Intervista alla ragazza del nono

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A quel punto cheese restò per qualche secondo a guardarmi, il suo sorriso era un mix tra intenerito e rammaricato, sapeva anche lui cosa significasse perdere qualcuno. Alla fine quando si era all'interno di quel mondo, tutti sapevano più o meno cosa gli altri provassero.
"aspetta, il tipo che ti ha schiacciato la faccia non è lì dentro?" domandò lui indicandomi poi una foto che avevamo poggiato tra di noi.
"cioè, eri entrata in contatto con Chatov già in quei anni? Che ci faceva in Iraq?" Domandò lui confuso.
Io trasalii ancora con la pelle d'oca nel ricordare la mia quasi esecuzione, osservai intensamente quella faccia così rude e severa. Quei occhi piccoli e profondi sembravano potessero scrutarmi anche solo attraverso una semplice fotografia.
"Ayoub si stava unendo alla sua causa contro l'occidente, probabilmente Chatov gli aveva promesso qualcosa di allettante, non saprei altrimenti" esalai con la voglia di sparare a quel figlio di puttana che saliva in me.
I tempi erano però ancora troppo maturi e le cielo Siriano il mattino era ancora distante. Brillava con tutte le sue stelle mentre attorno a noi non vi era altro che rocce e sabbia. Un odore particolare, quasi amaro entrava costantemente nelle mie narici anche se coperte dall'uniforme mimetica.
"è proprio un bel casino, se solo fossimo riusciti a fermarlo prima magari adesso non eravamo qui".
Frase un po scontata, per questo mi fece sorridere, lo guardai pochi secondi concentrandomi poi all'interno del mio mirino.
"e dove saremmo ora?" lo punzecchiai ma lui con un sorrisetto da idiota ebbe la risposta pronta.
"non so, tipo Parigi o Cuba" feci cenno di no con la testa.
"Parigi è una vera merda".
Lui ridacchiò sorpreso dalla mia affermazione "grazie eh! Gentilissima". Del resto lui era di Lione e probabilmente avevo colpito il suo senso di patriottismo.
"voi col moschin siete tutti così simpatici?" aggiunse in fine. Cheese aveva sempre una voce parecchio squillante, spiccata che entrava violentemente nei timpani. Spesso risultava parecchio fastidiosa, poi il suo accento francese rendeva il tutto ancora più fastidioso.
"invece voi Gign avete il brevetto da idiota?" era sempre divertente battibeccare con lui. Ci trovavamo sempre ad un duello verbale che anche se non vincevo, mi prendevo la vittoria facendo prevalere i miei gradi. Poco onesto ma era sempre bello vederlo perdere.
"ammettilo, con Alyssa non ti diverti quanto con me, i Seal sono tutti seri" aggiunse anche un verso di una parlata arrabbiata, per evidenziare la cosa.
"Quanto meno il Sergente Clovet non ci prova con me" replicai. Tacette per un po così mi concentri meglio sui tango a ore dodici che continuavano a camminare lungo i vari balconi e vialetti interni. I blindati erano stati fatti entrare e parcheggiati in un angolo da cui però non avevamo visuale. Bevvi un altro sorso d'acqua per poi sistemare il pupazzetto di Jokky attaccato al calcio del mio Mc millan. Domandandomi se nel momento in cui avrei dovuto aprire il fuoco sarei stata precisa come sempre, se la tensione mi avrebbe tradita facendomi sbagliare.
Sbuffai lentamente per far si che la tensione si sciogliesse un po, quanto meno provai.
"se ti succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai". Le sue parole mi spiazzarono, fu molto dolce sentirglielo dire anche se non volevo dargli troppe soddisfazioni.
"Vedrai che andrà tutto bene, anzi sarò io a salvarti il culo" risposi cercando di buttarla un po sul leggero ma non funzionò affatto.
"seriamente, se qualcuno provasse a toccarti io giuro che lo faccio letteralmente a pezzi, tanti piccoli pezzi tenendolo in vita coi lacci emostatici per farlo soffrire il più possibile" Quando iniziò a parlare lo stavo guardando ma alla fine girai lentamente la testa guardando nel mirino.
"oook Cheese, adesso smettila, sembri Viking, fai venire i brividi cazzo!".
Trovò divertente la mia frase e per chiedere scusa sollevò il palmo della mancina, nel frattempo guardandolo con aria di dissenso mi portai verso il distanziometro.
