra il ginocchio, pulsava rinnovando in continuazione quella dolorosa esperienza ma quando lo muoveva non faceva particolarmente male così mi convinsi che se fosse stato rotto nel muoverlo mi avrebbe provocato lancinanti dolori.
Aspettai qualche attimo, giusto per riprendere sensibilità mentre il dolore si fece più flebile e iniziai ad arrampicarmi verso l'alto, appoggiandomi dove riuscii attenta a non ferirmi con qualche scheggia.
Avanzavo soltanto dopo essermi assicurata d'aver poggiato per bene i piedi e le mani mentre intanto continuai ad urlare sperando che qualcuno mi sentisse.
Improvvisamente, la parte di detriti e neve sopra di me venne portata via e vidi il cielo bianco illuminare il pertugio dove mi trovavo. Non riconobbi le facce, queste erano scure visto che la poca luce mi abbagliò ma indossavano dei caschetti.
< ragazzi tiratemi fuori di qui > dissi quasi implorandoli mentre tesi la mano verso di loro.
Un gruppo di altri militari e vigili del fuoco, questi potettero arrivare solo diverse ore per via del tempo ma per me era passata un eternità.
Quando venni praticamente fuori dalla terra mi fecero sdraiare su una brandina e guardandomi attorno vidi tutto l'ammasso di neve e legna da cui ero uscita, altri soccorritori stavano ancora lavorando e in quel momento mi dispiaceva solo non poter dare una mano.
< ci sono due corpi, ero con un altro sopravvissuto ma dopo non l'ho più sentito > mormorai ad un vigile del fuoco.
< ok grazie Mazzoli, ora però rilassati, ti mettiamo in ambulanza, tu pensa a guarire > mi rispose lui in tono rassicurante ma nei miei pensieri, in quel momento, nonostante mi avesse appena salvato, mi sembrava una testa di cazzo per la risposta che mi diede.
In ospedale scoprii che la neve da una grossa collina scivolò verso il basso con violenza, devastando due case in quel punto del paese e che i feriti furono molteplici. Restai nel lettino del pronto soccorso dopo che steccarono la mia caviglia. Restai tutto il tempo incollata davanti ai notiziari, ansiosa di sapere quante altre persone come me venivano tirate fuori dalle macerie. Durò diversi giorni dopo i quali si appurò che le vittime si aggiravano attorno ad una dozzina tra civili e militari.
Capii quanto fui fortunata quel giorno, sarebbe bastato davvero poco per morire, ero arrivata a tanto così e pure non ero scioccata o disturbata. Solo dispiaciuta per l'altro soldato che rimase schiacciato.
Il mio pensiero andò alle famiglie, nemmeno potevo immaginare cosa una persona potesse pensare o fare alla notizia che il proprio figlio era morto.
Domandai all'infermiera se avessi potuto chiamare i miei genitori, conoscendo mia madre sicuramente stava già piangendo visto che la notizia passò in tutti i notiziari.
Indovinai, quando rispose al telefono e sentii la mia voce non smise più di ringraziare il cielo che dossi viva.
Dovetti infatti chiamarla più volte prima di poter parlare io e le spiegai che stavo bene, ero un po ammaccata e la gamba aveva subito una forte botta ma almeno non era nemmeno rotta quindi mi andò davvero di lusso.
Ovviamente omisi dettagli orribili di quanto mi accadde ma alla fine della chiamata aveva già smesso di piangere.
Una volta terminata la chiamata ne feci subito un'altra; Matteo che anche lui era preoccupato, mi ripetette diverse volte quanto mi volesse bene e che aveva paura di non potermi sentire più.
Fu tanto dolce e in quel momento avrei voluto stringerlo a me.
Si calmò subito e gli domandai dell'università e della famosa ragazza, era riuscito a conquistarla.
L'eterno sfigatello Matteo aveva finalmente una fidanzata! La cosa strana era che mi ritrovai lievemente gelosa ma ero tanto felice per lui.
I Giorni che seguirono furono parecchi tristi al Rav. Nonostante la vita di sempre riprese piede si sentiva un aria negativa tra i compagni.
Io Fui costretta a stare in infermeria, per diversi giorni zoppicai non riuscendo a poggiare il piede a modo.
Volevo guarire il prima possibile per riprendere ad addestrarmi, odiavo stare senza far niente.
