Capitolo 23

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Demetra Romano

Sbatto ripetutamente gli occhi finché questi non si abituano alla luce esterna: un bianco accecante irrompe nella stanza in cui mi trovo.

Alzo di poco la testa e, inspirando, mi rendo conto di essere in una stanza vecchia ma pulita.

Le coperte rosse riscaldano il mio corpo, mentre il soffitto mi protegge il capo con dipinti angelici i cui soggetti si dilettano con la musica di diversi strumenti. Accanto al letto morbido e gigante su cui mi trovo c'è un comodino che intravedo con la coda dell'occhio e sul quale – però – scorgo una vecchia radio marrone.

Mi metto a sedere e sobbalzo non appena vedo Luca, curvo su una sedia in un piccolo angolo buio della stanza.

«Luca!» squittisco.

«Sei sveglia» inspira lui, rimanendo dov'è.

«Che cosa è successo?» chiedo a bassa voce.

«Non ricordi?»

Nel momento in cui nella mia testa si intrufolano alcuni ricordi di ombre che mi circondano e passano oltre, un lungo brivido mi percorre la schiena.

«Hmmm... Sì...» mormoro. Alzo di scatto la testa e domando: «Tu stai bene? Lestat sta bene?»

«Sì, stiamo bene» sussurra Luca con tono infastidito. È a testa china; si alza inspirando rumorosamente e cammina verso un grande armadio, addossato al muro davanti a me. Tira fuori una gonna azzurra e una camicetta bianca e le adagia sul letto gigante.

«Ti aspetto fuori» dichiara senza aggiungere altro.

Annuisco debolmente ed esco dalle coperte non appena la porta si chiude dietro di Luca. Vado alla finestra e guardo fuori nella speranza di trovare qualcosa che mi aiuti a pensare.

Perché sono qui? Ma soprattutto, dove siamo?

Eugenio Defendi. Il figlio di Tancredi vuole vendetta per il padre? Non ha senso: perché portare anche Luca?

Cerco nell'armadio una borsa in cui mettere il diario di Lestat, quello che stringo al petto da quando ero all'aeroporto di Amsterdam, e dopo averla trovata mi vesto con il pensiero fisso di Eugenio. Poco dopo aver dato un'occhiata alla mia immagine nello specchio, esco dalla stanza e con mia sorpresa noto l'assenza di Luca, ma soprattutto il silenzio inquietante di questa casa.

Scendo le scale buttando l'occhio da una stanza all'altra e all'improvviso mi irrigidisco. I miei occhi finiscono sulla piccola porta marrone di ieri sera, quella oltre la quale è rinchiuso Lestat. Chiudo gli occhi per qualche secondo, cercando di calmare il battito del mio cuore, e metto la mano sulla maniglia, aprendo la porta lentamente. Scendo le scale e a bassa voce sussurro: «Lestat.»

Come sospettavo, non risponde. Cammino lentamente, trascinando i piedi sul pavimento di cemento, e mi avvicino alle sbarre, sobbalzando per il gelo del metallo non appena vi poggio le mani.

Sospiro e attendo che Lestat venga alla luce.

«Perché ti nascondi da me?»

Silenzio.

Perché?

Perché?

Tutta la tensione accumulata in questi giorni. Tutte le poesie che ho letto. Tutto questo tempo senza sapere. Tutti quei ricordi che mi tornano alla mente.

La gola si chiude e le lacrime salgono agli occhi: la vulnerabilità è tornata.

Che poi... piangere per qualcuno che si ama è davvero una debolezza?

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