Rowena

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Superai i corridoi che mi dividevano dalla camera di Lilith in pochi secondi. Ero fuori di me, la rabbia e la derisione nei miei confronti che mi corrodevano da dentro. Mike mi aveva presa alla sprovvista. Mi aveva ingannata. E io non potevo sopportare un insulto del genere. Non io. Non a me. Avevo pianificato tutto. E lui non poteva mandare in fumo tutto per una piccola scappatella amorosa. Scappatella non nel senso di avventura amorosa, ma nel vero senso della parola, cioè una fuga.
I miei tacchi picchiettavano contro le rocce del pavimento, lo scroscio della pioggia al coperto.
Mike non avrebbe mai avuto Lilith.
Arrivai velocemente al corridoio della stanza di Lilith. Era un piccolo corridoio, non lontano dalla mia camera, ma lontano dalla piccola stanza in cui avevo parlato con Dimitri.
La mia rabbia aumentó, al pensiero di quel succhiasangue che mi sussurrava all'orecchio quello che Mike stava facendo alle mie spalle. Odiavo il fatto che non fossi riuscita a prevedere un tradimento da parte di quel piccolo licantropo. Odiavo il fatto di avergli dato una seconda possibilità quando non avrebbe dovuto averne nemmeno una. Ma, questa volta, non avrebbe avuto un'altra possibilità, un nuovo modo per ingannarmi. Aveva già interferito troppe volte nei miei piani. Stacey non poteva fare nulla per impedire la sua morte, dopo il suo evidente tradimento.
Le prove della scaltrezza e della tenacia di Mike bruciavano come il fuoco che aveva divorato il villaggio in cui eravamo vissute io e mia sorella, nei miei ricordi.
Mi bloccai, ricordando il volto di Lilith, che, probabilmente, ora stava parlando con Mike, oltre la porta che mi separava dalla sua stanza. I ricordi mi investirono, come un treno lungo binari confusi, ma, allo stesso tempo, nitidi. Avevo sempre cercato di dimenticare il volto di Reina morta, il suo corpo coperto dalle macerie della nostra piccola casa, un piccolo bambino al suo fianco. Il mondo vorticó, davanti a me, in un unico piccolo secondo. Cercai di bloccare le mie mani dal tremare convulsamente. Le mie labbra, peró, riuscirono a farlo ugualmente. Le serrai, per bloccarle. E fu allora che rivissi tutto.
Potevo ancora sentire il calore del fuoco dell'incendio sulla mia pelle, mentre l'aria fresca della sera mi alleviava dal terribile bruciore delle fiamme sui miei vestiti, mentre cercavo di liberare il corpo della mia ormai defunta sorella da alcune assi di legno spezzate ed annerite, che erano cadute sopra di lei. Avevo il fiato corto. Cominciai a sudare.
Poi, la notte mi inghiottí totalmente. E non riuscii piú a distinguere il ricordo dalla realtà.

"Reina!" gridai.
I miei occhi vagavano sul villaggio in fiamme, un fiume di persone che mi avvolgeva e cercava di portarmi con sè, mentre tentavo di andare contro corrente. Mi coprii gli occhi con una mano, per evitare di essere accecata dalla luce abbagliante dell'incendio che stava divampando e si stava lentamente diffondendo in tutta la foresta.
"Reina!" ripetei.
Le grida delle persone che mi attorniavano, fuggendo, coprivano la mia voce, insieme con il rumore di case che crollavano a pezzi e che venivano bruciate. Era tutto inghiottito dalle fiamme. Il fuoco stava distruggendo tutto.
Reina non rispondeva. Era totalmente inutile tentare di cercarla nelle zone al riparo dalle fiamme o quelle non ancora bruciate: lei non era lí.
Mi avvolse un terribile, ma inevitabile, pensiero: Reina poteva essere ancora a casa, sotto i resti della nostra casa.
Cercai di farmi spazio tra le persone a gomitate, mentre avanzavo verso il fuoco.
Lasciatemi passare!
Finalmente, riuscii a trovare un buco tra le persone in fuga, quindi fuggii nella notte.
Corsi come non avevo mai corso prima di allora, alla ricerca della vita, della vita di mia sorella, della mia famiglia.
"Reina!" gridai, mentre cercavo di superare il villaggio distrutto.
Un asse infuocato cadde proprio accanto a me, dando fuoco ai miei vestiti. Imprecai, cercando di spegnere le fiamme dal tessuto che mi avvolgeva, mentre cominciavo già a sentire il bruciore avvolgermi. Avrei dovuto fare i conti, successivamente, con macchie di pelle bruciata. Ma non erano niente, in confronto con la vita di mia sorella.
Ripresi a correre, stando attenta ad eventuali altri resti che avrebbero potuto crollarmi addosso.
"Reina!" gridai di nuovo.
Ancora, nessuna risposta.
Dopo quelli che mi sembrarono essere interminabili secondi, dopo alcuni terribili passi, come se stessi camminando sulle sabbie mobili, vidi la nostra piccola casa di legno. In fiamme. Ogni mio passo era un momento in piú in cui Reina sarebbe potuta essere morta. Proprio sotto quella casa a pezzi.
Gli occhi mi si inumidirono di gioia: finalmente, ero riuscita a raggiungere quel piccolo angolo di villaggio in cui io e Reina ci eravamo nascoste da sempre.
"Reina!" gridai di gioia, nella speranza che Reina uscisse dall'ombra degli alberi che attorniavano la nostra casa.
Ma Reina non comparve da nessuna parte.
Mi precipitai tra le macerie della casa, ancora coperte dal fuoco, che bruciava tutto e portava via con sè ogni cosa incontrasse sulla sua strada.
Vagai su quei resti, nella speranza di non vedere nulla che somigliasse ad un viso od alla parte di un corpo umano. Sperai di non vedere parti rosa o parti rosse, né qualche colore che richiamasse il corpo od i vestiti di Reina. Avevo il cuore che batteva a mille.
Stavo quasi per sospirare di sollievo, alla vista di un'ombra scura che correva, al limitare del bosco.
"Reina!" gridai.
La figura si voltó appena, mentre correva, un rapido sguardo nella mia direzione. Sufficiente appena per farmi capire che quella non era la figura di Reina, ma la figura di un uomo. Un uomo che odiavo.
James.
Stava fuggendo anche lui dall'incendio, come tutti gli altri. Ma Reina non era con lui.
Il suo sguardo sembrava volersi scusare con me. Ma per cosa?
Un'asse di legno crolló a terra, poco davanti a me, dall'esile scheletro dell'edificio, l'ultimo resto ancora in piedi.
Osservai le fiamme che lo inghiottirono. E la vidi.
Reina.
Era bella, come sempre, il suo viso sereno, anche se un'asse di legno le stava schiacciando le costole, anche se era fin troppo pallida per essere ancora viva.
Crollai sulle ginocchia, in mezzo al fuoco. Sentivo la testa girare, il colore che mi defluiva dal viso, mentre fissavo il corpo di mia sorella ardere, inerme. Avanzai, bruciando, fino al corpo di Reina, ormai morto.
"Reina...?" la chiamai, mormorando.
Nessuna risposta.
Cercai in tutti i modi di spostare l'asse di legno che la schiacciava, ma fu tutto inutile: era troppo pesante.
Il cuore non si fermava, non smetteva di battere all'impazzata. Sentivo il dolore per le bruciature ed il panico crescermi nel petto.
"Aiuto!" gridai, disperata, a nessuno in particolare.
"Aiuto!" ripetei, poco dopo.
Osservai il corpo della mia defunta sorella. Sembrava stesse solo dormendo.
"Aiuto...." mormorai, di nuovo, senza piú convinzione.
Nessuno sarebbe venuto in mio aiuto. Nessuno avrebbe osato affrontare la violenza del fuoco che distrugge e divora tutto, nessuno avrebbe rischiato la propria vita per una ragazza per cui, ormai, non ci sarebbe stato piú nulla da fare.
Lacrime calde mi bagnarono il viso, mentre scoppiavo in un singhiozzo disperato.
Non avevo ancora cominciato a piangere davvero, ma mi sembrava che i singhiozzi si ripetessero, alle mie orecchie. No, non erano miei quei singhiozzi: erano di un bambino.
Mi guardai attorno. Un bambino era steso, nudo, le mani e gli occhi chiusi, la bocca spalancata, avvolto dalle fiamme, e stava piangendo, singhiozzando, alla ricerca della mamma. Ed era accanto a Reina. Una sua manina era ancora nella mano di Reina.
No!
Reina aveva partorito. Aveva partorito. Mentre io stavo cercando un aiuto per lei, un dottore che sapesse dirle cosa avrebbe dovuto fare mentre il bambino nasceva, Reina aveva partorito. Senza di me. Senza nessuno, accanto a lei, a darle conforto. Ed era morta sotto le macerie della nostra casa. Mentre James stava fuggendo.
Deglutii. Rividi l'immagine di James che mi guardava con uno sguardo di scuse. Lui era fuggito, abbandonando Reina e il suo bambino.
Non riuscivo a sentire altro che la rabbia salire, dentro di me.
Reina è morta e lui è fuggito....
Portai istintivamente lo sguardo sulla foresta di fronte a me. Ormai, la figura di James era scomparsa. Dagli alberi, appariva solo una lugubre oscurità, che stava assistendo a quella terribile tragedia.
Mi voltai di scatto, non appena avvertii un tonfo accanto a me: un'ombra scura si era accasciata al mio fianco. Balzai indietro, sconvolta: era la figura di un uomo nudo, coperto di graffi e di fuliggine, il suo respiro debole.
Presi subito il bambino in braccio e tentai di scappare di lí. Ma mi fermai, non appena l'uomo tentó di richiamare la mia attenzione.

"Non puó essere spostata l'asse: la ragazza è stata trafitta." mormoró debolmente.
Trafitta.
Osservai il corpo di Reina, coperto dalla trave. Ma era vero: un'altra trave spuntava dal suo corpo inerme, macchiato di sangue e coperto dal fuoco.
Spalancai gli occhi. Reina era stata trasformata, pochi giorni prima, quindi l'unico modo per morire, per lei, era stato quello di essere trafitta dal legno. E la nostra casa era fatta di frassino, il legno con cui si costruivano i paletti per uccidere i vampiri.
Ma come faceva quell'uomo a saperlo?
"Per favore. Aiutami. Ho sentito che sai tante cose sui vampiri e sui licantropi. L'ho sentito mentre venivo qua. Mentre prendevo una fiaccola e davo fuoco a questo posto. Ma non sono stato io! È stato il lupo! Il lupo mi ha morso, ero con la mia famiglia, poi non c'è stato piú niente!" mormoró debolmente l'uomo, senza guardarmi.
"Per favore." ripetè, subito dopo.
Rimasi un istante ad osservarlo: quell'uomo era particolare, ma sembrava sapere quello che era successo, anche se a sprazzi.
Mia sorella è morta. Per colpa di James. Per colpa sua. Per colpa dei vampiri.
Per un attimo, per un folle attimo, un'idea mi colpí in pieno. Ma fu proprio quell'idea che mi permise di diventare quello che sarei diventata dopo vari secoli.

"Chi sei?" gli chiesi.
Il mio tono era guardingo, gli occhi fissi su di lui.
É stato il lupo! Il lupo.
Il bambino non smetteva di piangere, contro il mio orecchio, ma non lo allontanai. Anzi, lo strinsi ancora di piú a me, indietreggiando di un passo.
Quell'uomo era il lupo, quello delle leggende, il nemico dei vampiri, quell'essere che ululava alla luna piena e che si svegliava sotto forma di umano, dopo aver passato la notte a compiere una strage di vite innocenti.
L'uomo gemette, un verso simile al guaito di un cane, mentre si raggomitolava su se stesso.

"Aiutami...." sussurró, con un filo di voce, che sentii a malapena.
Subito dopo, la sua mano si aprí e le sue unghie si conficcarono nel terreno, con una violenza tale da fargli tendere anche i muscoli del collo.
"Faró tutto quello che vuoi, ma, ti prego, aiutami! Il lupo é qui, lo sento! Non mi lascia stare!" mi supplicó.
Improvvisamente, avvertii altri singhiozzi. Non del bambino che tenevo in braccio, non miei.
Quell'uomo stava piangendo. Di fronte a me.
Se c'era una cosa che sapevo sui licantropi era che erano spietati ed assetati di sangue, incontrollabili. Ma lui sembrava cosí indifeso, cosí sofferente, cosí umano, non solo nell'aspetto.
Sa anche cos'è successo.
Non riuscii a resistere all'impulso di aiutarlo. Non avrei voluto che qualcun altro morisse, quella notte. Nemmeno uno sconosciuto nudo e delirante, in mezzo a quell'incendio.
Non avrei permesso che quell'uomo morisse per colpa mia. Ed il mio gesto fu presto ricambiato. Da colui che, dopo alcuni mesi, sarebbe diventato conosciuto come il Capitano.

Sbattei le palpebre, improvvisamente di nuovo alla realtà.
Era arrivato il momento di farla finita con Mike. O lui o mia sorella. E non avevo dubbi nel compiere questa scelta.
Allungai la mano verso la maniglia della porta di fronte a me. La abbassai. E spalancai la tavola di legno segnata dal tempo, per guardare negli occhi il traditore del mio regno.
Non appena lo feci, Mike ricambió il mio sguardo. E, da quello, capii che sapeva cosa stava per succedere, come se, quasi, avesse voluto che succedesse.

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