l'unica chance

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Non avevo il coraggio di andarmene ma il caldo mi stava soffocando lentamente, non riuscivo a respirare a pieni polmoni e comunque sentivo l'aria calda entrarmi in bocca seccandomela.
Mi sollevai lentamente, le gambe tremavano ma riuscii comunque a stare in piedi anche dopo un violento giramento di testa.
"dai... andiamo" dissi a Glauco avvicinandomi verso di lui, Alyssa fece cenno di no con la testa e mentre cercai di sollevare il mio compagno lui sbracciò per non farsi afferrare.
Come potevo lasciare lì uno della mia squadra? Una persona con cui avevo sofferto e combattuto, qualcuno che non potevo deludere assolutamente. Tutti nella nostra squadra erano morti, vedevo i loro volti.
Pensai alle ore passate ad addestrarci, i lanci col paracadute e tutte le prove che ognuno di noi aveva superato per poter entrare nei col moschin. Non fu facile per nessuno e forse per me lo fu maggiormente ma eravamo diventati una squadra. La sera quando non riuscivamo a camminare, quando le mani facevano così male da non riuscirle a chiuderle, lui come tutti gli altri erano lì ad aiutarmi come io aiutati tutti loro. Glauco era l'unica cosa rimasta del mi periodo d'addestramento. Ogni col moschin era una fratello ma loro... lui significava molto di più. Come potevo abbandonarlo al suo destino.
"tu vieni con me" ringhiai quasi e quando mi accorsi che stava aprendo bocca lo colpii con un destro, si lamentò per il dolore e pose le mani sul muso.
"coraggio, dimmi ancora che devo lasciarti qui!" lo sfidai. Alyssa fissava la scena con le mani sulla testa mentre io mi tolsi la parte sopra dell'uniforme, sentii del fresco sulle braccia per pochi secondi, queste erano fradice di sudore. Sotto indossavo la tipica maglietta verde, completamente bagnata. Restai così solo un piccolo lasso di tempo giusto per provare un po di sollievo ma poi indossai nuovamente l'uniforme. Puzzavo da fare schifo ma essere presentabile non era sicuramente la mia priorità. Mi inginocchiai difronte a lui e quando mise le braccia sulle mie spalle cercai di sollevarmi. Urlai disperatamente e poco alla volta mi sollevai, difronte a noi il terreno terminava in un dislivello quindi non avevo idea di come avrei potuto portarlo in basso ma mi sollevai. Pesava tantissimo ma lo caricai come uno zaino muovendo un passo ogni qualche secondo. Alyssa sbuffò e vedendomi determinata s'avvicinò, Glauco invece non parlava più ed era meglio così, tanto non lo avrei abbandonato.
" Tiralo giù, facciamo come prima" mi disse l'americana con voce dispiaciuta e così pian piano lo abbassai, sapevo che non sarei riuscita a fare tanti metri in quel modo e che la mia era una pessima idea.
Quindi tornammo esattamente come prima, in silenzio a trascinare glauco, mancava ancora molto al dislivello, questo era parecchio lontano infatti ma dentro di me si accese una fiocca luce di speranza, forse, nonostante il caldo opprimente non saremo morti, potevamo farcela, uscirne vivi tutti e tre. Sarebbe stata la miglior cosa che io avessi potuto fare da quando mi mandarono in missione. I passi si muovevano in quella che era diventata una sabbia color rosso mattone, Poco a poco prese quel particolare colore mentre nel scendere verso sud l'ambiente circostante cambiava progressivamente. Oltre che solo sassi iniziavano ad affiorare alcuni piccoli arbusti, sembrava infatti di essere più in una savana che in un deserto roccioso. Avevamo camminato quasi tutto il giorno meno per le pause necessarie per non stramazzare al suolo ma lenti come eravamo non avevamo fatto poi molta strada, fu parecchio difficile dover scendere il dislivello e in più di un occasione rischiammo di ruzzolare giù ma andò tutto bene, la faticosa e silenziosa camminata andò avanti con energie prese da chi sa dove.
Il terreno discese una seconda volta ma in quell'occasione potevamo aggirare l'ostacolo da entrambi i lati, optando per un terreno più regolare, andammo verso destra e ci trovammo a circa duecento metri da una strada. La notammo così tanto per caso che sembrava essere comparsa apposta. Un percorso di terra battuto molto più chiaro, aveva una sfumature più scura nel centro. Segno evidente del passaggio di veicoli. La gioia fu molta, trovare segni di civiltà era un gran traguardo. Il peggio non era passato di certo ma quanto meno seguendo verso sud quella strada avremmo sicuramente raggiunto El Beru Hagia. Il terreno stava ancora cambiando gradualmente colore tornando ad una tonalità più pallida mentre i piccoli arbusti erano diventati veri e propri alberelli che via via si facevano sempre più frequenti e in fine ai nostri occhi fu visibile qualcosa che non speravamo di vedere ancora per molto. Non sapevo se ridere, urlare o piangere alla vista di quella casa di legno e lamiere dal tetto azzurro, fu quello il momento più difficile, il fatidico ultimo sforzo visto che quella casa restava comunque lontanissima nonostante continuavamo a muoverci. Eravamo scappati dalle grinfie del deserto e una volta raggiunta quell'abitazione ci gettammo ai suoi piedi nella parte in cui faceva ombra.
Non sapevamo di chi fosse, probabilmente di un semplice contadino di cui però non conoscevamo l'indole. Nei primi momenti non mi importò nemmeno. Restai ad occhi chiusi cercando di riprendere respiro mentre sentivo la pelle del viso e del collo bruciare.
Il sole si accingeva lentamente a tramontare, dando al paesaggio un aspetto molto più, romantico, se così lo si vuole definire. Potevo perdermici in tutta la sua vastità ora che costituiva un pericolo minore.
Tolsi l'uniforme e poi la maglietta restando coperta dal solo reggiseno sportivo, questo era in tessuto morbido nero e traslucido. Sollevata la testa poggiai la nuca contro il legno della casa mentre iniziai a ridere come una deficiente, iniziò come un ghigno che diventò una risata incontrollata e contagiosa.
"e tu che volevi andassimo via" ansimai dando una spinta alla spalla di Glauco.
"sei... sei un incosciente" replicò lui andando a bere un po della sua acqua, non fu un solo goccio ma buttò giù un gran sorso d'acqua. La fame intanto bruciava il mio stomaco mentre la testa sembrava voler esplodere.
"ho una fame" annunciai in un piccolo sorrisetto sofferente.
"dovremmo vedere se c'è qualcuno in casa!" fece poi Alyssa sollevandosi contro la parete, lasciò il fucile di precisione poggiato al suo posto e s'avviò verso la porta della casa. Diede una pacca a Glauco che mi restava con lo sguardo addosso mentre andai dietro Alyssa, io però armata di Ak47 che tenevo saldo dal sotto canna e l'impugnatura. La canna a sinistra, verso il basso e il calcio, ovviamente, dal lato opposto.
La porta era di un legno fatiscente, tinta d'azzurro e dalle assi asimmetriche. Si poteva intravedere l'interno anche se questo era completamente buio.
Alyssa bussò ma al primo colpo della nocca la porta si aprì di poco, così dopo esserci guardate entrammo.
L'interno era fatiscente, un unico locale nel sulla destra un divano grigio e sporco aveva dei grossi squarci da cui usciva della spugna scura. Dalla parte opposta un tavolino per appena due persone, una ciotola era poggiata su di esso e vicina, una sedia era angolata verso l'interno della stanza.
Difronte alla porta poi, steso su un materasso adagiato in terra, un uomo giaceva tranquillamente sul fianco sinistro, rivolto con la faccia contro un muro di lamiera.
Alyssa lo chiamò mentre ci avvicinammo lentamente, passo dopo passo cercammo di fare rumore in modo da farlo svegliare ma lui sembrava proprio non sentire e quando fummo abbastanza vicini capimmo anche perché. L'uomo che vestiva di bianco era zuppo di sangue, questo era uscito dalla sua gola e aveva macchiato anche il materasso.
Qualcuno aveva sgozzato quel pover'uomo ma chi avrebbe potuto farlo e soprattutto perché uccidere un pover'uomo come quello ci era proprio estraneo. Sentimmo il suono di copertoni stridere sul terreno, un movimento che si faceva sempre più forte e vicino. Il mio primo istinto fu quello di rimuovere la sicura al kalashnikov che portai sulla mia spalla mentre Alyssa si mise dietro di me.
"Bakali!" disse una voce all'esterno. Ci fu una pausa e ripetette quella parola quando ormai, chiunque sia, raggiunse la porta che poi aprì.
"Baka...". Entrò un uomo piuttosto grosso, folti capelli riccioli e barba incolta ad incorniciare il suo viso. Indossava una camicia di tessuto verde scuro tenuta a parte e sotto di essa, una maglietta giallo mimosa. Questa era rotta all'altezza del colletto e decisamente molto sporca.
Completavano il suo vestiario dei jeans neri e scarponi marroni, portava anche lui un Ak47 che teneva tramite una bretella sulla spalla.
Quella che si creò fu una delle situazioni più spiacevoli, anche il più esperto combattente avrebbe voluto evitare uno stallo simile.
"getta l'arma" urlai in inglese ma lui avanzava passo per passo. Dovevo fargli capire che non scherzavo nonostante non avevo energie per affrontare un conflitto.
Mossi un passo avanti anche io agitando di poco il mio fucile che puntai dritto alla sua faccia.
"gettala ho detto". Mi guardai attorno cercando di capire come uscire da quella situazione, fuori c'era Glauco ma non poteva sicuramente darci una mano mentre io nel serbatoio avevo poco meno di otto colpi, niente con un arma dall'alto rateo di fuoco come quella che imbracciavo. Convinta che non mi potesse capire gli facevo cenno con un movimento della testa per rafforzare la mia volontà. Doveva assolutamente abbassare quel dannato fucile. Quando lo fece sentii tutta la tensione scendere come acqua lungo tutto il mio corpo ma poi scattò in avanti superandoci alla sinistra, mi spostò violentemente con un suo braccio destro. Questo era pieno di tatuaggi fino la mano.
"Bakali!" esclamò ancora buttandosi in ginocchio per afferrare l'uomo. Quest'ultimo era sulla sessantina, una grossa barba nera e senza un capello in testa.
L'energumeno scattò verso di me, stava per puntarmi il fucile ma Alyssa lo calciò appena in tempo visto che la lamiera della casa venne forata da tre colpi, lasciando dei buchi dai quali un fiocca luce penetrava nella stanza. L'uomo stava per alzarsi ma il sergente gli diede un colpo in faccia, non era forte, del resto avevamo i postumi di quella disavventura quasi mortale. Infatti l'omone s'alzò anche se disarmato, voleva farle del male ma urlando attirai la sua attenzione. Gli avrei sparato se si fosse mosso di un altro passo.
"che cazzo sta succedendo?!" Arrivò Glauco dietro di me, si era trascinato alla porta attratto dai colpi. Non mi girai per guardarlo ma lo sentii trascinarsi al mio fianco.
"parli Inglese? Italiano?" essendo la Somalia una ex colonia italiana la mia lingua era infatti conosciuta da qualche locale.
"Inglese, pochino" replicò lui sollevando le braccia. "perchè voi ucciso Bakali?! Voi Lavorare per Lisimba?".
Feci una faccia stranita e scossi la testa, per chi ci stava scambiando?
"noi non abbiamo ucciso Bak...ba... Non abbiamo ucciso il tuo amico, Non sappiamo nemmeno chi sia questo Lisimba". Non mi credette perché dopo le mie parole si innervosì ancor di più.
"Tu mente donna, Voi lavora Per Lisimba!" la sua voce riecheggiò grave nella casa, grossa come il proprietario.
"guarda, sono italiana..."risposti piegando la spalla in modo che potesse vedere la bandiera tricolore sulla spalla, subito dopo indicai il Sergente Clovet. "...lei invece è Americana, abbiamo camminato nel deserto fin qui, non sappiamo niente di questo Lisimba e soprattutto non abbiamo ucciso nessuno". Anche io alzai la voce. Forse nel vedere le bandiere mi credette e abbassò la testa, coprendo la fronte col palmo della sua mano.
"lascia che io prende Bakali" esalò rassegnato, gli feci un cenno positivo e mi misi da parte, al fianco di Alyssa che era rimasta in attesa per tutto il tempo, pronta a difendermi.
L'uomo afferrò il corpo dell'anziano e lentamente s'avviò all'uscita, lo seguimmo e fuori notai il Pick up.
Ammetto che in quel momento mi stava venendo voglia di ucciderlo alle spalle per rubargli il mezzo.
Si trattava di semplice sopravvivenza ma non sarei davvero scesa così in basso.
"El beru Hagia, come la raggiungiamo?" Domandai mentre lui caricava il corpo nel porta bagagli, non rispose subito e mi fisso con un sorrisetto divertito.
"Semplice, Non potete! Lisimba ha El beru Hagia, Lui decide chi entra e chi esce, ha cacciato tutti e pretende soldi da noi" Mi spiegò muovendosi verso la portiera, io mi affrettai ad avvicinarmi e poggiate le mani sulla portiera mi affacciai all'interno. Il pick up era decapottabile con la lamiera quasi del tutto arrugginita.
"se noi non ha soldi allora cibo o animali... se noi non ha nemmeno questo fine che fanno innocenti è quella"Aggiunse indicando indietro con un gesto piuttosto nervoso.
"Gente aveva tutto a El Beru Hagia; elettricità, un pozzo dell'acqua e case dignitose, ora tutti obbligati a pagare Lisimba per acqua o qualsiasi cosa lui ha preso con forza" Le sue parole portavano con se odio profondo e frustrazione. Stava per partire ma gli feci cenno d'aspettare con le braccia.
"noi dobbiamo chiamare a casa, ci serve un telefono, Lisimba li ha immagino" dissi.
"tu non mi ha sentito donna, lui ha tutto, tiene per se e per uomini fidati, se vede donna bianca avvicinarsi le sparerà ancor prima che lei si può avvicinare, nemmeno potrai chiedere telefono".
A quel punto sorridi e agitai l'arma che avevo in mano.
"io non ho detto che lo avrei chiesto, riconosco un combattente, tu sei uno di loro e vuoi ridare El beru Hagia alla gente, io invece ho bisogno di un telefono, possiamo unire le forze".
Era scettico, lo notavo dalle sue espressioni ma quella, evidentemente, era l'unica soluzione per poter comunicare a casa che stavamo bene e per dirgli dove venire a prenderci.
"due donne e uno che non cammina, voi non può aiutare! Ogni attacco a El Beru Hagia, noi non può riprenderla, ogni volta amici muoiono per cercare"

Non potevo semplicemente farlo andare via, quella era veramente la nostra unica possibilità per andarcene da quel posto e non volevo arrendermi.

"siamo soldati esperti, facciamo questo da sempre e siamo abituati ad entrare in un posto per liberarlo da gente come Lisimba, se hai qualcuno che combatte con te, dacci una possibilità!" speravo di convincerlo ma lui nemmeno rispose, accese il quadro e poi mi gurdò.

"voi potere usare casa di Bakali, a lui non servire più, domani torna qui così noi parlare meglio, c'è botola sotto materasso, guarda sotto" disse solo questo prima di andarsene via lasciando un polverone dietro di se.

Redwind: La folgore scarlattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora