10.

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Oggi è il giorno. Sono così in ansia da non aver chiuso occhio per tutta la notte e da non aver mangiato niente per colazione. Il mio stomaco è diventato grade quando una pallina da ping-pong.

Ross è passato dalla mia stanza per accompagnarmi alla piattaforma che accoglierà il suo elicottero privato. È stato bravo perché non ha detto una parola, ma si è limitato a tenermi la mano. Non ha neanche commentato quando ho iniziato a sbuffare e ad agitarmi.

Quando il jet arriva penso che potrei svenire. Il primo a scendere è mio padre con la sua espressione severa -la stessa che usava quando doveva rimproverarmi per qualcosa - seguito da mia madre che invece sorride apertamente. Sono pietrificata, le mie gambe non rispondono ai comandi, ma ci pensa Chris a salvarmi trascinandomi verso i miei. Mio padre mi stringe in un abbraccio frettoloso e abbastanza rigido mentre mamma mi si getta addosso e mi stringe forte. <<Piacere signora Adams sono Christopher Ross,>> dice tendendole la mano che mia madre stringe con entusiasmo. <<Piacere mio, signor Ross.>> Chris sfodera quel sorriso che utilizza quando vuole portare dalla sua parte qualcuno - gliel'ho visto utilizzare durante alcune compravendite e riunioni; il problema è che funziona sia con le donne che con gli uomini!- Roba da matti! <<Può chiamarmi Chris, signora.>> mamma è in un brodo di giuggiole. Vorrei sprofondare per la vergogna.

<<E tu puoi chiamarmi America, Chris.>> Quando ha imparato a fare la civetta?

<<E' un nome insolito il suo, ma molto bello e patriottico.>> mia madre ridacchia come una scolaretta mentre io e mio padre la guardiamo allibiti.

Papà, esasperato, emette un colpo di tosse richiamando a se l'attenzione. <<È un piacere fare la sua conoscenza signor Adams.>> Mio padre guarda la mano di Chris tesa verso di lui senza però dare alcun segno di volerla stingere. Eccolo, ci siamo.

<<Entriamo dentro. Sarete stanchi per il viaggio.>> Prendo la mano di Chris, sotto lo sguardo inceneritore di mio padre, e lo trascino verso l'interno.

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Siamo tutti seduti in una stanza adibita ad ufficio per Chris, che non sapevo avesse, - conoscendolo sarebbe stato strano il contrario! -, e che ricorda molto sia per i colori che per il mobilio il suo ufficio a New York.

Per il modo in cui siamo seduti sembriamo due fazioni opposte: da una parte ci sono i miei genitori e dall'altra io e il mio capo-finto-fidanzato. Nessuno di noi ha il coraggio di intavolare la conversazione, ma ci limitiamo a guardarci intorno o a fare commenti banali sul tempo. Solo mio padre ha lo sguardo fisso puntato su Chris.

Quando il silenzio sta diventando fin troppo assordante mi decido a tagliare la testa al toro. <<Papà... >> riesco a dire solo quella parola che lui interviene. <<Non voglio parlare con te, ma con lui.>> indica con la testa Chris. Qui si mette male.

<<Signor Adams mi permetta di spiegarle tutta la faccenda. >> Vedendo che mio padre non fa nessun cenno, Chris prosegue raccontandogli tutta la faccenda, sorvolando su dettagli tipo che mi ha baciato due volte e le strusciatine connesse. Gli sarebbe venuto un colpo come minimo!

Quando Chris finisce cade un silenzio di tomba. Mio padre si inizia a grattare il mento- brutto segno!- mantenendo lo guardo fisso su Chris che, poverino, inizia a dare segni di nervosismo.

<<Quindi tu avresti usato la mia bambina come diversivo per la stampa?>> Il tono usato è calmo, ma so che questo è sintomo che la tempesta si stia avvicinando.

<<Bè... si.>>

<<Come intendi risolvere la faccenda?>> Fa un cenno nella mia direzione con la testa. Bene, sono diventata un oggetto.

<<Intende quando torneremo a New York?>> Guardando Chris mi rendo conto che ha fatto questa domanda per prendere tempo, visto che non abbiamo mai parlato veramente di quello che accadrà al nostro ritorno.

<<Si.>> Papà lo guarda divertito. Ha capito che sta prendendo tempo. Decido di intervenire. Non può fare come se non esistessi e fossi solo una cosa da stabilire dove collocare. <<Papà non ne abbiamo ancora discusso. Mancano ancora due mesi al nostro rientro.>>

Lui mi incenerisce con lo sguardo. Il mio invece gli grida che non sono una bambina e che non mi spaventa più facendo la voce grossa. <<Non sei la sua segretaria qui. Ha una voce e voglio sentirlo parlare.>> mentre parla si sporge verso di me puntandomi il dito indice. Mia madre interviene posando una mano sul braccio di papà e lui leggermente si calma.

<<È come le ha detto Hope. Affronteremo la cosa più in là.>>

Ecco la tempesta... e al diavolo la calma! <<Questa recita non può durare a lungo, lo sa meglio di me. Quando tornerete a New York ci sarà la stampa a perseguitarvi. Che cosa farete allora? Andrete a vivere insieme? Dopo poco tempo fingerete di lasciarvi? Hope allora si ritroverà senza lavoro e circondata dagli sciacalli che non vorranno altro che fotografarla di continuo.>>

<<Signore le prometto che in qualsiasi caso Hope non resterà da sola. Potrei assegnarle una scorta oppure potrei... >> scuote la testa. <<Come le ho detto è troppo presto per parlare di queste cose. Bisogna valutare la situazione e le circostanze.>> Chris è calmo e razionale, sembra che stia discutendo sui pro e i contro per l'acquisto di qualcosa.

<<Vorrei parlarle da solo, da uomo a uomo. >> Papà ,vedendo che mi sono alzata anch'io, mi blocca. <<Non sei un uomo e parlerò con te più tardi.>>

Chris mi sorride sereno e segue mio padre fuori dalla stanza. Mi lascio ricadere sul divano e mia madre corre subito in mio soccorso sedendosi vicino a me e abbracciandomi. <<Perché? Perché fa così?>> le chiedo disperata.

<<È il suo modo per dimostrarti che ti vuole bene. Lo sai com'è fatto.>> Mi accarezza i capelli sciogliendo i nodi, che si sono venuti a creare, con le mani.

So che fa così perché mi vuole bene e perché vuole proteggermi, ma ho quasi ventisei anni e se continua a comportarsi in questo modo penso che rimarrò sola per tutta la vita. Vorrei solo che mi desse la possibilità di sbagliare e di porvi rimedio, ma da sola senza il suo intervento!

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