Sylver

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Poteva sembrare una giornata normale. Una giornata normalissima. E, in un certo senso, lo era: solite cose da fare, solita famiglia, solita sorella.

"Sylver, vieni a darmi una mano!" urló mia mamma, dal piano di sotto.

"Arrivo! Solo un attimo!" le urlai di rimando, voltandomi appena verso la porta aperta della mia stanza.
Non appena ebbi finito di parlare, mi voltai di nuovo verso la finestra, in attesa di vederlo: passava sempre alla stessa ora, era sempre incappucciato, aveva sempre quell'aria sospetta da criminale in fuga. Faceva sempre lo stesso giro, andando in centro città, per poi tornare, un'oretta dopo, passando per la strada dell'andata. Era un ragazzo alto e con un bel fisico, cosa che si notava, anche se coperto da una felpa pesante. L'avevo scoperto un giorno, mentre stavo andando a spedire una busta in centro città: stesso abbigliamento, qualche giorno prima. Avevo visto che si era introdotto a scuola.
Poi, tornando a casa, avevo notato che era piú avanti di me di qualche metro. Credevo vivesse nel nostro quartiere, il che era strano, dato che conoscevo tutti, lí.
Il giorno dopo, era passato davanti a casa, con lo stesso abbigliamento, mentre io aiutavo il giardiniere nel sistemare il giardino. L'avevo osservato attentamente.
Dopo un'ora, quando eravamo rientrati per la cena, era passato di lí ancora.
Cosí, giorno dopo giorno, avevo scoperto che quel ragazzo faceva sempre la stessa strada, sempre incappucciato, passando sempre alla stessa ora.
Una delle cose che mi chiedevo era che cosa ci facesse a scuola tutti i giorni per cosí poco tempo. Non avevo controllato che, effettivamente, entrasse a scuola tutte le volte, ma ero convinta che seguisse un certo percorso tutte le volte.
Ed eccolo, appena prima di pranzo, camminare velocemente davanti a casa nostra. Era, come sempre, incappucciato, la testa bassa, a nascondere il viso. Non faceva rumore, non uno scricchiolio sull'asfalto. Aveva qualcosa di inquietante e, allo stesso tempo, attraente.
Lo tenni d'occhio finchè non scomparve dalla mia vista.

"Sylver, sbrigati!" mi richiamó mia madre.
Ancora elettrizzata per aver visto lo strano ragazzo saltai giú dal letto e corsi velocemente al piano di sotto.
"Tesoro, ti ho già detto che devi camminare piano sulle scale. Rischi di farti male." mi rimproveró mia madre.

"Certo, mamma." risposi, con un po' troppa eccitazione, nella voce.
Mia madre si voltó a guardarmi, con la fronte corrugata per la confusione.

"Come mai stai sorridendo?" mi chiese.
Stavo sorridendo? Non me n'ero accorta.

"Scusa, mamma, è che-".

"Sí, molto interessante." mi interruppe lei, bloccando e scacciando le mie parole con un gesto svogliato della mano.
Il mio sorriso vacilló appena. Mi mossi, a disagio.
Mamma non era mai stata molto attiva ed attenta, con me. Con Stacey lo era molto di piú: mia sorella rispecchiava molto di piú i suoi standard di ragazza modello. Di certo, non si sporcava le mani ad aiutare il giardiniere come me.
"Tua sorella sta per tornare dalla settimana al lago e il giardiniere non trova piú i suoi attrezzi. L'ultima volta li hai usati tu, se non sbaglio. Quindi, aiuta il giardiniere a trovare le sue cose, poi torna dentro ed aiutami ad apparecchiare la tavola. Sai che Stacey pretende che sia meravigliosa." le sue labbra si incurvarono in un sorriso, pronunciando l'ultima frase.
Certo, avrei voluto sibilare, tra i denti.
Tutta la mia euforia svaní all'istante.
"Domani tornerai a scuola con tua sorella. Stai attenta che non si faccia del male.".

"Certo, ma, anche se me ne faccio io, non è importante." borbottai, un lamento quasi incomprensibile.

"Cosa?" scattó mia mamma.
Era chiaro che non avesse capito: lo confermava il suo sguardo confuso.

"Niente." sospirai.
Mi avviai verso la porta.
"Vado ad aiutare il giardiniere." conclusi.
Non aspettai la risposta di mia madre, prima di chiudermi la porta d'ingresso alle spalle.

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