Mike

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Avevano avuto i loro buoni motivi per credermi sulla parola. Forse, ero stato convincente. Forse, avevano visto la disperazione nei miei occhi, mentre parlavo.
Tengo alla loro figlia.
L'avevo detto davvero, avevo davvero detto ai genitori di Lilith che tenevo alla loro figlia?!
Questo, sicuramente, aveva favorito e velocizzato il mio intento di convincere quei due genitori a consegnare nelle mie mani la loro primogenita, ma su che base avevano creduto alla mia parola? Ero solo un licantropo, dopotutto.
Ammettere a me stesso questa verità era sempre come ritrovarsi un masso sul petto. Non che ad un licantropo desse troppo fastidio: la sua forza non avrebbe incontrato opposizioni da parte di una roccia. Ma un masso schiaccia. Ad un qualsiasi uomo sia che questo sia un licantropo od un umano, un masso sul petto toglie sempre il respiro.
Soprattutto se non programmato.
Mi aggrappai ad un tronco per tornare dalla mia regina, mentre osservavo la coppia di genitori allontanarsi e sparire tra gli alberi, diretti verso la città. Sperai che la mia regina non avesse mandato altre guardie a seguirli e, forse, anche ad attaccarli.
Serrai la mascella mentre un brivido mi percorreva la schiena, al ricordo della pistola d'argento puntata contro di me, mentre tentavo di difendere il signor e la signora Mooney.
Zoppicai fino all'albero successivo, costringendomi a non pensare a quell'immagine, impressa nella mia testa come l'immagine del coltello d'argento che si era conficcato nella mia gamba ed era diventato incandescente.
Mi bloccai, cercando di riprendere fiato. Mi guardai attorno. Non c'era nessuno, lí con me, e non avevo la minima idea di dove fossero andati la mia regina ed il Capitano.
Avevo la gola secca per il dolore, sia alla gamba ancora leggermente sanguinante, in alcuni punti, sia per il ricordo dell'incubo che mi aveva avvolto appena la notte prima.
Un incubo.
Forse, era un termine ancora troppo leggero per definire tutto quello che avevo sofferto.
Presi un respiro profondo, cercando di scacciare le immagini confuse che si accavallavano nella mia mente. Scossi la testa, ormai quasi disperato. Avevo cosí tanto bisogno di un briciolo di umanità, in quel turbine di creature sovrannaturali e dolore. Forse, era per questo che avevo cercato di convincere i genitori di Lilith a consegnare la loro figlia alla mia regina: avevo cercato un contatto con dei semplici umani, avevo cercato di ottenere l'umanità dopo che mi era stata strappata via all'improvviso, senza che potessi nemmeno rendermene conto.
Chiusi gli occhi. Non per ascoltare il silenzio che dominava la foresta attorno a me, nè per cercare di dimenticare questi pensieri: stavo cercando di bloccare le lacrime calde che mi stavano inondando la vista, rendendo tutto il mondo ancora piú confuso.
Avevo perso tutto. Nel giro di una notte, ero stato spazzato via dal mio mondo, dalla mia famiglia, dalla mia semplice vita quotidiana, senza che potessi fare nulla, per impedirlo.
"Mike!".
L'immagine di Lilith tra la neve, di Lilith disperata, che cercava di allungarsi verso di me, nel tentativo di salvarmi dalla fine, mi invase la vista.
Aprii gli occhi. Serrai la mascella di nuovo, questa volta non per frustrazione, ma per determinazione: ora, avevo ottenuto Lilith, la ragazza che aveva cercato di sottrarmi a questa tortura, a questa fine a cui ero andato in contro. La stessa ragazza che avevo amato fin da quando eravamo diventati amici.
Avanzai di un passo su un ramo secco, che si spezzó, sotto il peso del mio corpo. Il rumore si propagó, nella foresta, facendo volare qualche uccello fuori dal suo nido, gracchiando per il fastidio dovuto a quel sordo rumore. Uno di questi mi voló proprio di fronte al viso, provocando un altro rumore di rami rotti. Ma questi erano tanti. Ed il rumore era piú simile a quello di ossa rotte.
Urlai, non appena un dolore lancinante mi penetró nella testa, dalla bocca, per tutto il corpo, fino alla ferita alla gamba sanguinante, che cominció a pulsare, aumentando la mia agonia.
Non riuscivo a pronunciare alcuna parola, nè a chiedere aiuto. Avevo gli occhi strizzati per il dolore, gocce di sudore che mi percorrevano la schiena coperta da una sottile maglietta già di per sè bagnata di neve e fango.

"Provaci ancora una volta! Un'altra volta! E questa testa che ti ritrovi finirà dritta in una colata d'argento fuso." il suo alito mi entrava in bocca, da tanto vicina che era, la rabbia, nella sua voce, mi percorreva le ossa della mandibola, ormai frantumate.
Non osavo aprire gli occhi, vedere quei perfidi occhi chiari scavare dentro di me, alla ricerca del mio cuore, per frantumarlo, proprio come aveva fatto con le ossa della mia faccia.
"Intervieni ancora, Mike..." la sua mano mi scosse la testa, aumentando il dolore che già stavo provando e costringendomi ad aprire gli occhi, per incontrare i suoi, crudeli e spietati, "...e non vedrai piú nulla. Nemmeno il buio delle tue palpebre.".
La sua voce era tagliente come la lama di un coltello già affilato da tempo, anni ed anni di esperienza e dolore. I suoi occhi mi fulminavano, mi avrebbero smembrato vivo, se avessero potuto. Le sue dita erano ancora sulla mia mascella, il pollice alla mia sinistra, le altre dita alla mia destra: erano state quelle a rompermi tutte le ossa della bocca, o quasi. Anche ora, quelle sottili, ma letali, dita stavano facendo pressione sulle ossa rotte, provocandomi un senso di nausea disgustoso nella bocca distrutta.
Avrei voluto liberarmi da quella presa, ma la sua morsa non mi lasciava possibilità di muovermi. Senza che me ne fossi reso conto, mi ero inginocchiato a terra, la gamba ferita che si copriva di fango.

"Basta cosí. Dubito che si ostinerà a metterti i bastoni tra le ruote, dopo quello che gli hai fatto." il Capitano mi guardava con sufficienza, come si guarda un insetto poco interessante.
Il suo sguardo era completamente indifferente, la sua postura, mentre era appoggiato ad un albero, poco lontano dalla mia regina, rilassata. Le sue braccia erano incrociate al petto, il collo ben disteso. Il tatuaggio che spuntava dalla camicia era appena visibile, da dov'ero io.
La mia regina non battè ciglio nè guardó nemmeno con la coda dell'occhio il Capitano.
"O, almeno, per il momento." continuó la guardia.
La mia regina non mi lasció nemmeno per un secondo la mascella. Ormai, mi aveva in pugno. Sul suo volto apparve un sorriso crudele, quasi quanto il suo sguardo. Sapeva quanto dolore mi stava procurando e quanta paura mi stava incutendo. Pur non conoscendomi, mi conosceva già benissimo.

"No, non penso lo farà." Le sue dita erano ancora attaccate al mio viso, la pressione che esercitavano su di me che aumentava. "Ma provaci ancora una volta, Mike, una sola volta, e sei morto.".
Le sue dita mi lasciarono improvvisamente, permettendomi di respirare, dopo almeno due minuti in cui avevo trattenuto il respiro, e di liberarmi dalla loro pressione spietata.
Presi una grande boccata d'aria, ma me ne pentii subito: la bocca mi andava a fuoco, per il dolore alla mascella. Avrei voluto urlare, stringere i denti per non farlo, ma mi era impossibile muoverla.
Appoggiai due mani a terra, lasciando che lacrime calde mi scorressero sul viso. Sbattei un pugno sul tappeto di foglie gialle e rosse sotto di me, per la frustrazione.
"Non ti preoccupare, ti passerà nel giro di un minuto." sentii a malapena la mia regina mormorare.
La vidi allontanarsi da me con la coda dell'occhio. Fui grato per la sua lontananza.
"Andiamo a prendere Lilith." mormoró la mia regina al Capitano, ponendosi di fronte a lui.
I due si guardarono per qualche secondo, comunicando in un modo che io non riuscivo ancora a capire, solo con lo sguardo, senza parole.
"E sarà Mike a farlo." la voce della mia regina non ammetteva repliche.
Il suo sguardo era rivolto al Capitano, ma sapevo che, invece, avrebbe voluto pronunciare di fronte a me quelle parole.
Strinsi il pugno sulle foglie. Ed espirai.
Avrei dovuto farlo. Per me. Per lei. Per la sua famiglia. Per tutti noi.

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