quel sorriso che comunque non si spegne

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Ciò che fu davvero orribile oltre al dover lavorare in quel posto era la costante sensazione di essere osservati, fosse stato solo per la telecamera avrei potuto resistere. Il vero problema era quel viscido sergente che sorpresi due o più volte mentre mi fissava il sedere. La cosa assurda era che quando lo beccavo lui non cercava di nascondere la cosa, anzi alle volte mi fece anche un occhiolino, convinto probabilmente che non gli avrei detto niente in quanto mio superiore. Si chiamava Franco Ribaldi. Certi uomini mi mettevano ribrezzo.
Restai concentrata nel assicurarmi che la fila procedesse scorrevole, di tanto in tanto qualcuno provava a fare il furbo così dovevamo intimarlo di tornare al suo posto. Un uomo riuscì a raggiungere la prima fila con la forza e alcuni uomini dovettero obbligatoriamente afferrarlo e tirarlo indietro. Quell'evento fu ripreso dalla videocamera dei due giornalisti che mi restavano attorno come le api fanno coi fiori.
A circondare la piazza vi erano diversi palazzi, tutti fatiscenti e in teoria bonificati da qualsiasi pericolo, quella zona infatti aveva un basso tasso di attacchi da parte dei jihadisti che si concentravano maggiormente all'interno di bagdad. Guardarsi attorno però non faceva mai male e soprattutto distoglieva la mia attenzione anche se per poco da quella calca di umani. Facendo quel lavoro sembrava quasi dovessimo controllare del bestiame.
Tutta quella calca di persone che emettevano schiamazzi e percorrevano lentamente, non sembravano nemmeno più persone ma animali da gestire. Non fraintendermi, non in modo irrispettoso. Ero davvero dispiaciuta della loro situazione ma fu quello il pensiero che balenò nella mia testa. Alcune volte i miei occhi si incrociavano con alcuni dei residenti. Il loro volto era spento, tutti con la stessa espressione di chi ormai non spera più in niente e che vuole soltanto sopravvivere. Era successo che alcuni dei residenti si inginocchiarono, implorando che i soldati portassero via i loro figli. Speravano di farli vivere in un posto più fortunato di quello. Inutile dire che non era permesso accettare e anche potendo, personalmente io non lo avrei fatto a quei tempi. Non potevo badare ad un bambino. Non con la vita che avevo intrapreso. Probabilmente non avrei mai avuto dei figli anche se mia madre mi ripetette molteplici volte di voler diventare nonna.
"qui il sergente Marti, Caporale mazzoli mi ricevi? passo" sentii in cuffia. Fu bello udire la sua voce, un po meno quello che mi avrebbe detto da li a poco.
"Forte e chiaro Sergente, avanti".
"mi è stato detto di avvisarti che non farete rientro alla base questa notte, resterete con la fanteria di bari, passo".
Restai in silenzio, probabilmente atterrita, guardando quella calca muoversi come un unico e lento corpo. Rivolsi poi lo sguardo al sergente Ribaldi che mi sorrise mostrando i suoi denti ingialliti dal fumo e il caffè, abbassai schifata lo sguardo convinta che se avesse provato anche solo a sfiorarmi gli avrei rotto un polso.
"sergente Marti, non è mia intenzione discutere un suo ordine, sa che le porto rispetto ma, se posso, come mai? passo" Anche la risposta tardò ad arrivare tanto che stavo per richiamare la sua attenzione, forse non mi aveva ricevuto.
"ordini dall'alto Mazzoli, dovete restare li almeno fino domani, mi spiace... ah ti saluta Alyssa".
Avevo l'amaro in bocca, una sensazione disgustosa che non si sarebbe fin quando non me sarei andata da quel posto.
Il caldo iniziò anche a farmi girare la testa mentre sentivo i piedi chiedere un po di pausa. Ero ferma in piedi da almeno quattro o cinque ore e la calca di persona stava iniziando a farsi meno.
Avrei voluto togliermi la parte alta dell'uniforme ma se lo avessi fatto sicuramente avrei attirato su di me maggiori attenzioni. Di questo mi importò giusto qualche altro minuto perché poi imprecando la rimossi esattamente come tutti gli altri. Restando con la maglietta verde militare e sopra il giubbotto tattico antiproiettile, quello non lo avrei mai tolto, come il caschetto e gli occhiali protettivi. Sentivo l'aria calda riempirmi le narici e la gola ad ogni lento respiro, il sudore scivolare rapido dalle mie tempie verso le guance ed il mento, gocciole che cadevano in terra. La mia maglietta era poi nello stesso stato di quella del Sergente Ribaldi quando lo incontrai la prima volta. Potevo sentire la mia stessa puzza di sudore e pregai di non dover fronteggiare dei possibili tango. Sarei stata sicuramente pronta a fronteggiarli ma quel caldo era sicuramente debilitante.
Non accadde niente se non qualche altro furbetto che provò a sorpassare la fila, dovetti bere difronte a quei poveri uomini,avevo una borraccia e anche se mi dispiaceva farlo sentivo che se non lo avessi fatto sarei crollata per terra.
Finalmente le ultime persone andarono via e i militari potettero chiudere i bocchettoni dopo essersi rifocillati, approfittai per accasciarmi contro la ruota dell'autobotte nella parte ombrata. Raggruppandomi con gli altri due della mia squadra.
"è stata la giornata più pesante della mia vita..." si lamentò Teresa, in quel momento stavamo già aprendo le nostre razioni da capo per mangiare visto che tutti attorno stavano facendo la stessa cosa.
"di certo l'iraq non è l'ufficio di mediaset" la presi in giro ma lei non sorrise, continuò a parlare.
"come fate a fare questo ogni giorno? Cosa vi porta a volerlo fare? Perchè lo fate?".
Prima che potessi rispondere Leonardo che stava masticando sollevò la mano destra.
"caporale, posso parlare io?" domandò mentre muoveva la bocca anche per mangiare.
Gli diedi il permesso con un cenno della mano e intanto bevvi un grosso sorso d'acqua, ascoltando incuriosita che cosa stava per rispondere.
"vede qualcuno potrebbe farle la stessa domanda, chi le fa fare di venire in un paese come questo per un serizio giornalistico?" Esclamò inizialmente.
"quello che noi tutti qui facciamo non è altro che il frutto dei nostri ideali, nessuno ci ha obbligati eppure siamo qui, diamo anima e corpo per aiutare gli altri. Sono convinto profondamente che chiunque abbia mai indossato un uniforme militare lo ha fatto per dare qualcosa al proprio paese, per essere utili in una causa che preveda la protezione non solo delle persone care ma di quelle che nemmeno non conosce. Ecco perché mentre molti stanno a casa, al sicuro nelle loro quattro mura, noi siamo qui, io sono pronto a prendermi una pallottola per quello che credo, perché finché combattiamo gentaglia come gli jihadisti facciamo in modo che le altre persone, anche quelle a noi sconosciute, possano restare ancora al sicuro tra le loro quattro mura"
Fu praticamente un monologo che ascoltai con sincera attenzione, approvando quanto detto da Leonardo, infatti annuii compiaciuta. Stavo finendo gli ultimi bocconi quando Giunse da noi il Sergente Ribaldi accompagnato da due soldati semplici. Feci segno ai miei di alzarsi e scattarono rapidi in piedi.
"Caporale Mazzoli, le lascio con me due miei uomini, voglio che facciate ronda lungo tutto il perimetro messo in sicurezza, fate attenzione che tutti sia in ordine e se avete problemi, collegatevi al canale 4, saremo tutti lì quindi potremmo ascoltarci tra di noi" spiegò l'uomo così dopo aver fatto il saluto presi con me i due uomini. SI chiamavano Riva e Torino. Con noi, ovviamente sarebbero venuti quelli del telegiornale e così dopo esserci preparati, iniziammo a camminare lungo le via della strada. I miei piedi chiedevano pietà e ad ogni passo la sensazione di mille aghi li investiva. Probabilmente mi si erano formate delle piaghe, forse delle bolle o qualcosa di simile. Non potevo farci niente, non in quel momento. Stringendo i denti restavo a capo di quella ronda. Percorremmo una lunga strada circondata da diverse abitazioni per poi raggiungere un incrocio.
"se svoltiamo a destra raggiungiamo il confine della zona sicura, da li poi potremmo fare il giro" mi avvertì Riva indicandomi il punto con la mano per rafforzare quanto da lui detto, lo guardai e poi rivolsi i miei occhi verso quel vicolo.
"ci sono protezioni dall'esterno?" lui sembrò indugiare e il suo viso assunse come un'aria dispiaciuta. Avevo già capito la risposta ancor prima che questa arrivasse.
"in verità no, ma la strada e dritta e c'è solo deserto per diversi chilometri, lo facciamo sempre e non è mai successo niente".
Guardai il ragazzo e continuai verso la direzione da lui suggerita. Come accennato, oltre i confini del paese non vi era altro che una landa arida il cui orizzonte balenava per via del caldo.
"sembra il modo perfetto per farsi ammazzare" mi lamentai continuando a camminare, cercavo di pensare a qualsiasi cosa per non sentire il male atroce nei piedi ma allo stesso tempo dovevo concentrarmi su quello che mi capitava attorno. Mi chiedevo perché anche nei film non facessero cose così, quale eroe di guerra all'interno di un film d'Hollywood, marciava in silenzio con le bolle sotto i piedi? Eravamo stati mandati in un posto per essere usati come schiavi e quello che più mi faceva arrabbiare era il fatto che nessuno mi disse perché mai dovevo stare così lontana dalla base, a fare mansioni che non mi dovevano. Quel pensiero resto all'interno della mia mente per tutto il tempo, spariva per poi tornare, giusto in tempo di ricordarmi quanto dovessi maledire quella giornalista e i miei superiori.
L'unica nota positiva fu che girando per le strade, immergendomi tra le persone queste sembravano accettare di buon grado la nostra presenza.
Dei bambini corsero attorno a noi ridacchiando, un bambino mi parlò anche se io non potevo capire quello che diceva, gli carezzai dolcemente la nuca mentre s'avvicinò anche una bambina. Questa aveva già il velo nonostante fosse poco più che una bambina. Da lontano notai quelli che probabilmente erano i suoi genitori.
Mi sarebbe potuto comunicare con loro, anche potergli regalare qualcosa ma non avevo dietro niente con me. Loro mi parlavano e il bambino sembrava un po troppo interessato al mio fucile, così dovetti rimproverarlo quando tento di afferrarlo con le manine. Cercai di farglielo capire sollevando l'indice davanti la sua faccia per poi sorridere e tornare a dargli una carezza sulla testa. Solo a quel punto mi resi conto che tutta la scena fu ripresa dalla videocamera.
"è veramente un momento toccante..." Esalò Teresa e incrociando lo sguardo le sorrisi appena.
"Caporale le consiglio di continuare il nostro giro". Ancora Riva che sembrava quasi essere diventato la mia guida. Dovetti Salutare quei bambini che mi trasmisero molta tenerezza, più di una volta mi girai a guardarli. Non avevano niente, i loro vestiti erano sporchi e sul loro corpo i segni di mal nutrizione si mostravano lampanti.
Eppure, ogni volta che mi giravo per riguardarli erano lì, fermi a fissarmi con dei bellissimi sorrisi. Le loro manine si sollevavano in un saluto. MI piace pensare che quel piccolo gesto, quella carezza data, gli aveva in qualche modo donato un po di gioia. Perchè in tutto l'inferno che gli uomini lasciano cadere su una nazione, quelli che più ne soffrivano erano proprio loro. I bambini. Cresciuti nella paura che l'indomani qualcuno avrebbe potuto ammazzarli in un'attentato. Ci sono video di bambini fucilati o decapitati con l'accusa di essere figli di alcuni componenti nemici degli jihadisti. Video così profondamente sbagliati in grado di far provare disgusto per il genere umano. Erano quelli i momenti, guardando certe immagini, che capivi quanto la guerra può disumanizzare le persone. Renderle delle bestie prive di alcuno scrupolo.
"so che mi ha detto di aspetttare ma, può dirmi a cosa sta pensando Caporale? La vedo piuttosto turbata." Ancora una volta a rompere il silenzio fu Teresa, effettivamente, voi due sareste andati d'accordo.
"beh, che domande, pensavo a quei bambini che non avranno mai una vita normale; non andranno a scuola e quasi sicuramente non avranno un futuro, è davvero triste" risposi continuando a camminare. Circondata da tutte quelle persone, molte di queste ci volevano offrire delle Zelebbia, un dolce tipico dell'iraq. Sembravano essere delle frittelle glassate o qualcosa di simile. Ero anche tentata di prenderne una ma dovetti desistere alla tentazione.
Non accadde niente quel giorno, una noia che rischiava di uccidermi e quando il sole tramontò ci fu indicato di tornare al forte per riposare visto che il giorno dopo avremmo dovuto scortare l'autobotte, significava svegliarsi il mattino presto e affrontare due ore di viaggio si all'andata che al ritorno.
Al forte potetti finalmente togliere gli scarponi, nel piegare le dita dei piedi queste scricchiolarono rumorosamente.
Ero abituata ad essere l'unica donna in una squadra, alla base passavo inosservata essendo una delle tante.
Ma lì ero davvero l'unica donna presente in mezzo ad un manipolo di uomini che probabilmente non vedevano una donna da diversi mesi. Se all'inizio della giornata aveva gli occhi addosso, non era nulla confronto a quella stessa sera.
Come promesso risposi alle varie domanda che Teresa aveva da farmi mostrandomi poi una foto che mi rappresentava mentre carezzavo il bambino incontrato nel pomeriggio. Dopo aver chiesto il permesso afferrai la videocamera, guardando la foto tratta probabilmente da un frame del video.
"mi piacerebbe averla poi" sussurrai porgendo la videocamera al legittimo proprietario.
Il medico del posto aveva fasciato i miei piedi dopo avermeli lavati, lo fece esattamente durante la mia intervista, infatti delle volte mi soffermavo per via del male che i disinfettanti mi procuravano.
Dopo aver cenato chiamai mia madre e ci parlai una o due ore abbondanti.
Come sempre mi domandò quando sarei tornata e come sempre io rispondevo "presto mamma".
Le raccontai di quei bambini e la mia storia la commosse, gli raccontai anche che stavo aiutando dei soldati a distribuire l'acqua ai bisognosi e lei, per una volta, sembrò orgogliosa di me e delle mie scelte. Fu quella, dopo tanta fatica, la gioia più grande che ricevetti. Mia madre che finalmente si mostrava fiera di quello che sono e non solo spaventata di quello che poteva essere il mio destino.
Se solo avesse saputo di quante volte avevo rischiato la vita e di cosa in Iraq avevo visto.  

Durante la chiamata mi ripetette più volte di aspettare, ogni volta mi domandavo come mai ma non ci diedi troppo peso. Quando ritornava a poter parlare lo diceva ridacchiando e se le chiedevo cosa fosse successo lei mi rispondeva che era tutto ok, di non preoccuparmi.
Esattamente come ogni volta, dovetti quasi chiuderle il telefono in faccia per staccare la chiamata visto che lei non ne voleva sapere di farlo. Ma del resto non potevo stare al cellulare tutta la sera.
Dopo essermi fatta una rapida doccia andai con i miei due ragazzi, Teresa e il cameraman in una stanza che dedicarono a noi. Misi il cellulare a caricare e quando mi stesi. Semplicemente ogni mia forza mi abbandonò e crolla in un sonno profondo.



Redwind: La folgore scarlattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora