vai avanti o crolli

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I ragazzi festeggiavano cercando comunque di non urlare per rispetto degli altri mentre io guardandoli sorridevo soltanto mentre mi infilai sotto le coperte.
Avevo voglia di parlare con mia madre o con Matteo, però dovevo riposare il sonno mi attanagliava e i muscoli erano diventati così rigidi da farmi male ovunque.
"mi avete reso fiero di voi ragazzi buona not...".
Il sergente Marti si bloccò, o meglio venne bloccato da un terribile boato così tanto potente che sentii chiaramente il letto traballare, un terremoto violentissimo che mi fece saltare il cuore in gola, mi buttai giù atterrando a piedi scalzi sul pavimento e corsi verso la finestra visto che lui rimase impietrito, non fui l'unica a raggiungerlo e guardando fuori dalla finestra restai anche io bloccata come lui.
Nel cuore della notte un muro di fuoco si era sollevato direttamente dall'inferno, si ergeva verso il cielo tra i palazzi ed il fuoco si arricciava su se stesso. Fummo colpiti da un onda d'urto che fece sbattere violentemente le persiane contro i muri.
Un grosso aeroplano sorvolò vicino la nostra base che intanto si accese impostando lo stato d'allerta.
Il rosso e il giallo continuavano ad avvilupparsi in alto per poi abbassarsi poco a poco lasciando soltanto del fumo che si confondeva con le prime luci del mattino, un sole pallido iniziava a mostrarsi al di là di una grossa collina.
Quel sole avrebbe visto una Bagdad ancor più devastata e sicuramente noi avremmo avuto da lavorare parecchio.
"che cazzo sarà successo?" Domandò Leonardo carezzandosi il grosso pizzetto. Tutta la squadra fu presto raggruppata alla finestra imbambolati dal macabro spettacolo di quella violenta e gigante esplosione di cui se ne vedevano ancora le luci di un violento incendio che non sarebbe stato domato tanto in fretta.
Ci vennero ad informare successivamente di stare tranquilli e tornare a letto, l'esercito degli stati uniti aveva bombardato in un punto dove alcuni Miliziani stanziavano.
Anche se parecchio scossi, per quelle poche ore che ci fu concesso riuscimmo a dormire, io crollai come un sasso e quando suonò la sveglia dovetti alzarmi a fatica.
Non aveva dormito praticamente niente e il corpo ancora mi faceva male da impazzire ma dovevo comunque alzarmi e comportarmi esattamente come se non fosse niente.
Raggiunta la mensa avevamo già ricevuto l'ordine di raggiungere insieme ad alcuni soldati, il punto dell'esplosione per contenere il perimetro e aiutare i superstiti. C'era un televisore appeso in alto, nell'angolino della mensa, questo puntualmente restava sui notiziari ma della bomba che esplose quella notte dissero poco e niente, non dissero nemmeno che gli stati uniti erano implicati, facendola passare come una blanda tonizia.
"in Iraq, scena di guerra è esplosa un'altra bomba, sai che novità" diceva questo la notizia, praticamente. Certo ovviamente non letteralmente ma... insomma hai capito.
Portammo dietro delle razioni da campo, questo mi fece capire che non saremmo tornati alla base per molto tempo e nonostante fosse una cosa dannatamente sbagliata, all'interno del Lince mi addormentai, inizialmente Marti mi diede una pacca sulla coscia, io lo guardai negli occhi e lui con un sorriso mi fece un cenno, dandomi come il permesso di dormire in quel tratto.
Nonostante la strada irregolare, il suono del motore e le voci che creavano brusio attorno a me, crollai.
Quando arrivammo mi sentii in colpo ma quell'oretta passata a dormire mi aiutò parecchio.
Arrivati al punto dell'esplosione uscimmo coprendoci le spalle a vicenda. Quando tutti affermammo che fosse libero guardammo la situazione in cui ci trovavamo. Restai praticamente bloccata, atterrita.
Una donna urlava disperata, trattenuta da due soldati cercava di colpirli per andare oltre il confine che avevano delineato. Non capivo la loro lingua ma come lei, tanti altri facevano ugualmente. Notai alcuni bambini seduti in fila contro un muro, così tanto sporchi di polvere che la loro pelle era grigia, come fossero tante piccole statue. Molti di loro piangevano e le lacrime disegnavano sui loro faccini delle righe ben visibili visto che queste pulivano la polvere sulle loro facce. Altri restavano in silenzio e molti di loro erano feriti. Poco più distante c'è ne erano altri, morti. Tanti piccoli corpi uno accanto all'altro, ad alcuni mancano degli arti, altri corpo erano completamente inceneriti, altri invece così tanto ricoperti di polvere che si confondevano col terreno.
Non erano gli unici, infatti tanti altri corpi erano stati accatastati, divisi tra donne uomini e bambini.
Quella divisione serviva poi per il riconoscimento da parte di parenti. Non mi resi conto che restai pietrificata visto che Marti tornò indietro a farmi cenno di camminare.
"cristo santo Mazzoli, tu sei il caporale, non puoi permetterti di fare così, non credere che questa situazione sia facile per me ma ho bisogno che tu mi dia una mano adesso".
Lo guardai e gli feci cenno di si per poi avanzare. Il sito dell'esplosione era ridotto davvero malissimo e alcune lingue di fuoco ancora non erano morte. Dovetti mettere la mia kefiah verdone sopra il naso perché la polvere rendeva l'aria irrespirabile.
Iniziai così a fare il lavoro più brutto che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico; tra le macerie iniziammo con la squadra, affiancati da altri dell'esercito a cercare ed estrarre cadaveri. Era un continuo trovare corpi su corpi o parti di essi. Restavo affianco a Leonardo con cui insieme predavamo i cadaveri e li portavamo in base al loro sesso o se erano bambini.
"penso di poter vomitare". Mi disse lui con voce disgustata, restai un po in silenzio, giusto il tempo di posare il pover'uomo che stavamo portando via.
"siamo in due, oltretutto guardati attorno! Tutti italiani, voglio dire, mi dispiace per queste persone ma non c'è un singolo soldato americano a darci una mano e questa stronzata l'hanno fatta loro!" sbottai andando con lui verso il cumulo di macerie.
Poteva capitare anche di trovare persone vive anche se ridotte davvero malissimo, infatti, sempre l'Italia, aveva retto diverse tende per l'accoglienza dei bisognosi. Come noi, i medici lavoravano costantemente e le urla da quelle tende uscivano costantemente. Un sottofondo angosciante per un lavoro straziante, mi stava divorando mentalmente oltre che fisicamente, perché non era affatto facile sollevare pezzi enormi di macerie e trovarci sotto dei cadaveri tumefatti. Certe o qualche innocente agonizzante che in una lingua straniera di cui non capivo nulla, mi pregava di salvarlo. Non capivo cosa dicevano ma non serviva un genio per intuirlo.
E fu così per diverse ore, questo fin quando la calca tenuta fuori dall'anello di sicurezza indetto da noi, fu davvero troppa. La gente urlava e piangeva, inveiva contro di noi quasi come a darci la colpa di quello che era successo nonostante noi stavamo aiutando i feriti rimasti in vita. I corpi iniziarono a coprire sempre più spazio, non potevamo metterli uno sopra l'altro perché era necessario un riconoscimento, insomma li stavamo trattando nel modo più umano possibile. Tra questi riconobbi alcuni miliziani ma erano più innocenti che soldati.
Io e Leonardo avevamo appena portato un ferito nelle tende mediche, questo aveva un braccio aperto a metà e una parte gli penzolava sanguinolenta. Cercai di guardare il meno possibile il suo avambraccio diviso a metà ma per quel poco scorsi le sue ossa nello spazio tra le sue carni, le ossa erano poi spezzate di netto, quindi il suo avambraccio, entrambe le metà, erano attaccate solo dalla carne, perse conoscenza poco dopo il nostro arrivo alle tende quando i medici esausti lo adagiarono su una brandina imbrattata di sangue.
Nel frangente in cui ci allontanammo li vidi prendere dei lacci emostatici ma poi dovetti concentrarmi sul mio lavoro. Tornati alle macerie udimmo il forte suono di alcune frenate e poi di spari, erano colpi sparati da armi pesanti come mitragliatrici.
La folla di civili urlò così come i soldati italiani creando in pochi secondo un caos assordante. Due fuoristrada stavano sparando senza criterio, tutti i civili presero a correre mentre i soldati risposero al fuoco, io e Leonardo fummo costretti a sdraiarci, uno affianco all'altra, riparati da colonne di cemento e altre macerie, puntai il mio Ar 70/90 guardando all'interno del mirino ACOG mentre senza pensarci troppo, tolsi la sicura e aprii il fuoco, cercavo di colpire chi sparava dalle mitragliatrici mentre due ragazzi italiani volarono indietro e non s'alzarono più. Le persone sembravano come tori impazziti che correvano in ogni direzione e molti di loro cadevano in terra colpiti dai pesanti colpi di mitragliatrice.
"i bambini!" urlai guardando verso il muro dove avevo visto quei poveretti e li vidi a testa bassa, rannicchiati su loro stessi fermi immobili.
"non puoi andare, è troppo rischioso" mi rispose Leonardo.
Aveva ragione, percorrere quella distanza era veramente pericoloso, avrei dovuto correre in direzione contraria dei civili senza alcun tipo di protezione.
Solo mi sentivo male per quei bambini, potevo solo sperare che i colpi non li raggiungessero essendo in un angolo e lontani dalla mira dei talebani, occupati a sparare contro di noi.
Non avevamo armatura necessaria per un conflitto così pericoloso, oltretutto dai fuoristrada, uno di quei bastardi si sollevò con un RPG sulla spalla destra. Vidi il colpo partire e quando arrivò verso di noi, una soldatessa e dei civili che in quel momento erano vicino, furono fatti saltare in aria in una violenta esplosione di fuoco e sangue. A qualche metro davanti a noi cadette in terra un'intera gamba e un pezzo di corpo, questa indossava la mimetica militare.
Sparai ancora, non serviva a niente perché i colpi facevano scintille contro le placche di metallo che fungevano da scudo al fianco della mitragliatrice. Anche Leonardo fece esplodere qualche colpo mentre tutti gli altri soldati erano riusciti a trovare riparo. Caso strano, Edoardo era alla mia destra ad una decina di metri.
Per tutto il giorno non lo avevo nemmeno notato e in quel casino riuscii ad individuarlo. Lui mi guardò e io gli feci cenno con la mano di tenere bassa la testa, fece si in risposta.
"qualcuno ha del fumogeno?" Sentii urlare. Ma nessuno rispose.
I presenti erano lì per assistere i feriti e spostare cadaveri, quindi non equipaggiati per conflitti così lunghi, sotto a costante pioggia di piombo speravo quanto meno che gli americani o altre nostre unità ci venissero a salvare.
Non c'era verso di colpire quelli sulla mitragliatrice e gli altri ci stavano schiacciando a colpi di RPG e ak 47.
Affacciarsi ed esporsi era davvero tanto rischioso, non si poteva nemmeno affiancarli.
Poi come dal nulla, un elicottero si alzò oltre una fila di palazzi, sentii le sue mitragliatrici prepararsi a sparare, un fischio lieve ma continuo dopo il quale, i suoi colpi sovrastarono in suono quelle dei talebani.
Vidi come dei flash giallognoli, come tante saette che piovvero contro chi ci stava sparando, i fuori strada esplosero violentemente e i pochi sopravvissuti furono rapidamente abbattuti da alcuni di noi. L'elicottero invece come arrivò, sparì con un rapido cambio di direzione.
In quel momento mi accorsi che la mia cuffietta radio era uscita dal mio orecchio e la indossai.
"affermativo Sergente Marti, io e Il caporale Mazzoli stiamo bene!" Sentii due volte la voce di Leonardo.
Premetti il tasto per parlare e mi feci viva.
"Qui il caporale Mazzoli, chiedo scusa ma la mia cuffietta era saltata via durante il conflitto" spiegai.
Restammo comunque in terra, aspettandoci altri attacchi ma col tempo che passava poco a poco ci alzammo quando ormai fu palese che il pericolo era cessato.
Il mio sguardo andò poi sul muro dove erano rimasti i bambini, loro rimasero tutto il tempo alla nostra destra, di lato rispetto al campo di battaglia, l'elicottero aveva colpito gli obbiettivi disposti lateralmente.
Solo una bambina era rimasta in ginocchio, io e altri ci avvicinammo e lei ci guardò. Il viso pieno di lacrime e gli occhi gonfi. Ripeteva continuamente una frase, era straziante anche non poter parlarle, non mi avrebbe capito.
Gli altri bambini erano stati colpiti dai pezzi di macerie e lamiere fatti partire dalle esplosioni prodotte dai fuori strada. Senza un posto dove ripararsi furono condannati ad una morte orribile.
Alcuni uomini tentarono di afferrare dolcemente la bambina, di sollevarla per farla andare via da quel posto.
Io rimasi imbambolata, la vista mi si appannò e delle lacrime sgorgarono verso il basso bagnando la kefiah. Restai ferma immobile anche quando riuscirono, un po a forza, a portarla via. Mentalmente distrutta da quelle orribili immagini, creature tanto innocenti come i bambini ridotte a corpi sanguinanti tra le macerie. Come avrei potuto convivere con un ricordo simile?
Ferma col mio fucile verso il basso a fissare quei corpi in un pianto silenzioso. Alcuni soldati mi intimarono di andare via, di non guardare perché faceva ancor più male ma io non riuscivo... Dei bambini, dei bambini, erano solo bambini. Continuavo a ripetermi.
La mia infanzia non fu felice ma rispetto a loro ero stata fortunata e in quel momento capii anche quanto. Volevo poter tornare a casa e abbracciare mia madre, dirle che le volevo bene e che ne volevo tanto.
Probabilmente avrebbe capito che qualcosa in me non andava, non ero mai stata molto affettuosa nei suoi confronti e in quel momento. Vedendo quei piccoli corpicini martoriati, quelle vite spezzate in modo così ingiusto, me ne pentii amaramente.
Come se non bastasse, dopo il conflitto ricevemmo l'ordine di continuare col precedente lavoro.
Fui quasi tentata di inveire contro i miei superiori ma sapevo che non avrebbe portato a qualcosa di buono, decisamente e l'ultima cosa che volevo fare era coinvolgere la mia squadra in un ipotetica punizione.
Fui costretta quindi a lavorare diverse ore, sentivo la pelle tirare, il sudore aveva fatto si che la polvere si attaccasse al mio viso, almeno la parte esposta. Ringraziai il cielo quando ci fu comunicato il cambio e senza dire una parola, mi unii a tutti gli altri restando in silenzio ed in fila per raggiungere le Lince.
Non dissi una parola quella sera; sia al mio ritorno che in mensa per la cena. Ci fu concessa la serata libera quindi raggruppati con altri soldati giocammo ad Uno quasi tutto il tempo. Anche in quell'occasione le uniche parole che uscivano era "Uno" detto da chi restava con una sola carta. Un'aria triste arieggiava tra di noi, come un forte peso che premeva sulle teste di ognuno. Un peso gelido e disarmante.
Ero seduta su quel tavolo, stavo giocando con gli altri ma la mia testa era ancora tra quelle macerie e in mezzo a tutti quei cadaveri.
"hey ciao elisa!" era la voce di Edoardo, ancora una volta alle mie spalle.
Sussultai mentre inclinai in avanti la schiena per allontanarmi.
"Maremma maiala, che vuoi?!". Senza pensarci mi scappò in italiano... anzi, in puro toscano con un tono piuttosto arrabbiato.
Lui restò interdetto dal modo in cui gli risposi ma probabilmente capì dandomi una pacca sulla spalla.
"niente, scusami davvero!" rispose infatti allontanandosi.
Io mi rivolsi ancora tra i presenti e scartando una carta esalai quel maledettissimo "uno".
Giorni dopo, l'amaro di quella bruttissima giornata era rimasta sulla bocca di tutto coloro che furono coinvolti.
I soldati caduti tornarono a case  dentro delle bare sulle quali era stato poggiato il tricolore e una medaglia, io stessa mi offri volontaria nel portare alcune di queste all'interno del CH-47 Chinook e quando furono messe una affianco all'altra in diverse file, restai a guardarle per qualche attimo, chiedendomi se un giorno anche io fossi tornata a casa in quel modo. Tenersi occupati costantemente aiutava a non fare pensieri simili quindi cercai di fare più lavori possibili.
Osservammo un minuto di silenzio per quelle povere anime e chi credente professò delle preghiere, io evitai. Non ero una molto religiosa.
Bastarono pochi giorni per cambiare pagina; nel parco anteriore, parco si fa per dire visto che altro non c'era eccezion fatta per sabbia.
Alcuni ragazzi in pausa stavano giocando a calcio, spingendosi e urlando. Effettivamente non erano molto rispettosi delle regole. L'unica loro porta era disegnata su muro con una bombola spray sull'edificio dove venivano parcheggiati i blindati.
Alcuni tiravano pallonate così forti che il colpo della pallonata faceva eco nell'aria. Io ero con gli altri Col moschin seduta su di un grosso sacco di sabbia quadrato affianco a Leonardo che si divertiva a darmi degli schiaffi sulle cosce, schiaffi che ricambiavo almeno fin quando il sergente Marti non ci riprese.
"cristo santo, avete cinque anni?!" fu così che ci riprese e smettemmo immediatamente dandogli la possibilità di spiegarci quella cosa importante per la quale ci aveva radunati.
"allora bambini, abbiamo il secondo cattivone, più o meno" esalò mentre da una tasca prese due fogli piegati su loro stessi che diede a Glauco, il primo sulla sua destra facendogli cenno col dito di farlo girare.
"mi spiego meglio, si tratta di Ayoub abdullah ma non sappiamo dove si trovi esattamente. Questo è ben diverso dal solito idiota..." Venne interrotto da Giuseppe.
"che intendi?" Domandò lui.
"e fammi finire, cazzone!" Sbottò facendo cenno di no con la testa per poi riprendere a parlare.
"comunque, questo non se ne sta in una fortezza costruita col fango, anzi a dirla tutta non sappiamo affatto dove sia questo cazzone... ma! Abbiamo una pista...".
Le due carte arrivarono nelle mie mani e le guardai; una era la foto del tipo. La solita faccia di cazzo con tanta barba scura, erano così tanto uguali che non saprei nemmeno come descrivertelo ma quello aveva dei rayban agli occhi, il che mi fece specie. Nella foto stava probabilmente urlando.
"ma se abbiamo una foto di questo top model, perché non sappiamo dove sia?" domandai quasi ridacchiando mentre guardai la seconda foto.
Questa era satellitare, riprendeva una grossa piazza delineata da dei muri e con in centro un grosso obelisco al centro.
"Il signor Ayoub gestisce un giro di Cocaina, probabilmente anche mercato nero di umani ma quello che conta è che la coca viene gestita in questa piazza durante i giorni del mercato, per quello che ci riguarda può spacciare tutta la neve che vuole, non c'è ne frega un cazzo ma questa è la nostra pista".
Mi piaceva il modo in cui si esprimeva, schietto e per niente formale nonostante fosse un sergente, insomma così facendo creava più unità. Nello spiegare il piano picchiò il taglio della destra sulla mancina.
"La droga verrà portata sicuramente da una staffetta o qualcosa di simile, saranno loro i nostri obbiettivi. Li catturiamo, diamo fuoco a tutta la roba e li facciamo cantare, dopo di che, li ammazziamo" Spiegò lasciandomi un po interdetta.
"è proprio necessario farli fuori?". Sibilai aggrottando la fronte.
" no no teniamoli vivi così hanno tutto il tempo di avvisare Ayoub". Fu la sua risposta sarcastica che fece ridacchiare gli altri, non potendo prendermela direttamente col sergente guardai gli altri ridendo in modo sarcastico mentre mostrai loro il dito medio.
"ci siamo ragazzi? Vi piace?" aggiunse poi mettendo il pugno al centro, uno dopo l'altro misero il pugno sopra quello del sergente e per ultima lo feci anche io.
"Della Folgore l'impeto!f" Urlammo tutti quanti attirando un po di attenzioni su di noi, per questo ridacchiai un attimo mentre tutto il gruppo si sparse, avevamo ancora un po di tempo per la pausa e di certo nessuno di noi lo voleva passare parlando di tattiche e come adoperare.
Io avevo da fare anche in quel frangente, non mi piacette affatto come trattati Edoardo giorni prima, mi sembrava giusto porgergli le mie scuse, del resto anche se ci eravamo visti poco, era per me una persona importante.
Lo cercai in tutta la base, siccome non riuscivo a trovarlo andai a chiedere se la sua squadra fosse uscita in città ma la risposta che ricevetti era negativa.
Dove diavolo poteva essere finito quell'idiota? Camminando trovai altri della sua squadra e chiedendo loro mi riferirono che non era uscito dalla camera nell'orario di pausa, così stranita dalla cosa mi feci dare indicazioni per raggiungerla e una volta lì, bussai dopo aver esitato qualche secondo.
Sentii un trambusto dietro di essa e un rapido "s-si, arrivo immediatamente" esalò lui. Pochi attimi dopo aprì la porta, sembrava essere tutto apposto a parte che il suo viso era paonazzo e si notava un certo nervosismo da chilometri di distanza.
"tutto bene?" domandai io stranita, mentre lui mi fece cenno di entrare. Non c'era nessuno a parte lui.
"si si, tutto bene Elisa, mi fa piacere rivederti" gorgogliò quindi il ragazzo tenendo gli occhi verso il basso, mi accorsi che il suo colletto era alzato così feci cenno di no e allungando le mani lo sistemai.
"se ti beccano conciato così sai che ti fanno il culo" ridacchiai quindi e lui con me.
Qualcosa davvero non mi convinceva, come se desiderasse che me ne andassi o qualcosa di simile.
"ti ho cercato in tutta la base e mi hanno detto che eri qui, volevo domandarti scusa per l'altra volta" feci quindi una pausa imbarazzata "insomma, mi sono comportata da vera stronza" affermai e lui ridacchiò.
Lui a quel punto sembrò rilassarsi e un sorriso addolcito dipinse il suo viso.
"Elisa... sei una mia amica di infanzia praticamente, ok ci siamo visti poco ma tutto quello che sono lo devo a quella ragazzina che in spiaggia mi diede forza, non potrei mai avercela con te, dico davvero!".
Quelle frasi mi scaldarono il cuore e rompendo quella tipica formalità dettata dal nostro regime di vita, lo abbracciai amorevolmente.
"mi ricordo di quella spiaggia come fosse ieri cazzo..." esalai malinconica.
"possiamo organizzare per tornarci, si insomma appena abbiamo finito qui, magari col tuo ragazzo e io con la mia ragazza" spiegò mentre già ridevo della cosa.
"ah si, il mio fidanzato immaginario, devi vedere quanto è romantico, alle volte anche troppo". Il tono era sarcastico e divertito ma subito dopo cademmo in uno di quei imbarazzantissimi silenzi nel quale mordendomi il labbro abbassai la testa.
"beh... se è tutto ok, allora io tolgo il disturbo!" sussurrai facendo un passo indietro.
"Buona giornata elisa" Mi congedò lui.
Quella chiacchierata mi sollevò ancor più il morale ma restai dubbiosa circa la natura di quel nervosismo.
Impiegai pochi attimi per dimenticarmene e piuttosto pensai a mia madre.
Così la chiamai. Inutile dire che nel sentirmi esplose di gioia, mi trattenne al telefono per tutto il resto della mia pausa e anche questa finì dovetti quasi chiuderle il telefono in faccia perché non metteva giù.
Omisi di aver ucciso un uomo, così come di aver rischiato tanto al crollo del palazzo. Lei invece mi raccontò che i vicini chiedevano sempre di me e che avevano aperto una pagina Facebook che si intitolava "Elisa torna presto a casa".
Quando me lo disse diventai rossa per l'imbarazzo della cosa, cercando, inutilmente di convincerla a cancellarla.
Mentre andai verso la postazione di picchetto, facendo attenzione a non farmi vedere cercai la pagina "incriminata" e quando la trovai fu più imbarazzante di quando sembrava all'inizio.
Mia madre postava mie foto da ragazzina o quelle che le inviavo dall'Iraq. E tutte le persone, parenti o gente che conoscevo, commentavano definendomi eroina e altre cavolate. Provai davvero un forte senso di imbarazzo riguardo quella faccenda ma in quel momento mi trovai a dover fare guardia. Davvero una noia mortale ma faceva parte della mia vita.

Redwind: La folgore scarlattaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora