Le prime volte, faticavo perfino a guardare per bene all'interno del mirino, per carità. Non era la prima volta che sparavo con un fucile di precisione, come ti ho già raccontato in precedenza me lo fecero usare ma era tanto tempo che non ne imbracciavo uno e anche quando riuscii nell'intento di mettere a fuoco, le mie braccia tremavano rendendo impossibile un colpo pulito e preciso. Mi sentivo debole e chiunque incontravo puntualmente mi bombardava di domande; come stai? Tutto ok?
Non mi sentivo affatto bene, faticavo a mangiare e la maggior parte delle volte, quando mi sforzavo di mettere qualcosa sotto i denti vomitavo puntualmente. Persi due o tre chili nel giro di poche settimane e durante gli addestramenti restavo al passo con grosse difficoltà.
Sdraiata reggevo la parte alta del calcio appartenente ad un vecchio ma ben funzionante m40 bolt action.
Fissavo la sagoma di cartongesso a forma umana mentre tentavo di restare stabile per puntare il suo petto ma mi sembrava un impresa pressoché impossibile.
"fermati" esclamò in tono serio il Sergente Clovet, la chiamavo così, per rispetto nei frangenti in cui mi insegnava.
"Elisa che cazzo hai?" mi domandò mentre restava seduta su un grosso gabbione riempito di sabbia, la schiena ricurva in avanti e il braccio destro posato sul ginocchio dello stesso lato.
"mi dispiace Serg..." mi fermò alzando la voce.
"non devi chiedere scusa a me, sei pallida, deperita e tremi come una foglia, alzati in piedi" disse lei e così scattai ma nel sollevarmi così rapidamente ebbi uno svarione che mi fece vorticare la testa e muovere qualche passo confuso. Mi ripresi quando il sergente si era già mosso per tenermi su.
Mi toccò la fronte e aggrottò la sua assumendo un aria confusa.
"sei fredda, pensavo fosse febbre, comunque sia in questo stato non puoi continuare ad addestrarti sotto questo sole, vieni ti porto in infermeria" detto ciò mise il mio braccio sulle sue spalle, mi sorrise e insieme raggiungemmo l'infermeria.
Ero uno straccio, ridotta davvero male, sentivo il sudore gelido colarmi dal viso verso il collo facendomi avere dei brividi. Stesa sul lettino mi tolsero gli stivali e il medico iniziò tutti gli esami del caso.
Alyssa restò appoggiata con la spalla sullo stipite della porta, il pollice lievemente stretto tra i denti che veniva morsicchiato dolcemente mentre mi fissava.
"le restano pochi giorni di vita vero dottore?" Disse giocosamente.
Io ridacchiai e poggiandomi una mano sulla fronte risposi alla donna.
"con tutto il rispetto sergente, vaffanculo" la prese a ridere.
Spiegai poi al dottore che non riuscivo a mangiare e in quelle settimane ero scesa di un paio di chili, tanto peggio per me, perché vinsi istantaneamente una flebo di integratori. Entrambi mi fecero una testa così con prediche del tipo "devi mangiare" e altre stronzate ovvie. Un oretta dopo mi portarono un budino al caramello dalla mensa, uno di quelli nelle confezioni tutte bianche, il dottore mi ripeteva costantemente che la cosa importante era far riaprire lo stomaco e che per invogliarmi a mangiare del dolce era l'idea migliore.
In realtà fece ancor più danni, già inizialmente solo a sentirne l'odore mi diede un senso di nausea ma quello che fu peggio fu sentire la consistenza gelatinosa del budino, troppo simile a quella del cervello umano. Vomitai tutto ed è per questo che non mangio mai il budino.
Una parte di me si odiava, volevo mangiare ed essere in forze, anche perché a breve avremmo dovuto attuare il piano del mercato. Non potevo perdermi quell'operazione per niente al mondo ma il mio stomaco si era chiuso al punto che sembravo una di quelle ragazzine nel mondo della moda, non col corpo ma per il fatto che sembravo esser diventata anoressica.
Una mattina arrivò un uomo, questo aveva pelle olivastra e capelli riccioli brizzolati. Non era in divisa ma vestiva un completo grigio senza cravatta e sul suo naso tondo a patata aveva degli occhiali senza montatura attorno le lenti. Reggeva una cartelletta in mano e quando feci per sedermi lui sorrise in modo affabile indicandomi di stare stesa.
Odorava di cannella o qualcosa di simile e aveva un aria così tanto positiva che arrivai a chiedermi se avesse coscienza di dove si trovasse.
"buon giorno Caporale mazzoli, mi presento. Sono Simone Marino, Psicotraumatologo" Mi allungò la mano che strinsi solo per il suo modo gentile di presentari.
"no, uno strizza cervelli no" esalai voltando lo sguardo dal lato opposto per guardare il cielo oltre la finestra nella camera. Lui sorrise e dopo qualche attimo parlò ancora con tono allegro.
"non capirò mai perché voi soldati sprezzate così tanto il nostro lavoro" sbuffò un'altra risatina e a quel punto mi diede un po sui nervi.
"e cosa vuoi da me, signor..." mi ero già dimenticata il nome ed il cognome.
"Marino" infatti aggiunse lui "Aiutarti caporale, molti soldati restano vittime di quello che in gergo viene chiamato PTSD, acronimo inglese che sta per post traumatic stress disorder, o per meglio dire, stress post traumatico".
Resta ancora in silenzio ma lui a quel punto continuò a parlare.
"Le va di parlare con me Caporale? Solo due chiacchiere". Mi diede fastidio il fatto che volesse giocare con me usando la psicologia. Non risposi più anche quando lui provo a richiamare la mia attenzione un paio di volte, alla fine mi salutò e se ne andò. Scoppiai a piangere quando rimasi sola in camera, cercavo in tutti i modi di andare oltre ma ogni volta vedevo la sua testa aperta, quel maledetto occhio che penzolava verso il terreno, iniettato di sangue. Pregavo che andasse via ma più lo facevo e più quell'immagine mi restava dentro.
Nei giorni a seguire lo strizza cervelli tornò puntualmente, così come Alyssa o la mia squadra. Questi ultimi due mi portavano sempre qualcosa da mangiare ma nell'aria c'era già l'idea di congedarmi e mandarmi a casa. I miei mi prendevano per il culo, dicendomi che lo facevo apposta per scappare e andarmene. La verità era che mi sarei voluta alzare, prendere il mio fucile e seguirli.
Ma avevo già capito che sarebbero andati al mercato senza di me e la cosa mi metteva una rabbia incontrollabile. Odiavo me stessa per la situazione in cui mi trovavo e non volevo in nessun modo tornare a casa. Non in quel momento.
La mattina dell'operazione chiamata ironicamente "bianca neve" i ragazzi passarono da me in infermeria, già pronti per il blitz. C'era con loro anche Alyssa visto che avrebbero cooperato come sempre.
Mi spiegarono il piano, avrebbero circondato l'aria, chiuso le strade tramite i rinforzi dell'esercito quando i furgoni si sarebbero fatti vivi, avrebbero prima eventualmente bonificato l'aria cercando di catturare vivi gli autisti.
Volevo andare con loro ma in quello stato probabilmente non sarei riuscita nemmeno a reggere il fucile quindi mentre loro andavano a rischiare la loro vita io restai distesa sul letto.
Fu quello a salvarmi la vita, quel pensiero. Il senso di colpa nello stare sdraiata mentre i miei erano fuori a rendere un po migliore il mondo.
MI servirono della carne bianca, fu Marina stessa a portarmela. Anche lei di tanto in tanto era passata a farmi visita e avevamo iniziato a stringere un'amicizia. Del resto entrambe stavamo male e lo sapevamo a vicenda, per questo ci aiutavamo a vicenda. Ogni tanto lei prendeva a piangere, io avevo smesso, non capii bene il motivo, forse l'odio aveva preso il sopravvento e non mi permetteva di piangere ma mi faceva crescere una costante voglia di uccidere gli jihadisti.
"non è condita, così magari riesci a mangiarla" sussurrò lei poggiando il piatto sulle mie cosce, mi sedetti sul letto ma nonostante l'ora di pranzo, il mio stomaco non chiedeva cibo. Dovetti cacciarmi a forza un pezzetto.
Lo masticai, lo masticai diversi minuti finché non fu una poltiglia dentro la mia bocca che però ancora non riuscivo ad ingoiare, l'idea di faceva stare male. Stavo per sputare quando Marina mi diede un colpo davvero basso.
"fallo per Enrico, quando stavamo insieme lui non faceva che parlare di te: Elisa qui, Elisa lì, ero convinta che ti venisse dietro e che me lo avresti portato via, per questo ti odiavo e quel giorno, quando avete parlato della spiaggia, io ero sotto il letto, ho sentito tutto". Parlò velocemente ma capii ogni singola parola. "quindi ti prego, fallo per lui, mangia".
La guardai con odio ma allo stesso tempo trovai la forza di buttare giù il boccone, fu una sensazione orribile, non avevo mai faticato così tanto per mangiare eppure riusci a mangiare metà di quel pollo grigliato.
Niente di che a dire il vero ma dopo settimane passate con flebo e piccoli bocconi fu un traguardo, se avessi continuato in quel modo non mi avrebbero mandata a casa in anticipo rispetto il mio primo tour.
Usai il mio stato malconcio come scusa per chiamare Matteo, lui mi disse di aspettare perché si trovava in biblioteca. Si era fatto uomo ormai; il volto incorniciato da una barba scusa, degli occhiali da lettura sul naso e quei capelli corti con la riga laterale tutti in ordine lo facevano sembrare un secchione di prima categoria.
Gli dissi che se lo avevo disturbato negli studi avrei chiamato più tardi.
"se metti giù vengo in Iraq e ti spezzo le gambe" rispose lui. Vedeva la videocamera del suo telefono muoversi, lui guardava davanti a se, salutando qualcuno ogni tanto per poi uscire, si sedette in un tavolino di legno allo scoperto.
"come stai doc?" gli domandai sorridendo, lui a quel punto si accorse del mio aspetto e notai un velo ben evidente di preoccupazione.
"io bene, tu piuttosto, come te la passi? Non hai affatto una bella cera!".
Gli avrei servito una mezza verità, non avrei mai davvero raccontato a qualcuno certe storie, forse volevo dimenticarle anche io o più semplicemente ritenevo non fosse giusto raccontarle, come se chi le ascoltasse non era forte abbastanza da sopportare certi argomenti.
"no, sto soffrendo di anoressia, mi sto sforzando di mangiare ma oggi ci sono riuscita" spiegai.
Lui restò un po in silenzio, guardando verso il basso e poi posò nuovamente gli occhi sullo schermo, era triste per me e lo capivo anche se non voleva darlo a vedere.
"io capisco che non mangerai Chianina in Iraq ma fatti bastare quello che hai" esalò con finta aria intellettuale.
"sei il solito coglioncello" aggiunsi io, trovandoci quindi a ridere assieme.
"oh cosa buffa e rotonda, coglioncello lo dici alla tu sorella" controbatté lui.
Mi mancava sentir parlare toscano, tutta l'atmosfera che sentivo ormai persa essendo così lontana da casa, avrei pagato per trovarmi a parco delle cascine. Fosse stato anche semplicemente restare stesa sull'erba a guardare il cielo.
"certo certo, riferirò sicuramente" aggiunsi mentre lui prese in mano una grossa sigaretta elettronica nera e grigia. Lo guardai stranita con un'aria che chiedeva se fosse serio.
"cazzo, fai davvero? La sigaretta elettronica?!" mi finsi scioccata anche se in realtà non mi interessava, era solo un pretesto per rompergli le palle.
"vai vai sfotti! Quando torni te la faccio provare e poi mi dici" a quel punto sembrò ricordarsi di qualcosa.
"maremma che grullo, quando torni a casa?".
"tra quattro o cinque mesi" risposi rapidamente e lui ne sembrò parecchio felice.
"boia, allora si fa capodanno insieme! Ti va vero? Io tornerò lo stesso periodo, dovrò studiare un bel po ma sarà a Firenze anche prima di te". Matteo mi aveva appena dato una ragione in più per farmi forza e per affrontare ogni singolo giorno con più grinta. Finito il mio tour avrei festeggiato con quello che ritenevo il mio migliore amico. L'unico amico che avevo.
"eh.. non saprei, sai ho tanti spasimanti che mi chiederanno di uscire" fui sarcastica e lui facendo una faccia da scemo mi mostrò il dito medio.
"si Matteo, sarò felicissima di passare il capodanno con te" disse lui, usando una voce stridula, mi fece davvero ridere e poi lo indicai.
"preparati che ti piglio a calci!" esclamai. "comunque si, lo faremo e sarà divertente". Non mi resi conto che la mia frase potesse suonare ambigua, infatti lui assunse un espressione maliziosa, così capendo che gli frullava nella testa lo guardai male.
"non te la darei nemmeno fossi l'ultimo uomo sulla terra". Lui poggiò una mano sul petto, sembrava esser quasi una checca.
"stronza, il fatto che ho la ragazza non ti da il diritto di friendzonarmi così crudelmente".
Andò avanti per un po la conversazione, tutta in modo giocoso e allegro. Tanto che quando lui dovette chiudere per andare a seguire una lezione, il silenzio mi rattristò. Infranto solo da qualche colpo di tosse di altri presenti in infermeria o del lamento di uno che delirava per la febbre alta. Era davvero desolante e la cosa peggiore fu che chiusa in quelle quattro mura diventavo facile preda di ricordi e pensieri che volevo tenere lontano.
Mi resi davvero conto per la prima volta di aver ucciso due persone, nel senso che sfortunatamente riuscii a metabolizzare meglio la cosa, assimilarla e renderla più concreta. Non davo molta fede in dio ma se egli sarebbe esistito dunque io ero destinata ad una vita di dannazione ma ancor prima di quello. Erano persone! Sicuramente non brave persone ma sempre tali restavano, i pensieri continuavano ad cambiarsi tra loro. Prima i due uccisi da me, poi Enrico morto vicino a me e quella sensazione viscida quanto schifosa di un pezzo del suo cervello nella mia bocca. Avevo della musica nel telefono ma non delle cuffiette, sapevo che mi avrebbe aiutata a stare calma a non dover per forza ascoltare quel maledetto silenzio. Mossi le mani sui fianchi della mia testa e portandole alla nuca incrocia le dita.
"basta..." sussurrai ma come lo chiesi, ecco che altre immagini si sovrapposero; l'esplosione, i corpi mutilati, i bambini che piangevano, poi ancora l'esplosione, la testa di Enrico, lo sguardo del primo uomo che uccisi, i corpi mutilati... quei maledettissimi corpi mutilati sotto le macerie.
Stavo davvero diventando pazza? Come quelli che tornano dalla guerra e non sono più li stessi? Io sarei diventata una di loro?
Questo continuavo a domandarmi mentre tentai con tutte le forze di scappare da quella situazione ma solo verso sera riuscii a provare un senso di pace, nel momento in cui i ragazzi della mia squadra tornarono. Sembravano abbastanza soddisfatti, forse un po sporchi ma dal loro atteggiamento capii che le cose non erano andate poi così tanto male.
"Rossha ti sei persa una bella festa" fu il biondino di Glauco a parlarmi per prima con quei capelli mossi che facevano capolino dal suo basco amaranto.
"Fante Rizzoli, le formalità? È il modo di parlare al suo caporale quello?!" esclamò Il sergente Marti cogliendoci tutti impreparati ad una sia simile reazione.
Lui incredulo allargò le braccia e ci guardò sconvolto.
"no dai.. ci siete cascati davvero?" esalò per poi avvicinarsi a me, si sedette alla mia destra nel poco spazio che c'era tra il letto e la mia coscia, mi diede quindi un pugnetto sulla spalla e si tolse il basco dalla testa, mentre mi parlò iniziò a carezzarne il tessuto con entrambi i pollici.
" Ayoub non era nel magazzino da dove spedivano la droga, abbiamo abbattuto chiunque fosse ostile e gli americani hanno catturato tre di loro che si sono arresi, li stanno interrogando, per questo la tua amichetta del cuore non è qui" mi spiegò ridacchiando nel prendere in giro Alyssa.
"capisco, quindi sergente, la prossima mossa sarà aspettare che cantino e andare a prenderlo una volta per tutte, giusto?".
Lui si alzò e indicandomi fece muovere su e giù l'indice.
"questa è la mia ragazza, mi raccomando Mazzoli, alla prossima operazione voglio il mio caporale, quindi riprenditi è un ordine".
Era strano davvero Il sergente Marti, non facevo altro che pensare questo di lui ma ciò nonostante lo rispettavo come gusto che fosse.
A farmi visita il giorno dopo oltre Alyssa e Marina, tornò lo strizza cervelli, il signor Marino.
Fui più indulgente con lui e finalmente riuscii a parlare, nel momento esatto che decisi di farlo, le parole fuoriuscirono a fiumi.
Non mi fermai più e lui non faceva altro che prendere appunti in un grosso taccuino annuendo con la testa, se mi fermavo, convinta che volesse dire qualcosa, lui prima mi guardava coi suoi occhi scuri, poi mulinando l'indice e il medio che teneva stretti tra loro mi diceva di andare avanti, così io facevo.
Sputando fuori tutti quei pensieri che mi assillavano in continuazione, lamentandomi di quanto facesse male rivivere ogni istante tutti quei momenti.
"vuoi tornare a casa?" mi domandò lui, finalmente parlò. Il mio primo pensiero era si, volevo tornare a casa ma riflettendoci, avevo troppe cose lasciate a metà e non mi sarei mai perdonata se fossi scappata come un coniglio.
"io ho un lavoro da fare qui, voglio potermi riprendere e continuarlo". Mi sentivo molto sicura delle mie convinzioni ma l'uomo sembrava volermi remare contro.
"sai che dei componenti mentalmente instabili potrebbero causare problemi alla squadra vero? Io ammiro la tua tenacia ma questo tuo malessere ha dato parecchio nell'occhio e non posso firmare il permesso di farti continuare, se non siamo certi entrambi che è la scelta migliore".
Quelle parole mi fecero salire il sangue al cervello, stavo per sbottare ma presi fiato così da poter tergiversare un attimo. I miei occhi saettavano ovunque all'interno della stanza. Tornare a casa significava dover convivere con quei pensieri giorno e notte, sarei davvero uscita matta e in quel momento l'unico barlume di speranza che avevo per stare un po meglio era regolare combattere. Non chiedevo altro.
"ascolti, la prego, non mi faccia mandare a casa, mi dia un po di giorni, mangerò e tornerò in forze".
Non servì a molto quanto dissi.
"si ma.. elisa, posso chiamarti elisa vero?" io feci cenno di si con la testa e lui continuò "io non sono qui per valutare se sei idonea fisicamente o se mangi. Quello che faccio io è capire se mentalmente sei stabile" fece poi una pausa, stringendosi la base del naso e sospirando, dopo di che, quasi come uno scatto si piegò in avanti.
"chiudi gli occhi" mi disse lui e così lo feci.
Iniziai a guardare il buio nel quale si formarono diverse macchie che vagavano.
"ora?" domandai.
"ora pensa ad un luogo dove ti senti al sicuro, non barare, il primo pensiero e ciò che conta".
Dopo quelle parole immaginai la spiaggia rosa dove ero stata da bambina.
"c'è l'ho" lo avvertii quindi.
"perfetto, ora descrivimela, dimmi ogni minimo dettaglio che vedi". Non capivo dove volesse arrivare la cosa mi parve parecchio strana ma iniziai a descrivergli la spiaggia; rosa, con il mare poco mosso e la vegetazione che danzava dolcemente sferzata dal vento. Mi immaginavo anche delle persone sedute sugli asciugamani a mangiare e ridere.
"apri gli occhi e segui le mie dita Elisa".
Quando li aprii, il dottor Marino stava muovendo l'indice e il medio apparentemente a caso, formava dei cerchi o delle croci. Mi concentrai nel fissare attentamente quelle dita così rapide al punto che mi diede anche un po di nausea.
"ora chiudili e pensa ancora alla spiaggia".
Lo ascoltai e le persone stavano ancora mangiando, ridendo tra loro. Il mare era ancora poco mosso e gli alberi danzavano. Per questo la sua domanda mi lasciò stranita. "è cambiato qualcosa?".
"n-no non credo... cioè, no è tutto uguale!" affermai,
"sicura Elisa?"
"certo, sicurissima!"
"va bene, apri gli occhi allora". Lo feci e ancora stava muovendo le dita.
Ripetemmo lo stesso esercizio tre, forse quattro volte fin quando lui non si alzò e mi sorrise.
Io avevo ancor dei dubbi riguardo tutta quella cosa di immaginarmi la spiaggia ma lui li dissolse in pochi secondi.
"questo viene chiamato l'esercizio del posto sicuro, mi raccomando, no fare la cosa delle dita perché se non si sa come fare può causare più danni che altro, delle persone mi hanno chiamato piangendo o preda di forte stress nel cuore della notte dopo averci provato, comunque sia. Ogni volta che hai un brutto pensiero come quelli di cui mi parlavi prima, prendi un respiro e pensa al posto che hai immaginato qui con me".
Odiavo quelle cose psicologiche ma dovetti ammettere non fosse poi una brutta idea, feci quindi cenno di si con la testa e lui mi indicò. "non ti faccio andare a casa ma se nemmeno con questo esercizio riesci a calmarti allora non potrai più protestare, d'accordo?" dopo averlo detto mi porse la mano e io riluttante la strinsi.
"d'accordo" fu la mia breve quanto incerta risposta, guardando l'uomo lasciare accanto al mio armadietto delle pasticche giallognole.
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Redwind: La folgore scarlatta
Azione👉🏻 2° classificato al concorso "nuovi talenti 2019". "non puoi dire di essere vivo se non hai una ragione per la quale sei disposto a morire" Questo Elisa Mazzoli lo sa bene, lo sente nel suo cuore e se lo ripete continuamente, Questo la fa andar...