Rowena

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Avevo la bocca e la gola secche per la rabbia. Ringraziavo il mio fondotinta abituale per aver coperto, fin da quando erano comparse, le macchie rosse che avevano colorato i miei zigomi affilati. In quel momento, avrei voluto partecipare anch'io alla festa, solo per poter ballare anch'io con il Capitano. Mi sembravo una bambina capricciosa a desiderare una cosa del genere, ma non riuscivo a levarmi dalla testa l'immagine di Lilith che ballava con il Capitano. Non avevo avuto idea che il Capitano sapesse ballare cosí bene, in modo cosí normale, cosí sensuale.
Il bicchiere di vetro che tenevo in mano si ruppe improvvisamente, ferendomi il palmo della mano e facendo colare le ultime gocce di acqua che erano rimaste sul fondo del bicchiere per terra. Piegai la bocca in una smorfia di disappunto, al pensiero di dover chiamare un servitore, per pulire qualche pezzo di vetro e poche gocce d'acqua, un compito che avrebbe potuto essere stato facilmente affidato a me. Non mi faceva paura qualche scheggia nè i graffi che mi avrebbero causato.
Lasciai che qualche goccia di sangue colasse a terra, insieme al resto dei cocci, mentre tornavo a guardare la sala, gremita di persone. Erano tutti miei sudditi, tutti sotto il mio controllo. Ma non Lilith: lei si ostinava ad inseguire quei due succhiasangue, senza pensare a cosa le avevano fatto, a cosa avevano fatto a Reina.
Reina è morta per colpa loro! E loro sono ancora vivi!
Lilith non riusciva a capire quanto male le stessero facendo, ma nemmeno quanto male facesse a me vederli vivi.
Non se qualcuno li uccidesse.
Rimasi immobile, nella mia posizione, in piedi, sul palco che avevo fatto costruire per controllare i miei sudditi, il mio popolo. L'idea di azzannare i colli dei due vampiri, che mi privavano di Lilith, dell'odio da parte sua nei loro confronti, era allettante. Forse, piú che allettante: era liberatoria. Forse, se avessi ucciso quei due uomini, sarei riuscita a superare il trauma, forse, se li avessi uccisi fin da subito, il mio regno non sarebbe stato sul punto di crollare. Ma, come aveva detto il Capitano, pochi giorni prima, era stata la mia rabbia a far arrivare tutto quello che avevo costruito al collasso. Tutto sarebbe finito nel giro di qualche giorno. Forse, addirittura di qualche ora.
Mi mossi velocemente: se nessuno mi avesse vista uscire dalla porta della sala, nessuno si sarebbe posto domande su di me, su quello che stavo per fare. Alzai la gonna del vestito lungo che avevo indossato per l'occasione, uno dei tanti che non avevano mai visto la luce, da quando erano stati creati dai miei stilisti.
Un vestito adatto per uccidere.
Scesi i primi gradini del palco con grazia e tranquillità, abituata a quel gesto ormai da tanto tempo. La folla era impegnata in danze e banchetti. Nessuno si sarebbe accorto della mia scomparsa dalla sala.
Nessuno se non il Capitano.
Derek....
Fulminai il Capitano con lo sguardo, quando lui mi lanció un'occhiata accusatoria. Avrebbe dovuto coprirmi, cercare di farmi fuggire di lí senza farmi fare destare sospetti. Lui sapeva quello che stavo per fare, lo leggevo nei suoi occhi.
Allora, lasciami andare.
Ma, come suo solito, lui non aprí bocca: non lo faceva mai, in pubblico, se non interpellato. Forse, era anche per questo che l'avevo designato come mia guardia personale. Un uomo che avrebbe saputo mantenere qualsiasi tipo di segreto e che avrebbe saputo nascondere qualsiasi tipo di piano.
Mi voltai verso la porta di uscita. In quanto mia guardia del corpo, mi avrebbe protetta da Dimitri, nel caso mi fossi imbattuta in lui. Forse, era questo il messaggio che stava cercando di darmi, attraverso il suo sguardo.
Ma mi sbagliai: dietro di me, fermo, in un angolo, era appostato quello che mi sembró essere Nick. Il suo tremito era inconfondibile, l'espressione della paura e l'immagine del suddito ideali. Ma sapevo che quella guardia, in realtà, nascondeva una grande tenacia, un grande spirito di obbedienza e lealtà incondizionato dalla paura.
Il suo sguardo parlava da solo: aveva visto qualcosa che meritava la mia attenzione, gli occhi quasi sbarrati, lo sguardo che si alternava da me alla porta d'uscita. Una scusa perfetta per uscire da quella stanza.
Mi avvicinai alla guardia con passo leggero e tranquillo, come se fosse tutto normale, come se Nick non avesse un'informazione di vitale importanza per me. Ma conoscevo Nick. Lo conoscevo abbastanza bene da averlo incaricato come mio ufficiale informatore segreto, un titolo che sembrava quasi paradossale, ma che aveva una sua logica dietro: mi informava su tutto quello che io avrei dovuto sapere, su quello su cui solo io avevo il diritto di sapere.
Non appena ebbi raggiunto Nick, lui mi portó fuori dalla stanza con un braccio intrecciato al mio. Manteneva le apparenze, proprio come stavo facendo io. Una buona guardia, un'ottima guardia.
Ma non riuscì a trattenersi fino alla nostra uscita dalla sala, perché mi sussurró velocemente all'orecchio poche parole, prima ancora di aver varcato la soglia della stanza.

"Dimitri è con lei. Nella sua camera.".
Non mi serví altro. Lanciai una veloce occhiata al Capitano, che capí tutto. E mi seguí.

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