Dimitri

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Lo sparo echeggió nelle mie orecchie. Attorno a me, si diffuse un fischio assordante, che sembrava non disturbare il resto delle persone nella stanza. Sembrava lo sentissi solo io. Come sembrava sentissi solo io quelle parole, che continuavano a ripetersi, nella mia mente.
É finita. É finita.
Ma la paura non voleva abbandonarmi.
Controlla. Controlla che sia morta. Non lasciarla andare. Non commettere lo stesso errore che hai commesso molti secoli fa.
L'adrenalina scorreva nelle mie vene, violenta, senza pietà, mi procurava un dolore che non avrei provato, in altre situazioni. Era una tensione difficile da sopportare.
Non si ripeterà.
Un errore come quello che avevo compiuto secoli e secoli prima non si sarebbe ripetuto. Ma avrebbe potuto anche essere direttamente evitato.
Le immagini di quella lontana notte, di quella notte senza stelle, una notte dall'aria satura di fumo e di sangue, si sovrapposero, per un attimo, alla figura di Rowena, stesa a terra, priva di vita, con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, come se, prima di morire, fosse stata sul punto di dire qualcosa che nessuno avrebbe piú potuto sentire. Qualcosa che era rimasto bloccato tra le sue labbra e nella sua gola.
La guerra é appena iniziata.
Queste erano state le sue ultime parole. Parole d'odio, parole che avrebbero potuto realmente far scoppiare una guerra al pronunciarsi di un suo comando.
Non lo negavo: Rowena era stata una perfetta regina, capace di governare al meglio il suo regno, capace di non farsi sopraffare da nessun uomo o donna che si era mostrato piú forte e piú potente di lei. Era riuscita a perseguire il suo obiettivo.
Fino a quando non ha capito che il suo obiettivo non poteva essere realmente raggiunto.
Forse, l'obiettivo di Rowena era stato quello di riportare in vita sua sorella. Forse, era stato quello di rendere Lilith la sua erede al trono. Forse, era stato quello di uccidere James, con il solo obiettivo di vendicarsi per la morte della sorella. O, forse, il suo unico, vero obiettivo ero stato sempre e solo io, il vampiro che aveva trasformato James e che aveva permesso la distruzione completa della sua famiglia.
Non sapevo a quale di queste possibilità avrei dovuto credere. Sapevo solo una cosa: qualunque fosse stato l'obiettivo di Rowena, nessuno l'avrebbe mai scoperto. Tutti i segreti di Rowena erano morti con lei. Nessuno avrebbe piú potuto rivelarli.
Non proprio nessuno.
Strinsi i denti, mentre riconsegnavo la pistola alla guardia che si era avvicinata, portando il cuscino di velluto su cui riporre la pistola scarica. Tenevo gli occhi fissi su Rowena, come per paura che potesse rialzarsi da un momento all'altro, come se temessi che il suo corpo, steso a terra, con un volto ormai senza espressione, fosse, in realtà, tutta una bugia, una finzione, per potermi cogliere alla sprovvista e conficcarmi il suo paletto nel cuore. Un'ultima volta. Prima che potessi essere io la persona morta e non lei.
Tentai di mascherare il tremore delle mie mani mentre riponevo delicatamente l'arma al suo posto.
Il fischio non dava segni di voler andarsene dalle mie orecchie, l'ultima tortura che Rowena mi stava infliggendo, prima di andarsene completamente. Uno sguardo veloce alla sala mi diceva che, effettivamente, quel fischio era una mia personale tortura. Nessun altro stava dando segni di fastidio all'udito, se non io.
Le labbra di Rowena sembravano stessero sorridendo, un ghigno malevolo, come se sapesse cosa stavo soffrendo. Ma era tutto il frutto della mia immaginazione, lo sapevo.
Alzai lo sguardo dal corpo di Rowena. Se non fossi uscito da quella sala in quel momento, temevo avrei potuto commettere gravi errori, errori che non mi sarebbero piú stati perdonati. Da nessuno. Forse, nemmeno da Lilith.

"Portatela via." ordinai alle mie guardie, che erano rimaste attorno a Rowena, chiudendola in una cella invisibile, da cui non era piú riuscita a scappare.
Le mie guardie si mossero all'unisono, sollevando ed allontanando il corpo di Rowena dalla mia vista.
Ancora poche parole ed avrei potuto ritirarmi dalla vista di tutte quelle persone che mi stavano osservando, in attesa che dicessi qualcosa.
Cercando di non mostrare il tremore delle mie gambe, l'adrenalina, che non sembrava voler andarsene, mi voltai e salii i gradini di marmo che mi avrebbero portato al trono. Tenni lo sguardo fisso davanti a me, le spalle tese, la postura rigida e composta. Non mi era permesso mostrare altri miei lati, negativi o positivi che fossero.
Quando raggiunsi il mio maestoso trono di legno, mi voltai, lentamente, lasciando che il mio sguardo percorresse tutta la sala. Ció che vidi mi scaldó il cuore e mi permise di alleviare quella sofferenza che mi stava attanagliando il petto.
Mi lasciai andare ad un lieve sorriso, un sorriso di gratitudine e coraggio, che rivolsi al mio popolo e che ero convinto non avrebbe violato le leggi che io, in quanto re, avrei dovuto seguire, riguardo il mio comportamento in pubblico. Nessuno se ne accorse, perché nessuno rimase stupito, nell'osservarmi. Ma sapevo che tutti ne avrebbero parlato, una volta che se ne fossero accorti.
"Signori, vi ringrazio ancora per essere rimasti con me, in questo giorno infelice e doloroso! Ora, posso felicemente dichiarare decaduto il regno di Rowena, per l'affermazione di una pace, all'interno del mio regno, che durerà, per quello che mi é concesso di sperare e di vivere, per sempre! Tornate alle vostre case e diffondete questa notizia! Il vostro re tenterà di impedire ogni tipo di minaccia a questa pace! Non temete: il passato non distruggerà piú le vostre vite, come ha fatto fino ad ora." annunciai, con una vera gioia nel petto.
Man mano che pronunciavo quelle parole di esultanza e di vittoria, cominciavo a capire ció che era realmente accaduto: ho vinto.
Ho vinto. Rowena é morta. Ho vinto io.
Le persone, nella sala, cominciarono a parlare, sovrastando, a poco a poco, quel fastidioso fischio che aveva continuato a martellarmi nelle orecchie durante tutto il mio discorso. Vidi occhi accesi, sorrisi di gioia, donne che si coprivano la bocca con le mani, incredule, bambini che guardavano i genitori, confusi, non capendo a pieno le mie parole.
Rimasi ad osservare quella piacevole scena per qualche minuto, compiaciuto per tutta la gioia che stava nascendo, pian piano, nella stanza.
Mentre stavo osservando la scena, intravidi una persona, sul fondo della stanza, una mia guardia, al centro, tra le grandi porte aperte. Il suo sguardo era eloquente, non aveva bisogno di una qualche esplicitazione, per essere compreso.
Lilith si sarebbe svegliata da un minuto all'altro. Questo é quello che mi stava dicendo la guardia. E io non mi sarei perso per nulla al mondo il suo primo risveglio. Perció, aprii le braccia verso il mio popolo, dimenticando tutto il dolore che avevo subito e che avevo causato, con l'uccisione di Rowena.
"Signore e signori, un evento di estrema importanza mi richiama da questa stanza, per recarmi in un altro luogo! A breve, la principessa Lilith si risveglierà. Sono, perció, costretto a lasciarvi, ma con la gioia dell'inizio di questa nuova felice epoca in questo nostro regno.".
Mi diressi verso la guardia sul fondo della stanza con una calma che mi faceva contorcere dall'agitazione.
Solo una volta che avevo varcato la soglia della sala, abbandonai quella camminata calma ed elegante, tipica di un re, per adottare una camminata piú veloce, piú simile a quella di un comune vampiro.
"Ci sono stati problemi?" chiesi, quasi temendo la risposta.
Ma la guardia, di cui sapevo a malapena il nome, placó il mio timore sul nascere.

"No, Vostra Maestà, nessun problema. La principessa ha dormito per tutta l'esecuzione, senza dare segni anomali di dolore.".

"Quanto manca?" domandai, impaziente.
A distanza di qualche minuto, forse di qualche secondo, Lilith sarebbe stata completamente una vampira, pronta ad essere incoronata regina e a governare al mio fianco. Il sangue ricominció a pulsare, nelle mie orecchie.

"Cinque minuti. Forse, sette. Ma la pelle della principessa presenta già il pallore tipico dei vampiri. Quindi, non le darei troppo tempo. Sicuramente, non piú di otto minuti." mi spiegó la guardia.
Nel mentre che stavamo parlando, eravamo arrivati di fronte alla mia stanza. Ci fermammo di fronte alla maniglia.

"É tutto pronto?" chiesi.
Non sarei riuscito ad essere tranquillo, in una situazione simile, nemmeno se avessi dovuto affrontarla in una qualsiasi giornata calma e non appena dopo aver ucciso la mia peggior nemica.
La guardia si voltó verso di me.

"Abbiamo preso parte della sua scorta di sangue. Non avevamo altri mezzi, a causa dei rifornimenti dei soldati." mi informó, gli occhi fermi, ma, allo stesso tempo, colpevoli.

"Era proprio quello che volevo che faceste." lo informai, sorridendogli apertamente.
A volte, mi sembrava quasi contro natura non sorridere, dopo tutto quello che avevo passato.
La guardia si inchinó di fronte a me e si allontanó dalla porta, per fermarsi poco lontano, accanto al muro, nel caso ci fossero stati problemi.
Io, invece, afferrai il liscio pomello d'ottone, cosí familiare alle mie mani, e lo girai. Aprii la porta ed entrai.

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