Il giorno de funerali per le vittime del crollo fui presente, nonostante il dolore alla caviglia, indossando la divisa di tutto punto e in piedi con la mia compagnia.
Il cielo era cupo, l'aria triste e le dodici bare erano state poste in fila, tutte coperte da una bandiera tricolore.
Fu straziante vedere le persone piangere disperate, abbracciarsi in cerca di un effimero conforto. Alcune donne probabilmente le madri di alcuni caddero in terra strillando.
Un urlò che mi infilzò come una spada in pieno petto, dovevo restare ferrea, impassibile e ciò non mi faceva stare bene con me stessa.
Dopo la messa tenuta nella piazza della chiesa completamente innevata, furono sparati i classici colpi verso l'alto in rispetto dei militari caduti.
Il funerale fu trasmesso in diretta nazionale e infatti diverse troupe televisive ci accerchiarono in cerca dell'inquadratura perfetta.
Mi venne fatta anche alcuna domanda dopo aver ricevuto il mio permesso e quello dei miei superiori, in quanto superstite fui assalita dai microfoni e da mille domande.
Cercai i rispondere a tutti nel modo più formale ed educato; raccontai che stavo portando le coperte come era routine in quei giorni quando improvvisamente tutto fu confuso e mi ritrovai sotto la neve e il legno.
La caviglia guarì relativamente in poco tempo permettendomi quindi di riprendere gli esercizi, tra escursioni in montagna, marce e quant'altro.
Una routine che riprese piede abbastanza in fretta, del resto avere una vita come la mia portava ad una severa schematica per tutta la giornata.
Se per molti poteva risultare noioso o faticoso, a me piaceva. Oltretutto il corso di rinuncia stava anche terminando quindi da li in poi si sarebbe sentita meno pressione.
Il tempo per ritirarsi senza motivata causa era ormai allo scadere e a quel punto, già molte persone che avevo conosciuto lì, non c'erano più.


Guardai Cheese assottigliando gli occhi, lui non si accorse così parlai.
< quanto devo andare avanti Cheese? > domandai ma lui non rispose e mi fece cenno di guardare attraverso il mirino de mio fucile.
Centrata la lente con l'occhio che usavo per mirare, guardai attraverso e la mia attenzione fu subito catturata da due blindati che muovendosi nella notte creavano un gran polverone.
Fui scioccata nel vederli, non riportavano nessuno stemma o bandiera ma avanzavano indisturbati verso la base, raggiunto il cancello principale questo venne aperto e per qualche secondo il mio visore notturno fu abbagliato da diverse luci che danzavano nella notte.
Scesero diversi uomini, forse una ventina e uno di questi, guardandosi attorno, involontariamente mi guardò negli occhi, avevo il puntatore tra i suoi occhi e lui sembrava proprio che mi stesse guardando anche se ad una distanza tale da non potermi notare, soprattutto al buio.
In un primo momento il mio indice si irrigidì pronto a premere il grilletto ma mi ricordai di aver la sicura. innanzi tutto quindi portai via la mano e la usai per chiamare Bighouse.
< qui Delta a Bighouse, irish chiede il permesso di parlare, passo > dissi alla radio.
< qui Bighouse, avanti Delta , passo> rispose e quindi sospirai.
< abbiamo due blindati in arrivo, diversi uomini armati sono scesi ed entrano nella villa, passo >
Io e Cheese ci guardammo aspettando una risposta che impiegò qualche secondo in più ad arrivare. Entrambi con le dita a premere la cuffietta dentro il nostro orecchio.
< ricevuto Delta, il piano resta immutato al momento, avvertiteci nell'evenienza di ulteriore rinforzo nemico, Per ora Bighouse passa e chiude >.
I Blindati restarono in obliquo difronte il cancello principale mentre gli uomini appena arrivati sparirono all'interno dell'abitazione.
Mi domandai a quel punto se si stessero aspettando un qualche attacco o era solo prevenzione, sicuramente non sarebbe stato così semplice coglierli di sorpresa dato il numero ingente di soldati all'interno. Avremmo giocato il tutto per tutto quella sera e non vedevo davvero l'ora di poter premere il mio grilletto, l'attesa infatti oltre ad annoiarmi mi creava un senso di impazienza sempre maggiore.

Redwind: La folgore scarlattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora