VOLUME 6: inquilino - CAPITOLO 4

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Tirai fuori dal borsellino tutto quello che avevo: vecchie foto, buoni scaduti, documenti spiegazzati, qualche moneta e qualche tessera.

A parte una tessera vecchia, erano tutte state fatte per me da Lu Feng, nuove di zecca, mai usate.

Non mi piaceva comprare cose, ma ogni volta che me ne regalava una la accettavo con gioia, pensando che era il suo modo di trattarmi bene. Anche se le usavo solo per decorazione, le tenevo con gran cura.

Tolsi tutto, comprese quelle carte, e lo rimisi nel cassetto dove teneva le sue cose.

Nel pomeriggio andai in banca, per controllare quanti risparmi avevo nel vecchio conto. Quando vidi la cifra mi sentii depresso: in tutta la mia vita avevo davvero messo da parte solo quello, non ero stato capace neanche di mettere via risparmi.

Ripensai a quando ero giovane: avevo vissuto momenti ambiziosi, mi consideravo piuttosto intelligente e brillante, eseguivo in maniera meravigliosa compiti a casa e lavoro. Prima ero stato uno studente modello, poi un impiegato competente che, grazie solo alla sua abilità, era stato presto promosso. Sembravo un figlio promettente, un fratello capace, un uomo affidabile.

A quel tempo mi immaginavo che a quarant'anni sarei stato maturo e ricco di esperienze, con una carriera di successo, una mia casa, una mia macchina, benedetto da una famiglia, dalla salute e dalla gioia, e che avrei vissuto una vita felice. [1]

Non avrei mai pensato di finire per diventare un uomo così miserabile e lento.

Camminavo lentamente per la strada e guardavo il panorama. Mi sentivo stanco, ma non avevo voglia di tornare indietro. Mi fermai in un negozietto, ordinai noodles e una ciotola di zuppa, mi sedetti e mangiai. Fuori c'erano dei ragazzi delle superiori in uniforme: i ragazzi al giorno d'oggi erano piuttosto alti e vivaci. Passarono oltre colpendosi a vicenda.

Li fissai per un po', emozionato: ripensai a me stesso a quell'età, un ricordo chiaro, molto bello. Potevo ancora ricordare chiaramente la sensazione di correre verso la linea rossa durante le lezioni di educazione fisica.

E anche il viso di quel ragazzo alto che correva come una tartaruga, in piedi da una parte, che mi guardava e rideva.

Ricordai quel ragazzino, alle scuole medie, che mi urlava arrabbiato: "Fratello, corri più veloce! Metticela tutta!"

Risi per un bel po', come in trance, poi all'improvviso mi sentii sperso.

Avevo già finito di mangiare i miei noodles, ma rimasi seduto. Poi presi il telefono e scorsi una lunga lista di numeri. Alla fine esitai a lungo su un numero, poi mi decisi a premere per fare la chiamata. Rispose la segreteria.

"Yi Chen, so- sono io... Non so in che condizioni ti trovi, adesso..."

"Io- io... volevo chiederti dei soldi in prestito." Finalmente mi feci forza e lo dissi a voce alta. Mi sentivo la testa strana, addormentata, ma continuai in fretta a parlare: "Pensavo di comprare un piccolo appartamento, mi va bene che sia modesto e piuttosto economico. Ho ancora dei risparmi, quindi non dovresti prestarmi poi molto.

"Se non ti disturba, richiamami."

Una volta chiusa la conversazione, tirai un lungo sospiro. Era già tardi e non mi sentivo molto bene, quindi non avevo altra scelta se non tornare a casa. Tenevo la mano strettamente avvolta intorno al mio cellulare, per paura che non l'avrei sentito vibrare.

Ma fino al momento di andare a letto, non vibrò mai. Dormii, mi svegliai, ma non era cambiato niente.

Attesi un giorno intero, ma rimase sempre muto.

Il cellulare era ricoperto dal sudore che proveniva dalla mia mano, lo avevo tenuto stretto fino a renderlo bollente da quanto era caldo e sullo schermo c'era uno strato di condensa. Forse quel piccolo oggetto non sarebbe riuscito a reggere le mie alte aspettative, forse a forza di tenerlo in mano lo avrei rotto. Non volevo più tenerlo.

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