38. Forgiveness

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Non ho mai amato tanto i cambiamenti.

Sono una persona statica, che ha una propria routine ed odia quando gli altri le sconvolgono i piani. È difficile per me abituarmi ai cambiamenti, qualcosa di arduo da digerire.

Con Archer è stato così, mi è stato difficile abituarmi alla sua presenza e, dopo un mese, mi sembrava ancora strano a volte che noi ci "frequentassimo" solo per Mission Cupid. Ma ormai, nonostante quei momenti in cui mi sembrava strano il fatto che interagissimo, mi ero abituata alla sua presenza. Lo avevo accettato, forse forzata da forze maggiori, ma comunque ci avevo fatto l'abitudine ad averlo intorno.

Ci avevo fatto l'abitudine ai suoi messaggi, al suo ghigno, al suo modo di avvicinarsi e alle sue battute da cretino, ai suoi occhi chiari che mi scrutavano, alla sua risata quando gli rispondevo male, al suo modo di fare. In un mese mi sono abituata a tante cose e, lo ammetto, è successo tutto velocemente, così veloce che, una volta finito Mission Cupid e chiuso tutto, non sapevo più come riprendere la mia vita.

Perché il giorno dopo quel famoso giovedì 14 febbraio in cui tutto è terminato, mi sono sentita persa. Ho sentito un macigno sul petto, il dolore alla testa per le lacrime della sera prima e mi sono sentita spaesata. Ho pensato che fosse tutto un sogno, che la sera prima non ci fosse stata, che fosse solo un incubo creato dalla mia testa.

Ho preso il telefono e mi sono resa conto che no, era venerdì 15 febbraio, San Valentino era passato, nessun messaggio di buongiorno era presente sulla schermata e non perché fosse troppo presto, no, perché era quasi mezzogiorno e speravo che anche lui fosse stato fino a quel momento a dormire, che non fosse andato a scuola come me, che non mi aveva mandato nulla perché stava ancora dormendo e non per le parole della sera prima. E vorrei dire che lui probabilmente se n'era semplicemente dimenticato ma, per tutto il mese passato insieme, non si era mai dimenticato di infastidirmi dalle sei e mezzo del mattino.

Ho sentito un colpo al cuore, le parole della sera prima mi sono cadute addosso come un macigno e mi sono trattenuta ancora una volta dal piangere come una bambina. Ho preso un respiro profondo, ho cercato di fare ordine, di non pensarci, di non avere il pensiero fisso del fatto che lui, per una dannata volta, aveva ascoltato le mie parole e mi aveva lasciato stare. Quel giorno ho provato a dipingere, ma nemmeno la tela sembrava essere per una volta lo sfogo adatto. Mi sono limitata a disegnare linee senza senso, dettate dalla rabbia verso di lui, verso Mission Cupid, verso San Valentino, verso me stessa.

Quel pomeriggio è venuto a casa mia Luke, il quale ha provato ad uscire l'argomento, ma non ci è riuscito per niente perché gliel'ho impedito. Poi è arrivata Madison, che voleva spiegazioni da me per quanto riguarda tutta la situazione di cui era stata all'oscuro fino al giorno prima. Volevo spiegarle tutto, sputare ciò che era successo e mi era passato per la testa, mi ha chiesto come mai mi vedesse così male ed io non sono proprio riuscita a parlarle. Aprivo bocca e la mia voce usciva roca, come se stessi facendo uno sforzo immane ad articolare parole. Madison aveva trasformato quell'aura da piede di guerra con cui era arrivata in una più tranquilla, aveva rilassato il viso e si era offerta come spalla per qualsiasi cosa mi stesse affliggendo.

Quel giorno, quel 15 febbraio, l'ho vissuto io. Ero a conoscenza del cambiamento che era avvenuto in meno di 24 ore, ma non lo accettavo, era come se vivessi in una bolla.

E così è stato per altri due giorni.

Ho passato il sabato e la domenica nello stesso modo, mi sono distratta, mi sono informata sul college in cui sono intenzionata ad andare, ho studiato, ho perso tempo con il computer tra film Marvel e serie tv ma, soprattutto, ho ripreso a dipingere. Mi sono svegliata alle 2:43 di notte, sono andata in cucina a bere un bicchiere di acqua e, quando sono tornata in camera, ho soffermato il mio sguardo sul mio occorrente per dipingere. Ho risentito quella voglia matta di prendere il pennello, di sporcarmi le mani con la tempera, di rifugiarmi nel mio mondo.

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