"si stanno cambiando ancora guarda verso ovest, l'angolo in basso a destra del tetto". L'apparecchio segnava due chilometri e una trentina di metri. Il vento, in quel momento si muoveva nella direzione opposta ma comunque nel corso del tempo avrebbe potuto cambiare direzione mille volte.
"Ma alla fine in iraq, avete finito la black list?" Mi domandò.
"quattro furono uccisi in un unico punto, sfondammo le finestre e li trovammo intenti a giocare, anche fin troppo facile" Spiegai con un senso d'orgoglio."
"devo essere onesto, non sapevo che in italia ci fosse un corpo così addestrato, è anche strano che una donna ne faccia parte no?".
Lo guardai storto, prendendomi un po di tempo così da farlo sentire in imbarazzo, il mio silenzio bastò evidentemente perché lui toccò la mia guancia cercando di piegarmi il viso.
"eddai, non guardarmi così, mi metti ansia". Sbuffai e smisi di guardarlo come da lui chiesto.
"ha parlato quello che farebbe a pezzi la gente, comunque fui una delle primissime donne Col moschin, era diventata una notizia così clamorosa che finii nei notiziari".
Lui fece quel tipico verso ispirato di chi rimaneva sorpreso, sapevo già cosa mi avrebbe detto successivamente.
"no no no, questa me la devi raccontare" Cheese diventò come un bambino entusiasta del suo regalo di natale.
"e ti pareva" mi fermai a ridacchiare...

Fui chiamata a rapporto Dal maggiore cui facevamo riferimento, dopo essermi messa ai suoi comandi i fece cenno di sedermi.
Eravamo infatti nel suo ufficio; uno stanzino non troppo grande con due sedie tra una grossa scrivania di legno nero. Su questa vi erano alcuni documenti e un portatile. L'uomo, con le sue nocche pelose stava ancora digitando chi sa cosa su quest'ultimo.
Il resto dell'arredamento era composto da alcuni mobili non più alti di un metro e mezzo. Queste avevano delle facciate di vetro dove all'interno si vedevano diversi libri e faldoni.
Nei muri erano poi affissati diversi quadri con altrettante onorificenze. Restai con lo sguardo ferma sull'uomo dai capelli brizzolati e le folte sopracciglia.
"fosse stato per me non saresti mai entrata nel nono, ma ahimè il danno è fatto".
Restai impassibile nonostante la frase che mi disse fece parecchio male, volevo rispondergli che mi ero sudata il mio posto ma restai zitta. Dandogli quindi atto di continuare.
"comunque sia, un inviata della rete Mediaset è ospite qui alla base, sta scrivendo un servizio sulla situazione attuale di questo paese e sulle forze italiane impiegate" Si fermò ma il suo dire sembrava incompleto, restai ancora in silenzio mentre bevette un po d'acqua. La sua voce appariva grattante, come se soffrisse di mal di gola e infatti dopo aver bevuto tossì violentemente.
"quando ha saputo di te mi ha chiesto se poteva fare un servizio su di te, quindi ti ho fatta chiamare per dirti cosa devi dire e cosa no".
Restai parecchio spiazzata da tutta quella situazione, infatti mi piegai lievemente in avanti, assumendo un'aria confusa.
"mi scusi maggiore, quali sarebbero le cose che non dovrei dire?" domandai quindi.
Lui fece cenno di no e riprese a parlare prepotentemente.
"sei una Col moschin, quindi immagino non debba dirti che le tue vere operazioni sono un segreto di stato ma voglio anche che tu eviti di raccontare cose come morti di commilitoni, Diremo che il nono sta lavorando alla cattura di alcuni criminali senza specificare niente, se ti fanno domande specifiche tu non parli e intanto, dirai che state dando appoggio alle unità per la protezione di quel campo. l'italia è in missione di pace qui. Inventati la bella favoletta della soldatessa buona che aiuta i residenti, magari ti mettiamo in un campo con dei bambini così ti riprendono mentre interagisci con loro, tu sembri un'eroina e l'immagine dell'esercito ne esce pulita".
Le sue parole mi lasciarono basita, mi permisi di poggiare il palmo sulla sua scrivania piegandomi in avanti, come per attirare la sua attenzione.
"Come ha detto lei, sono una Col moschin, non... " Stavo per parlare ma lui sovrastò la mia voce bruscamente.
" te lo ripeto, devi solo generalizzare!".
Avrei voluto prenderlo a calci in culo ma mi sollevai e dopo averlo salutato mi allontanai non appena mi diede il permesso.
Tornai dalla mia squadra e dopo aver parlato col Sergente Marti, lui mi spiegò che aveva provato a non farmi separare ma che non ci fu verso, mi suggerì di inventarmi che il nono presidiava in sicurezza per il campo nel quale sarei dovuta andare durante l'intervista.
Ovviamente non mi andava ma il Sergente, come suo solito mi diede una pacca sulla spalla.
"mancano ancora pochi idioti da ammazzare, tra poco torneremo a casa, fai questo sforzo con te verranno...." a quel punto si fermò Creando della suspance.
"Fabrizio e Leonardo" Detti i nomi, quelli interpellati sollevarono gli occhi al cielo e io mi preoccupai perché divisi dal sergente sarei stata io la diretta responsabile per gli altri due.
Il pomeriggio invece, dopo aver compiuto le nostre faccende trovai del tempo per allenarmi al tiro con Alyssa; imparare a smontare il fucile, pulirlo e prendermene cura fu la prima cosa che davvero mi riuscì bene.
Anche guardare all'interno del mirino iniziava a diventare semplice e mettendo a fuoco iniziai ad avvicinarmi in modo più pulito verso i bersagli. Avevo davvero tanto da imparare visto che Il sergente Clovet mi correggeva dopo ogni singolo sparo, anche per le più piccole sottigliezze. Spesso quando mi esercitavo con lei, alcuni delta guardavano i risultati attraverso un binocolo, ridacchiando od esultando a seconda del tiro.
Quando mi prendevano in giro Il sergente li riprendeva dicendo loro che ben presto sarei diventata davvero tanto brava e che non mi avrebbero più deriso.
Mi faceva davvero piacere sapere che lei credeva in me,avere la sua approvazione e la sua fiducia.
Sicuramente lavorare insieme ci aveva unite e dopo gli allenamenti, quando e se c'era tempo. Ci raccontavamo dei fatti personali. Ad esempio le confessai di quanto bullismo subii o le raccontai della mia prima volta.
Lei mi raccontò che da ragazzina, verso i quattordici anni, aveva avuto dei rapporti con uno dei suoi cugini gemelli ma che non non fecero niente di serio. Invece col suo ragazzo aveva iniziato poi ad avere rapporti completi e per inesperienza restò incinta.
Lui si chiamava Stefan e nonostante avesse all'epoca solo diciassette anni, aveva già della barba bionda sul viso.
Quando lei restò incinta il padre di Sefan si trasferì, non sapette mai di sua figlia Ginevra anche perché il nonno di quest'ultima considerava la Famiglia di Stefan dei, e cito, grandissimi bastardi.
"sto pensando di cercarlo quando tornerò in America" mi confessò lei rattristata. Davvero un momento raro quello. Infatti fui spiazzata nel vederla in quel modo.
"come mai solo ora, se posso chiederti?" la mia domanda sembrava più che lecita. Lei scrollò le spalle e mentre sistemavano la postazione di tiro si fermò per pochi attimi.
"ho pensato che mia figlia merita di più che una madre sempre assente, se dovessi morire la lascerei completamente sola..." sospirò riprendendo ad aiutarmi. Piegammo insieme il tappetto sul quele mi ero sdraiata fin poco prima.
"...ci sarebbero i miei genitori ma so, che lei si sentirebbe sola, per questo devo farle conoscere il padre, ho torto?" mi domandò.
Quel frangente mi ricordò ancora una volta quanto profondo poteva essere il nostro mondo.
In quel momento non stavo parlando col sergente Clovet ma con la semplice donna Alyssa intrappolata nei suoi problemi di donna comune. Niente di spettacolare, nessuna vita sfarzosa ma solo una madre preoccupata per la sua bambina. Una donna soldato che non aveva mai abbandonato i suoi ideali di giustizia verso il mondo, che voleva e stava dando se stessa per cercare di cambiarlo ma che comunque temeva per la sua amata figlia.
Mi si strinse il cuore e avrei voluto abbracciarla in quel frangente.
Gli risposi con un cenno del viso, non c'erano parole per quanto lei mi avesse detto.
"vorrei solo che la smettesse di odiarmi.... Cristo!" Alyssa prese ancora del tempo ma poi sorrise con l'angolo della bocca.
"scusami Elisa, dai, ci vediamo la prossima volta"
"alla prossima". Stavo per andarmene ma prima di sparire dalla sua vista, decisi di girarmi.
"Sergente Clovet, io non sopportavo mia madre e pure ora non vedo l'ora di abbracciarla, sono sicura che anche Ginevra, non vede l'ora di abbracciare la sua mamma".
Lei sorrise, apprezzando quello che le dissi e in quel momento mi venne in mente di scrivere due lettere.
Una sarebbe andata a mia madre e una, proprio a Ginevra.
Con la tecnologia potevo semplicemente cercarla su Facebook e scriverle ma volevo fosse qualcosa di incancellabile, qualcosa che si potesse toccare e non sei semplici pixel dietro lo schermo di un computer.
A dire il vero, pensai che tutti nella squadra dovessimo scrivere una lettera e scambiarcele tra noi, nel caso uno di noi venisse a mancare. Lo avrei proposto ma più avanti, dopo la questione dell'intervista.
Tornando all'interno della base, nell'atrio principale alcuni superiori mi indicarono ad una donna dai capelli biondi, tirati all'indietro e tenuti in una coda che scivolava lungo la spalla sinistra sopra il suo petto.
Portava vestiti bianchi e leggeri con scarpe nere eleganti, queste ticchettavano sul suolo scandendo i suoi passi.
Mi avvinai anche io verso di lei e mentre sorridemmo per apparire cordiali ci stringemmo la mano.
"Borini Teresa, Studio aperto" mi si presentò.
"caporale Mazzoli Elisa". Dopo aver replicato la vidi agitare lievemente la mano, tentò di non farlo notare ma me ne accorsi ugualmente.
Lei stringeva in mano una cartelletta e dietro la donna restava fermo un ragazzo in carneche indossava una t-shirt nera e dei bermuda. Questo mi fece un cenno di saluto, sulla spalla destra reggevano una costosa videocamera. Io rispondendo al saluto mi sentii a disagio. Infatti cademmo per pochi secondi in uno di quei tipici silenzi imbarazzanti.
"Caporale, se non ha niente in contrario possiamo spostarci, ci hanno dato uno stanzino". Io afferrai le mie stesse mani nella zona lombare e annuii.
Una volta capito quale stanzino potevamo occupare feci strada e aprendo la porta li lasciai entrare abbozzando un sorriso per poi chiudermela alle spalle.
Fu in parte divertente perché quello stanzino lo usavamo per gli interrogatori; aveva infatti un arredamento sterile con quattro sedie, un tavolo di plastica blu con le gambe di metallo bianche e delle videocamere agli angoli.
Restai rigida con la schiena mentre la donna mi porse dei documenti, inizia a leggerli ma sollevai lo sguardo aggrottando la fronte nel sentirla parlare.
"questa è la documentazione per la privacy, firmando da a noi il consenso di riprenderla in volto e di mostrare le immagini, o parte di esse in un emittente nazionale".
Ero veramente dubbiosa ma decisi comunque di firmare per poi poggiare la penna sul foglio in modo forse anche troppo energico.
"molto bene" lei sorrise e il ragazzo accese la videocamera, me ne accorsi da una lucina rossa che si accese.
Le prime domande furono alquanto stupide; come mi chiamavo, quanti anni avessi e da dove venissi.
Risposi con cordialità fin quando non mi venne fatta una precisa domanda.
"cosa spinge una donna, anche così graziosa a diventare una donna soldato?"
Schiarii la voce portandomi in avanti e intrecciando le dita tra loro poggiai gli avambracci contro l'angolo del tavolo.
"anzitutto la bellezza penso non conti niente Quanto al resto della sua domanda: Da piccola ero vittima di bullismo, per me la scuola è stato un inferno. Gli estremisti islamici, con le loro bombe e il loro terrorismo sono come il bullo della scuola che picchia il ragazzo indifeso. Ammazzano innocenti in nome di un dio e questo già di per se è intollerabile. Quindi ho scelto di diventare un soldato per dare un contributo non solo al mio paese ma anche al mondo, perché le persone non debbano andare in un centro commerciale con la paura che questo esploda", Lei annuì e controllò ancora i suoi documenti, probabilmente con le domande che aveva deciso di rivolgermi. Più tempo passavo all'interno di quella stanza, più la mia pazienza veniva meno ma cercavo comunque di restare composta ed educata.
"come ci si sente ad essere una delle poche, se non l'ultima donna appartenente ad un corpo speciale? Le prove d'ingresso per entrare nel nono reggimento sono state dure?".
Sapevo sarebbe arrivata quella domanda, infatti ridacchiai e dopo aver guardato verso il basso tornai con gli occhi verso la bionda. In Quel momento mi ero già dimenticata del suo nome.
"Chiunque durante il periodo di addestramento mi ripeteva che nessuna donna entrava nel nono, di cambiare idea, io però non voletti sentire ragione e ci provai. Fu parecchio difficile, la fatica più grande che provai in vita mia ma..." a quel punto aprii le braccia sollevando lievemente le mani verso l'alto " alla fine c'è l'ho fatta, eccomi qui, amo il mio reggimento proprio perché mi permette di fare esattamente quello che volevo fare"
"e cosa volevi fare?". Sicuramente la domanda fu improvvisata, arrivò rapida e violenta.
"beh... servire il mio paese nei migliore dei modi, non era restando dietro una scrivania che avrei difeso le persone dal bullo" mi rifeci alla mia precedente argomentazione anche se la risposta fu parecchio titubante.
Il fatto di non poter parlare chiaramente mi creava non poco disagio, temevo di dire qualcosa che non avrei dovuto.
"capisco, cosa hai provato nel sapere che saresti stata la prima donna nel nono? La vita militare com'è per una donna?" ripiegò lei, aveva capito che non le avrei detto di più.
"in realtà, ad essere onesti, non sento questa grossa differenza. Quando si è qui, tutti insieme, non esiste la differenza dei sessi. Si insomma, siamo tutti nella stessa situazione e quindi le diversità di genere vengono meno" Presi un po di tempo ridacchiando, questo perché ricordai le facce dei miei superiori quando alla fine risultai idonea. "quando ricevetti la notifica della mia idoneità saltai tutta contenta, sembravo una liceale al concerto del suo cantate preferito. Sapevo che ogni mio sforzo, ogni mia rinuncia mi aveva portato esattamente dove volevo arrivare, quindi mi sentivo fiera di me, orgogliosa e soprattutto realizzata. Ero riuscita là dove tutti mi dicevano che avrei fallito".
La donna, che ricordai si chiamasse Teresa. Sorrise compiaciuta ma passò alla domanda successiva.
Mi stavo decisamente annoiando, volevo essere ovunque meno che lì.
"i suoi cari come vivono questa scelta?". Sapevo anche che sarebbe giunta questa domanda del resto furono domande piuttosto prevedibili.
"quando me ne sono andata di casa mia madre stava piangendo e quando le dissi che sarei partita per l'iraq svenne, è sempre stata una donna molto apprensiva. Mio padre per quanto so che mi voglia bene è sempre stato un po più freddo" Spiegai con tranquillità e lei fece un sorriso malizioso che non mi piacette affatto.
"facciamo un po di gossip, c'è qualcuno nel cuore del Caporale Mazzoli?".
Avrei voluto strozzarla come fosse una gallina, esalai infatti e ritornando dritta con la schiena feci cenno di no con la testa.
"trovare l'anima gemella non è la mia priorità". Tamburellai le dita contro la superficie del tavolo alternando lo sguardo tra lei e la videocamera, nel mentre tentavo di mantenere un sorriso cortese per non apparire troppo burbera. La mia risposta lasciò un po di stucco la giornalista e mi chiesi cosa avesse tanto di strano quella risposta. Del resto come avrei potuto vivere una storia d'amore con tranquillità? Un fidanzato in Italia ed io in Iraq a combattere i Jihadisti. Molto meglio starsene sole e non avere pensieri.
La domanda che seguì fu quella per la quale mi fu vietato di parlare, capii immediatamente.
"cosa ci fa il nono reggimento qui in iraq?".
Era una giornalista, ci stava provando ma sicuramente non avrei parlato di quello che ero li fare, per questo abbassai ancora lo sguardo ridacchiando.
"Dolo la morte di Saddam Husseim la situazione è diciamo più calma, ci sono però cellule terroristiche che in suo nome indicono attacchi e spesso contro poveri innocenti. Noi siamo qui per evitare questo".
Una mezza verità.
L'intervista andò avanti ancora un po; altre domande tra personali e del lavoro che facevo, alcune nemmeno non le ricordo più.
Quando finalmente terminammo

Redwind: La folgore scarlattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora