Alyssa mi porse una sua foto, eravamo sedute una affianco all'altra. Due gocce d'acqua nate in continenti diversi. La foto era di sua figlia, questa sembrava abbastanza grande. Non aveva infatti meno di tredici anni all'apparenza.
Mi Raccontò di averla avuta a sedici anni con un certo Stefan e che nonostante questo, aveva comunque deciso di arruolarsi.
"è davvero una bella ragazza". Mi complimentai con lei "se non altro ha preso dalla madre" aggiunsi.
Effettivamente Ginevra, così si chiamava la figlia. Aveva anche lei capelli rossi ed era piena zeppa di graziose lentiggini. Alyssa la guardava con un sorriso rattristato e poi la mise via.
"ti manca vero?" domandai, domanda parecchio inutile ma volevo tirarla su. Lei fece cenno di si con la testa e poi afferrò il bicchiere d'acqua che aveva innanzi, una presa delicata e sensuale, Quasi in contrasto con quello che era. Quella donna era un continuo contrasto, avrebbe potuto avere un futuro come modella, invece era al mio fianco e si stava facendo un nome in quanto abilissima cecchina.
"forse entrerò nel Green team dei navy seals" mi spiegò lei con un filo d'orgoglio. Quella notizia mi fece spalancare gli occhi incredula.
"cristo santo, ma è una notizia stupenda, quante di noi hanno la stessa probabilità?" ribattei rapidamente.
Lei poggiò il bicchiere e sollevando un sopracciglio mi indicò con un cenno del capo.
"disse quella che è entrata nell'unica Tier-1 della sua patria" Prese fiato poi e mi guardò socchiudendo gli occhi.
"che c'è?!" domandai quindi spiazzata da quello sguardo.
"come te la cavi col tiro a lunga distanza?" fu la sua domanda. Effettivamente non sapevo quanto brava fossi, avevo una buona mira, non me la cavavo male ma senz'altro lei era infinitamente più brava.
Così feci spallucce accompagnandole ad una smorfia incerta.
"boh, bene direi". Lei mi diede un pugno sulla spalla, colpendomi esattamente il nervo, non mi lamentai.
Quella donna aveva su di me uno strano ascendente, non volevo sembrare debole ai suoi occhi.
"non so perché ma mi stai simpatica, se vuoi provo ad avere i permessi e ti addestro al tiro su lunga distanza, coi miei insegnamenti prenderai sicuramente il posto del tuo cecchino".
Sembrava essere molto seria e convinta di ciò che mi diceva ma non capivo perché lo stava facendo.
Lo domandai e la sua risposta fu schietta e semplice.
"non sei mica obbligata, se la cosa ti interessa mi piacerebbe, tutto qui! Se poi vorrai davvero diventare una di noi non basta l'insegnamento di una qualsiasi ma alle selezioni sicuramente partirai avvantaggiata".
Quindi mi si presentò un bivio. Un bivio che avrebbe drasticamente cambiato la mia carriera.
Diverse volte mi venne detto che la carriera da sniper faceva per me, vista la mia buona mira ma per tutto il tempo restai una semplice assaltatrice. Capiamoci, non che mi dispiacesse ma mi andava bene così e pure dopo quella chiacchierata mi ritrovai ad un bivio. Se avessi accettato e avrebbero permesso al Sergente Clovet Alyssa di insegnarmi sicuramente molte cose sarebbero cambiate.
Non era una questione solo legata alla mira ma avrei dovuto studiare tantissimo, frequentare altri concorsi in italia e sottopormi ad altri addestramenti durissimi. Separandomi oltretutto per un po dalla mia squadra nei Col moschin e non era detto che al mio ritorno sarei potuta rientrare. Del resto un cecchino lo avevamo già.
Restai con quei pensieri diverse ore, anche quando la testa mi serviva per l'inventario e dovendo poi firmare significava che se contavo male avrei dovuto passare guai non indifferenti.
Il magazzino mi piaceva, era piuttosto silenzioso e restare sola con quelle grosse scatole di munizioni mi rilassava. Un po di pace da tutto il caos visto che da quando ero giunta erano successe cose orribili di continuo. Pensai ancora ai cadaveri dei bambini, strinsi gli occhi pregando me stessa di scacciare via quei pensieri che mi stavano divorando. Così come le urla che sentivo la notte, quando mi sdraiavo e nel silenzio alcuni spari in lontananza facevano da sfondo.
Quando finii il turno nel magazzino mi spostai con altri uomini e donne, essendo un'aggiunta quelli della mia squadra veniva usati come jolly nei momenti vuoti. Trovavano sempre qualcosa da farci fare, come se gli desse fastidio il fatto che avremmo potuto riposare anche qualche minuto.
Io continuavo a rispettare e salutare qualsiasi superiore che mi dava un ordine, così da non farmi prendere di mira.
Lavorare, per me non era un problema, anche se si trattava di pulire i cessi. Mentre pulivo quei luridi lavandini, dentro la mia testa immaginavo delle canzoni che canticchiavo a bocca serrata, così da accompagnarmi.
Musica rock, come mi era sempre piaciuta. Non ero cambiata negli anni, ero cresciuta ma comunque assomigliavo comunque a quella ragazzina che a scuola ascoltava rock e si lasciava correre quello che la vita le buttava in faccia. Affrontando tutto al meglio delle mie possibilità, cercando di non cedere mai.
Ma anche io ero umana ed ecco che quei corpi martoriati tornarono alla mia mente, come se i miei pensieri fossero un labirinto, nel centro vi era la pace ed esplorandoli potevo imbattermi in brutti vicoli ciechi. Diedi un pugno al muro rivestito di mattonelle. Emise un sordo tonfo mentre del dolore caldo si propagò dalla mano verso il polso.
Bestemmiai, prendendomela con la madre di gesù senza nessun motivo e restando poi nel mio desolante silenzio subito dopo, concentrandomi sulle pulizie.
Durante l'ora di cena mi recai come tutti in mensa, una giornata passata nella più completa normalità, anche troppo noiosa.
Servivano purè di patate e pollo lesso con una michetta di pane, il cibo era benissimo paragonabile a quello degli ospedali. Insomma faceva schifo. Quello che odiavo di più però era lo sguardo che la biondina di Enrico mi riservava ogni volta.
Da quando il suo ragazzo, nonché mio amico mi aveva avvicinato, quella non faceva altro che squadrarmi e quella sera cedetti.
"mi spieghi qual è il tuo problema?". Lei fece finta di niente mentre io mi fermai davanti a lei, spostandomi un po più a destra così da non fermare la fila per la cena.
Lei infatti serviva altri ragazzi ma io restai lì, con il vassoio rossiccio tra le mani e la mia pietanza fumante.
"che problemi hai?" mi disse.
Immaginai di scavalcare il bancone e riempirla di pugni ma la cosa dovette restare solo una mia bella fantasia.
"no bella, tu che problemi hai, ogni volta mi guardi male, solo perché conosco chi sai tu". Esalai e lei fece cenno di no con la testa.
Non sembrava molto disposta a parlare così incalzai.
"comunque, non sono interessata a certe cose quindi, signorina della mensa, sta pure tranquilla".
Mi girai e sorrisi divertita della cattiveria che le riservai.
"hey cosa intendi?!" esalò lei, così mi girai.
"trovarsi in una mensa a servire cibo, immagino che era questo che vedevi nel tuo futuro quando ti sei arruolata".
Fui particolarmente stronza, quel tipo che di solito odiavo ma davvero non ne potevo più di quei piccoli occhi azzurri che mi fissavano male ogni dannata volta che andavo a mangiare.
Le cose sembravano aver preso una piega piuttosto calma, per settimane infatti non ci muovemmo dalla base, i superiori probabilmente stavano decidendo come farci muovere. Una fresca mattina dopo l'alza bandiera il Sergente Marti venne chiamato dai piani alti, per mezz'oretta io e la mia squadra ci trovammo a guardarci negli occhi, nessuno ci smistava come sempre e non sapevamo che cosa avremmo dovuto fare.
Nel cortile diversi Blindati erano pronti a partire e nel vederli capii che stava succedendo qualcosa... qualcosa che con tutte le probabilità avrebbe implicato anche noi.
Dieci minuti più tardi odiai me stessa per aver avuto ragione, tutti quanti noi ci unimmo ad un corteo.
"Missione di pace un paio di coglioni" Esclamò Giuseppe piuttosto innervosito.
"Ma Bagdad non è stata bonificata dai jihadisti dopo la morte di Al-Zarqawi" domandai mentre davanti non si vedeva nulla per via del grosso banco di polvere sollevato dai blindati più avanti.
"Brava Elisa, abbiamo studiato, dieci punti a Grifondoro" scherzò Glauco ridacchiando.
"informarsi su di un paese dove sei costretto a vivere per mesi mi sembra il minimo" ribattei per poi sollevari l'indice. " ah! Comunque sono Serpeverde" aggiunsi ridacchiando e lui fece uguale.
"Come dice la nostra rossha, ufficialmente la guerra era finita dopo la morte di Saddam Hussein per mano dei nostri amiconi stelle e strisce ma alcuni idealisti del cazzo subito dopo hanno iniziato ad insorgere, per anni è stato un maledettissimo bagno di sangue, siamo qui per delle missioni di pace ed è vero, la maggior parte di noi qui distribuisce acqua ai civili o cose simili ma può capitare di appoggiare, come stiamo facendo ora, i soldati americani nella bonifica di un territorio o un paese" spiegò Il sergente come fosse un professore.
"comunque avremmo un ruolo secondario, almeno in questa operazione, dovremmo creare un perimetro attorno un piccolo borgo, fermare chiunque tenti di uscire o entrare mentre loro entrano dentro e fanno fuori gli stronzi".
Praticamente avremmo fatto da anello di sicurezza, non sapevo se sentirmi presa sottogamba o fortunata.
Come se gli Americani ci prendessero come il loro fottutissimo cane da guardia. D'altro canto però restare fuori in quel modo implicava, in teoria, avere meno rischi.
"l'importante è che tenete gli occhi aperti e non vi distraete...". Il sergente Marti non si rese conto che il blindato che avevamo davanti di era bruscamente fermato.
"Sergente Marti!" Urlai attirando la sua attenzione mentre mi preparai al botto. Questo non avvenne però, l'uomo riuscì a fermarsi in tempo.
"e adesso che cazzo succede?" Domandò nervosamente. Sbirciando in avanti ci accorgemmo che i soldati stavano scendendo dai blindati. Il pilota di quello che stavamo tamponando raggiunse il finestrino del nostro sergente.
"un ragazzo è fermo sul ciglio della strada con una macchina, dice di essere a secco". Ci informò.
Marti ridacchiò.
"stronzate" affermò per poi farci cenno di scendere.
Non dovette nemmeno dirlo, uscendo fuori guardammo fin dove i nostri occhi potevano, controllando se la zona della strada fosse sicura. Era tutto apposto e più in là i soldati americani stavano urlando contro il ragazzo.
Questo non mostrava atteggiamento ostile ma loro lo scaraventarono in terra. Un soldato schiacciò la gola e l'orecchio del ragazzo con la suola dello scarpone mentre lo ammanettarono con delle fascette trasparenti.
Io restai lontana ma riuscii a vedere tutta la scena.
Nessuno osava avvicinarsi troppo alla macchina e quindi il corteo non avanzava.
Più la situazione restava in stallo, più i soldati americani si innervosivano, il ragazzo parlava veloce e confusamente. Quello che potevo capire del suo linguaggio era la parola Allah, ma più la diceva più i soldati lo picchiavano.
Fu necessario chiamare una squadra di artificieri che arrivarono già con in dosso la loro enorme e ingombrante tuta. Sembravano dei palombari in tinta verde. Trovavo buffa quell'armatura, anche per il casco rotondo e quel colletto alto.
Alla fine i sospetti erano veri, quella era una macchina bomba pronta ad esplodere. Non appena fu disinnescata fui atterrita da ciò che vidi. Non doveva accadere, liberarono l'attentatore e un sergente americano, dopo averlo girato verso di se, un suo sottoposto lo slegò e l'altro gli sparò una breve raffica, lasciandolo morto per terra in una pozza di sangue che poco a poco tinse il caldo cemento. Non fiatai, lo avevano catturato ma decisero di freddarlo come un cane.
Secondo il mio punto di vista, dovevamo essere diversi da loro in quei dettagli, noi eravamo lì per assicurarci che Bagdad non cadesse in mano a quei terroristi, comportarci come loro non sarebbe servito a niente.
Quando riprendemmo a viaggiare Il sergente Marti mi poggiò una mano sulla spalla stringendomela.
"Mazzoli.. Mazzoli... tu sei troppo buona".
Come aveva intuito ciò che pensavo? Lo guardai e presi aria per chiederglielo ma mi zittii.
"sei una brava ragazza e mi fa piacere che sei una dei miei" aggiunse poi. Anche in quell'occasione non dissi nulla ma mi limitai a dargli uno sguardo d'accondiscendenza.
Più giorni passavo in iraq e più sentivo una strana sensazioni, iniziavo ad interrogarmi se davvero era quella la vita che volevo fare. Cercavo di scavare nella mia mente ricercando gli ideali di giustizia e senso civico che mi spinsero ad indossare una divisa. La bella facciata che vedevo stava pian piano diventando sempre più una bugia. Sapevo della brutalità usata dai jihadisti, avevo visto i loro video mentre sgozzavano come animali i soldati catturati. Ma quello che prima non sapevo era che la brutalità non era solo una loro prerogativa.
Alyssa mi disse giorni prima che eravamo nel giusto ma quello che avevo appena visto non era affatto giusto.
Al di là di quello che ci sarebbe successo se l'auto fosse esplosa.
Arrovellata nei miei pensieri cercavo di concentrarmi sulla mia guerra, poiché alla fine tutte le persone che avevo attorno ne avevano una personale.
Una volontà di vendetta o semplicemente voler tornare a casa, c'era anche chi non se ne sarebbe mai andato per niente al mondo. Volgioso solo di sparare ad ogni singolo arabo che imbracciava un arma contro di noi.
E io? Oltre la mia volontà di indipendenza e di una vita non comune, per cosa lottavo? Perchè ero tra quelle persone e quella violenza?
Non riuscivo davvero a trovare uno spiraglio e qualche anno prima era così vivido, forte ed intenso.
Ma quel senso di ingiustizia stava via via svanendo ogni singolo giorno che restavo a Bagdad.
Dovevo restare concentrata, smettere di pensare e restare nel presente.
Gli americani entrarono in forze all'interno di quel paese mentre noi formammo un perimetro, non era grosso il paese e coi blindati riuscimmo a circondarlo tenendoci a brevi distanze. Non vi era altro che deserto attorno a me, arido e morto deserto che puzzava di bruciato. L'aria calda entrava nei pori della mia pelle mentre in lontananza il terreno sembrava distorcersi creando le classiche illusioni d'acqua.
Sopra la nostra testa il cielo invece era più azzurro che mai, nemmeno un puntino bianco di nuvola e nessun uccello o aereo stava sorvolando la zona.
Non dovemmo aspettare molto prima di udire i primi spari, questi sembravano dei lontani ticchettii, suoni metallici inconfondibili. Non ne capii il motivo ma mi sentii a disagio, provai un certo senso di ansia che come una serpe mi strinse nelle sue spire. Se qualcuno avesse fatto capolino dal paese, sulla dalla strada che avevamo sbarrato col blindato, avremmo dovuto fermalo e come prima avremmo corso il rischio di trovarci davanti una macchina bomba.
"apriamo il fuoco a qualsiasi mezzo che si avvicina se non è americano, non gli permetteremo nemmeno di avvicinarsi con le loro fottute bombe di merda" Il sergente era preoccupato, saettava gli occhi ripetutamente ma doveva contenere le emozioni, consapevole che lui era il pilastro della squadra.
Da quando fummo stanziati a in Iraq non si tagliò più la barba nonostante l'etichetta, questa infatti stava scurendo il suo viso.
"ricevuto" Dicemmo quasi tutti in coro, di certo non volevo morire per colpa di uno stronzo che si sarebbe fatto esplodere.
Gli spari andarono avanti per diverso tempo, ogni tanto si vedeva sollevarsi una coltre di polvere tra le case diroccate e i negozi.
Restammo tutto il tempo in contatto radio con le altre squadre italiane per aggiornarci circa la situazione. Avevamo anche un canale radio per poter comunicare con gli americani in caso di necessità ma speravamo tutti quanti che non ci sarebbe stato bisogno.
Il conflitto andava avanti da più di un ora, a turno, il sergente marti dava il permesso di poggiarsi un attimo contro il lato del lince e di bere un po d'acqua. A patto però, che fosse stata una cosa rapida. Non potevamo permetterci di distrarci troppo.
Essendo nel bel mezzo di una black zone chiunque poteva attaccarci e in quella posizione eravamo abbastanza esposti, solo i blindati infatti ci fornivano copertura. Per questo restavo quanto più possibile vicino ad essi, anche se il senso di sicurezza era nullo, mi faceva sentire un po meglio.
Iniziai a muovere piccoli passi poiché stare ferma iniziava a diventare stancante, soprattutto ai piedi dentro dei grossi stivali neri. Tutti ci domandavamo quanto ancora ci sarebbe voluto per liberare quel paese ma evidentemente le difese erano piuttosto resistenti anche se gli americani avevano praticamente fatto breccia da ogni vicolo e strada possibile. Sulla nostra destra, violenta ed improvvisa si vide un esplosione la cui onda d'urto smosse via la sabbia mentre la vampata violenta lasciò spazio poi a delle fiamme parecchio alte.
Si udirono da distanza delle urla mentre dalla strada che occupavamo noi, fece davvero capolino un'auto. Vecchio modello e color sabbia.
"aprite il fuoco" Urlò Il sergente Marti e una volta rimossa la sicura premetti il grilletto del mio fucile facendo attenzione al rinculo, per questo sferravo rapide e continue raffiche. La parte frontale dell'auto fu riempita di scintille mentre il vetro andò in frantumi in pochi attimi. Infine la macchina venne inghiottita dalle fiamme e un ondata di calore mi bruciò sula faccia, perfino gli occhi nonostante indossassi degli occhiali per proteggerli.
"per un pelo" esalai quando la situazione si calmò, fu una pace momentanea perché per noi italiani il pericolo non era affatto finito, nonostante l'attacco in massa americano.
Il blindato sulla nostra destra, a cento o duecento metri da noi, diceva di essere sotto massiccio attacco nemico e chiedeva aiuto. L'attacco arrivava dall'esterno. Evidentemente dei rinforzi che però si erano imbattuti in quella unità. Noi e un'altra unità stavamo convergendo in quel punto. Ci spostammo con il blindato e arrivati restammo a testa bassa uscendo dal lato del piccolo paese mentre già alcuni colpi raggiunsero il blindato.
Avevamo formato con tre Lince, una trincea di fortuna.
" dobbiamo smetterla di vederci così" sentii una voce alla mia sinistra. Enrico ancora.
Era assurdo come me lo trovavo sempre in mezzo ai piedi, temevo di trovarmelo un doccia"...
...A quel punto Cheese tolse lo sguardo dal suo mirino e mi guardò stranito, non serviva che parlasse per farmi capire che intendesse, a smorfia diventò maliziosa.
"Cheese, tu non ci arrivi alla missione, ti ammazzo prima" lo minacciai e lui ridacchiò.
"come cambi il mondo eh?" fece lui con quell'aria bonaria che aveva sempre.
"che intendi?" domandai non capendo cosa intendesse e lui fece spallucce mentre sistemò il fucile muovendolo dalla parte alta del calcio.
"anni di casini per liberare l'iraq, milioni di morti e come ripagano? Si alleano con Russi e Cinesi".
Effettivamente non aveva tutti i torti e in quel momento la Siria stava facendo teatro di uno dei passi più importanti dell'epoca moderna. Quella notte avremmo superato di importanza l'operazione "no easy day".
Era per quello che i nostri nervi sembravano corde di violino, anche se non lo dava a vedere, conoscevo Cheese.
Era preoccupato almeno quanto me e quella richiesta, il fatto della storia probabilmente serviva a tenerlo calmo. Non ero una brava narra storie, molti l'avrebbero potuta trovare noiosa ma il mio lavoro era il soldato... non la scrittrice o a narrastorie.
"infatti pagheranno per questo, come già è successo ai cinesi e i nord coreani" affermai piuttosto sicura.
"non vedo l'ora" rispose "ma ancor di più non vedo l'ora di uscire con te dopo quest'operazione".
Mi fece ridacchiare di gusto e quella volta fui io a staccarmi dal mirino.
"adesso diventi troppo ottimista" lo ammonii.
"andiamo, lo so che non mi resisti baby". Sapevo che stava solo scherzando ma non volevo lasciargli tutte quelle libertà.
"se non la smetti..."
"...si, mi picchi o mi ammazzi!" mi interrompette lui ridacchiando.
Mia aveva fregata, Cheese, l'idiota del gruppo mi aveva appena messa all'angolino, restai incredula e notando il mo silenzio mi fece anche un occhiolino. "bastardo" pensai in maniera divertita mentre sentii il suo piede sinistro poggiarsi al mio destro, come fosse una carezza.
Parecchio ostinato e testone, era il primo che mi faceva il filo in quel modo così esagerato e ostinato. Anche in situazioni del tutto inappropriate a certe cose. Ciò nonostante, in quell'inferno era la persona che più si avvicinava all'essere un a amico, una persona cara ed impoortante per me. Ed erano anni che non riuscivo ad affenzionarmi così tanto a qualcuno. Nonostante alle volte avrei davvero voluto strozzarlo.
"come è andata alla fine?" domandò dopo un po di silenzio.
"ah! Si... male Cheese, anzi. Di merda!"
Il fuoco cessò, con fatica eravamo riusciti a fermare la folle avanzata di quei kamikaze e le loro bombe, coperti da alcuni uomini che sparavano da una piccola colina.
Il cuore mi batteva a mille, il combattimento durò probabilmente qualche minuto, sparando a media distanza senza sapere con certezza se avevamo colpito a morte o meno. Dovevamo solo aspettare per saperlo, una straziante attesa che contorceva le budella, faceva sbattere i denti e tremare le labbra.
Marti fece cenno di alzarci ma di restare comunque vigili, così premetti il petto contro il lato sinistro del blindato con il fucile poggiato sulla superficie del cofano. Attenta nello scorgere una o più teste.
"vedete qualcosa?" ogni tanto qualcuno gridava e mentre stavo per rispondere negativo.
Mi accorsi di un tipo imbrattato di sangue, si teneva il braccio sinistro con la mano destra e la mano libera imbracciava a fatica un ak 47 con cui sparava verso di noi. Il rinculo gli faceva sollevare l'arma mentre gridava ripetutamente "Allahu akbar". Quel maledetto figlio di puttana era mezzo morto e ancora sparava contro di noi ripetendo quella frase di continuo. Fui la più rapida di tutti, certa che i colpi da me esplosi lo colpirono in petto e in gola. Dal suo corpo fuoriuscirono getti di sangue come violenti spruzzi e ormai senza vita picchiò violentemente la faccia per terra. Era lontano e pure sentii il suono delle sue ossa rompersi. Il vento lo aveva portato direttamente alle mie orecchie, come se volesse farmi fare ammenda della vita appena presa.
Restammo ancora un po in attesa ma i minuti trascorrevano e nessun altro compariva, decidemmo quindi di aspettare altri dieci minuti e poi saremmo tornati alle nostre posizioni originali per continuare il controllo del perimetro.
Niente, tutto libero. I ragazzi che erano sotto attacco ci ringraziarono e Enrico, che era tra questi sollevò a mano, capii che voleva afferrare a mia. Ci demmo il cinque stringendo poi le mani.
"grazie." fece lui.
"e di che... io e te siamo ug..."
Non vidi più niente. Non vidi più niente. Qualcosa era mi era entrato in bocca e copriva la mia faccia. Le mie orecchie furono investite da un suono tanto forte da stordirmi.Senza equilibro caddi per terra schiantando la schiena contro l'enorme cerchione del lince. Avevo qualcosa in bocca, qualcosa di viscido e mole che sapeva di sangue e ferro. Sentii quello che era chiaramente sangue scendermi in gola. Tutti attorno a me si erano agitati.
"Elisa, stai bene?! Rispondi!" Era Marti che mi prese il polso. Non potevo parlare, non prima di sputare mentre mi pulirono il viso con un panno. Avrei preferito non vedere. Ero letteralmente ricoperta di sangue e pezzi di cervello. Sul cavalo del mio pantalone vidi un pezzo di cervello che prima avevo in bocca, avevo sputato quello. Mentre gli altri soldati aprirono il fuoco, io restai seduta contro la ruota e i conati di vomito furono immediati, vomitai copiosamente sul terreno sabbioso mentre Il sergente, che era anche il nostro medico, mi tenette la fronte.
"respira... respira rossha" mi faceva preoccupato porgendomi poi la borraccia. Trangugiai un bel sorso d'acqua e a quel punto vidi Enrico per terra. La sua testa era aperta all'altezza dell'occhio destro e quello sinistro pendeva dalla sua orbita dondolando verso il terreno. L'intera faccia era ridotta a brandelli di carne fumante che tingevano la sabbia di rosso.
Urlai... un urlo straziante, stavo davvero soffrendo e mai... mai in vita mia avevo provato un dolore così grande. Non mi importò di mantenere un atteggiamento composto. Urlai il suo nome mentre le lacrime rigarono il mio viso. Gocciolando copiose vero il basso. Quando cercai di avvicinarmi a lui, Il sergente Marti mi fermò schiacciandomi contro il cerchione per poi darmi uno schiaffo in faccia.
"cerca di darti una calmata".
Io non lo ascoltavo. "è colpa mia... è colpa mia" ripetevo tremando mentre con le mani irrigidite tentai di pulirmi come potevo dal cervello del mio amico d'infanzia.
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Redwind: La folgore scarlatta
Action👉🏻 2° classificato al concorso "nuovi talenti 2019". "non puoi dire di essere vivo se non hai una ragione per la quale sei disposto a morire" Questo Elisa Mazzoli lo sa bene, lo sente nel suo cuore e se lo ripete continuamente, Questo la fa andar...