Capitolo 5

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Rimanemmo lì per tutta la notte e il giorno successivo, così come tutte le altre sere dei mesi a seguire: Ofelia mi raccontò delle sue avventure in giro per il mondo, dove aprì altri locali come quello in cui avevo sorseggiato sangue dal calice di cristallo.

Mentre parlavamo, la mia mente andava ad altro, ai ricordi con lei e alla vita che avevo prima che mi lasciasse.

Ho trasformato Ofelia nel 3 d.C. e abbiamo passato i successivi duecento anni insieme, finché lei non mi ha lasciato per poter vivere da sola e assaporare ogni attimo.

Eravamo su una zattera, su qualche fiumiciattolo della Tanzania, e sembrava tutto normale. Giravamo il mondo e guardavamo i suoi cambiamenti.

La quinta regola sanciva che il potere dei clan doveva essere tramandato ogni cinquecento anni, ma tale precetto non è mai stato rispettato: il primo governo durò mille anni, vista la nascita di tutto nel 325 a.C. e una serie di dispute che hanno rallentato il tutto; il secondo durò circa ottocento anni, a causa della grande depressione del Medioevo e di alcuni vampiri incoscienti; così si arrivò al 1975 d.C., l'anno in cui mio padre prese tutto il potere del Clan Europeo.

Tuttavia era il 204 d.C. quando accadde. Stavamo parlando di cose totalmente normali, quando lei dichiarò le sue intenzioni.

«Secondo te Cesare ti cederà il potere dopo i cinquecento anni?» esortò Ofelia.

«Non lo so» ammisi. «Ci sono molti casini.»

«Già» mormorò lei. «Ascolta, Lestat...»

«Cosa?»

«Io sono davvero grata della vita nuova che mi hai donato e grazie a te ho provato così tante cose, ma... d'ora in poi voglio farlo da sola» dichiarò Ofelia.

«Così vuoi lasciarmi?» chiesi.

«Non è un addio» rispose subito. «Devi renderti conto che abbiamo vissuto gli ultimi centonovant'anni come amici. Solo per il primo anno è stato un vero matrimonio.»

Era vero e lo sapevo, ma non volevo lasciarla...

Mi limitai ad annuire e quella fu l'ultima volta che vidi Ofelia; la sentivo di tanto in tanto prima tramite lettere e poi via radio, ma alla fine persi ogni contatto con lei finché non mi raggiunse a Parigi ai giorni nostri. Sapevo solo che la sua vita era diventata spericolata, mentre la mia sempre più monotona e priva di emozioni. Almeno fino al 1° ottobre del 2000.

«Lestat, sta per partorire!» urlò Viktor al telefono.

«Sto facendo il più in fretta possibile» ribadii mentre correvo verso Sydney.

A mezzanotte in punto, allo scoccare della lancetta delle ore sul grande orologio, il mio cuore ricominciò a provare delle forti emozioni.

«Mirea, devi spingere. Pensa alla piccola Demetra. Non vede l'ora di uscire dal tuo ventre e abbracciarti. Pensa a lei» insistette Viktor.

L'ostetrica di fiducia mi fece prendere in braccio quella piccola creatura e il mio cuore esplose di gioia. Letteralmente.

La tenevo in braccio e non volevo nient'altro: era lei che desideravo. Provai per la prima e unica volta il Merak, l'amore esistenziale, con una bambina che non aveva nemmeno un'ora di vita e non volli altro se non quello.

«Lestat, com'è? Ti prego, passamela» sussurrò Mirea.

Non volevo, così dissi: «È bellissima.»

Accarezzai il visetto della bimba, che si mosse al mio tocco, e sorrisi.

«Lestat, posso parlarti?» mi chiese Viktor dopo aver osservato sua figlia con attenzione.

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