Capitolo 11

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Lestat Defendi

Non avrei mai pensato di la mia vita
Considerare quasi come una prigione,
In cui da entità dalle fisionomie imprecise
Vivo, se questa è vita, come una bestia.

Non c'è momento che non dimentichi, dolore,
Non c'è minaccia che non mi faccia rabbrividire, terrore,
Non esiste tortura che impressa
Sulla mia pelle non sia rimasta, frutto di crudeltà.

Imbarbariti, gli uomini senza volto a un rullo
Mi hanno legato facendomi dell'inferno
Le pene più crudeli patire, uomini disumani,
Che si eccitano nel seviziare innocenti.

I miei occhi, da tempo in parte vuoti, accese
Fiammelle vedono agli angoli della stanza,
Deboli luci arancioni che annegano nel buio,
Un'oscurità così densa da inghiottirmi.

D'improvviso i miei arti quasi strappati dal corpo
Sento, mentre un rumore di ingranaggi risuona fastidioso:
I miei occhi si spalancano, sprigionando debolezza
E dalla mia gola esce un urlo, quasi sordo, di strazio.

Mi affanno, sudo, grido continuando a lottare,
Giunto al limite della sopportazione, abbandonato,
Intanto che mi sovviene il tuo sorriso solare,
Un bagliore infuocato che mi riscalda.

Il supplizio al tuo ricordo affievolirsi di poco
Sembra, come se tu, papavero solo nei ricordi
Vivo, riuscissi a quietare questo pover'uomo
Costretto a vivere in un simile tugurio.

Come vorrei poter sfiorare il tuo vellutato volto,
Immergere il naso nel mare dei tuoi capelli,
Vederti volare come quel gabbiano, in eterno,
Ma, ora, sono qui, sotto tortura, a soffrire.

Una lacrima mi riga il viso inevitabilmente
Forse per paura di perderti per sempre, più di adesso,
O forse è solo una reazione del mio subconscio
Che a te sostituisce la notte, le fiammelle morte.

Una lacrima mi riga il viso inevitabilmenteForse per paura di perderti per sempre, più di adesso,O forse è solo una reazione del mio subconscioChe a te sostituisce la notte, le fiammelle morte

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