Capitolo XL

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Da bambini siamo stati spinti nel buio, e poi siamo tornati, ridendo o tremando, nella luce.
Morire è essere spinti nel buio e non tornare più.

Ho combattuto con la morte. È la sfida meno eccitante che si possa immaginare.
Si svolge in un impalpabile grigiore, niente sotto i piedi, niente intorno, senza spettatori, senza clamore, senza gloria, senza il grande desiderio della vittoria, senza la grande paura per la sconfitta, in un'atmosfera insalubre di tipido scietticismo, senza molto sollievo nelle mie stesse ragioni e ancor meno in quelle del mio avversario.

Posso dire che l'unica grazia che mi è stata concessa da lassù è di avermi nascosto il modo in cui sarei morta.
Credevo che la morte fosse qualcosa a me lontana, la vita mi avrebbe riservato altre mille emozioni ed io sarei morta in tarda età, dopo aver vissuto la vita che mi sarei costruita.
Avevo dei piani, volevo diventare qualcuno.

Ma la vita anche se fatta di scelte e decisioni,
può sempre coglierci di sorpresa e ribaltare improvvisamente tutto quanto, andando a scombussolare l'equilibrio che ci siamo costruiti.
Dopo tutto, il domani rimarrà per sempre un segreto.

Il mio corpo è diventato pesante, la mia anima troppo leggera.
Vuole liberarsi. Proprio come un palloncino tenuto da un bambino, la mia anima vuole liberarsi verso il cielo e lasciare definitivamente il mondo terreno che mi ha cresciuta.

Poi, eccomi fuori dalle mie carni.
Osservo malinconica il mio corpo inerme, pallido e moribondo riverso al suolo. È terribilmente straziante.

Un bagliore mi costringe a chiudere gli occhi e mi ritrovo in un luogo fantastico, un posto candido fatto di nubi bianche come lo zucchero filato.
Ci sono persone attorno a me, e la cosa sorprendente è che tutte possiedono un paio di ali bianche.
Sono queste le anime delle persone?

Mi guardo le spalle e mi accorgo che anche io possiedo delle ali, ma non bianche. Esse sono nere corvine, più scure delle tenebre.
Stranamente mi ricordano quelle di Taehyung.

Improvvisamente tutte le genti si voltano verso di me guardandomi con disprezzo, con un'amarezza talmente angosciante da farmi scappare via.
Ma il mio corpo non si muove: è spinto verso un punto in particolare dominato da una figura divina.

Apparentemente sembra una donna: è coperta da un velo celeste e par che stia indicando a ciascun anima il posto in cui dovrà risiedere.
Una dopo l'altra, le anime davanti a me attendono il loro giudizio fino all'arrivo del mio turno.

"Tu creatura, non sei degna di restare in questo posto. La felicità è solo per i buoni e tu non lo sei, lo vedo dalle ali"

Rimango spiazzata all'udire questo terribile giudizio: le parole muoiono nella mia bocca e poi, spinta da non so quale forza, precipito nel vuoto ritrovandomi in una terra di fuoco, dominata da urla strazianti di dannati, grida di dolore, imprecazioni, pianti e sbraiti.
Tutte quelle anime hanno le ali nere, proprio come le mie.

Mi incammino intorno e tutti sembrano aver perso completamente il lume della ragione: alcuni presi dalla pazzia, si scagliano contre le anime iniziando a strapparne le piume delle ali facendo fuoriuscire del sangue a fiotti.
Alcuni invece litigano, s'insultano, altri invece piangono l'immenso dolore che provano.

Sono completamente sola nel posto più tenuto dall'uomo. È forse questo che viene comunemente chiamato Inferno?

"È davvero questo il posto a cui sono destinata? Perchè?! Perchè a me?!"
Ma alla stupida domanda "Perchè io?" l' universo si prende a malapena il disturbo di replicare: perchè no? Quasi come se mi stesse prendendo in giro.

"Non sei più umana, hai smesso di esserlo dal primo omicidio che hai commesso. Gli umani non si uccidono tra di loro, quella è cosa da bestie"

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