l'inizio della mia fine

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 Tre anni dopo il salvataggio di Beatrice...
"no, aspetta! Come tre anni dopo?" Cheese mi bloccò sul nascere incredula da come ripresi a raccontargli.
Feci spallucce senza nemmeno guardarlo, continuavo ad osservare quei disgraziati che pulivano la loro bella villetta, presto sarebbero morti e nell'aldilà o ovunque sarebbero andati, avrebbero raccontato che morirono intenti a pulire dalla sabbia una villa nel deserto. Decisamente triste.
"tu fammi raccontare senza interrompermi" Replicai anche se l'uomo non parve molto entusiasta.
"si ma mi stai raccontando cose successe due anni fa! Cosa cerchi di evitare di quei tre anni?".
Feci cenno di no e dopo una lunga pausa, ignorandolo continuai a raccontargli, almeno lo avrei tenuto zitto.

Tre anni dopo il salvataggio di Beatrice, mi trovavo in una Renault Espace Verde oliva. Fuori pioveva a dirotto, così tanto da ridurre la visuale e intasare il traffico nel passaggio della Cisa. Restavo in silenzio poggiata col gomito affianco al finestrino chiuso; un piercing a staffa con doppia sfera sul sopracciglio, esattamente dove la cicatrice divideva in due il sopracciglio. I miei capelli erano corti tre dita e arruffati, un taglio maschile con piccole ciocche spettinate e in disordine. Era veramente un brutto taglio, tanto corto che non avevo ne ciuffo ne frangia. Lo feci poco prima di partire con lui, dopo un raptus di "autolesionismo".
Per Samuel il taglio era troppo corto e scherzosamente mi ripeteva che sembravo lesbica. Ti stai chiedendo chi sia Samuel? Andiamo... te ne ho già parlato era il mio ragazzo di quel periodo.
Quando lo conobbi due anni prima di trovarmi con lui in auto, avevo ancora i capelli lunghi, raccolti sempre in una coda di cavallo. Ero andata in un bar perché avevo bisogno di una birra fredda e di certo in caserma non la servivano. In quei anni spendevo per lo più così il mio tempo libero; andando in qualche bar a bere per non pensare. Stava diventando un bruttissimo vizio che poco a poco mi trasformava in qualcosa di orribile. Irriconoscibile
Un rompi scatole venne a provarci con me, era parecchio fastidioso e così apparve Samuel, lui non era proprio il mio tipo. Alto e secco, capelli arruffati che mostravano già un accenno di stempiatura e dei piccoli baffetti abbinati ad un pizzetto sul mento.
Finse di essere il mio ragazzo e allontanò il fastidioso pretendente, però invece che allontanarsi, si sedette al mio fianco e senza che nessuno glielo chiese iniziò a parlarmi.
Ci finii a letto... o meglio, nella stessa auto dove stavo viaggiando, la sera stessa in cui ci conoscemmo. Da quel giorno pensò di essersi messo con me, era un tipo strano, fastidiosamente ingenuo che però riusciva a farmi distrarre in quel periodo orribile della mia vita.
Un periodo così buio e depresso che mi costò l'intera carriera, fammi raccontare e capirai il motivo.
Dopo l'operazione nella quale salvammo Beatrice ci fu un susseguirsi di operazioni che mi tenettero impegnata costantemente. Quando eravamo liberi Draghi ci sottoponeva a severi addestramenti per essere sempre pronti a nuove missioni. Non ne fallimmo nemmeno una, eravamo sempre precisi, puntuali ed efficaci. Nel giro di un anno diventammo forse la squadra più, passami il termine, forte di tutto il nostro reggimento. Questo non poteva fare altro che gonfiarci il petto d'orgoglio ma comunque restavamo umili e concentrati su quello che dovevamo fare. C'era sempre qualcosa da perfezionare o situazioni che si potevano gestire in meno tempo, quindi non avevamo mai un giorno di riposo.
L'apice della mia carriera come cecchina giunse con l'uccisione confermata di Hassan Abdullah, colpo preciso in pieno peto. Egli era colui che in quei anni guidava L'isis; la notizia fece il giro del mondo, le forza d'assalto del nono reggimento hanno stanato ed ucciso colui che guidava la nota cellula terroristica in Siria. Più o meno e con tanti giri di parole, la notizia suonava sempre più o meno in quella maniera. Fui fiera di me stessa poiché sapevo che impatto avesse avuto quel mio gesto anche se non mi sarebbe mai stato riconosciuto se non tra i miei stessi compagni. Andava bene così, non era la fama ciò che cercavo. Tutto andava per il verso giusto e la mia vita militare progrediva di successo in successo, sembrava che niente potesse fermarci... Niente al di fuori di noi stessi.
Ti ricordi del caporale Fini? Quello svitato che mi corteggiava in modo assillante? Beh la squadra di Draghi e la sua vennero messe insieme per un'assegnazione che sarebbe durata diversi mesi.
In Iraq saremmo in compagnia dei Peshmerga, forze armate della regione autonoma del Kurdistan iracheno. Uomini disposti davvero a morire per combattere, del resto il loro nome significava proprio quello.
Stare con loro fu un esperienza che riempì ancor di più il mio bagaglio personale delle esperienze, anche se ci ritrovavamo ogni giorno nel mezzo di una sparatoria. La mattina quando mi svegliavo come prima cosa pregavo me stessa di restare concentrata ogni istante poiché anche un solo secondo poteva costare la vita.
Vivere in quella condizione diventò sfibrante e gli unici momenti di relativa calma era quando alla base addestravamo i soldati Kurdi così da renderli più preparati. Durante quei sei mesi morirono otto di loro e due dei nostri furono costretti a rimpatriare per ferite debilitanti. Quando ciò accadeva l'umore s'abbassava drasticamente ma bisognava inventarsi qualcosa per tirarsi su e continuare il lavoro.

Redwind: La folgore scarlattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora