Capitolo XVII

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Penso spesso che la notte sia più viva e intensamente colorata del giorno. So poco della notte ma essa sembra sapere di me, e in più, mi cura come se mi amasse, mi copre la coscienza con le sue stelle. Forse la notte è la vita e il Sole è la morte.

Questa è una di quelle notti che sarebbero da cammiare e parlare nei vicoli di un posto qualunque, finchè non finiscono le parole, vicoli e senso dell'orientamento. Mi trascino per le vie e parlo tra me. D'altronde, di notte si monologa, come dei re. E intanto che cammino tra le affollate strade di questa megalopoli, più viva di notte che di giorno, chissà che fine ha fatto l'anima del ragazzo che ho ucciso. Forse è in cielo, in paradiso, a godersi la vera libertà, o forse è nelle più oscure cavità della Terra, dove il celeberrimo Dante ha collocato coloro che in vita non sono stati degni di aver la grazia divina. Chissà dove quel poeta ha collocato l'anima di quel peccatore.

Chissà dove collocherebbe ora la mia, se ne ho ancora una.

Peró, prima di poter volare, l'anima deve far un bagno nella polvere, come gli uccelli. Peccato che la mia si sia sporcata con il sangue vermiglio di una persona che nemmeno ho conosciuto.
Con questo? Se davvero c'è vita dopo la morte, potró essere lo stesso un angelo che svolazza lassù da qualche parte, che osserva il mondo come un uomo osserva dalla cima di una montagna il paesello sottostante?

Mille domande, nessuna risposta.

Le stelle questa notte non sembrano essere dalla mia parte, se ne stanno in cielo a brillare come sono solite fare, segnando la volta celeste di infiniti punti luminosi. E io rimango come sempre affascinata dalla loro bellezza.

Il tempo scorre e casa mia si fa sempre più vicina. Varcando la soglia di casa, cercando di non far rumore per non svegliar i cani che dormono, mi sistemo per coricarmi, la mente completamente annebbiata dallo sguardo vaquo di quel ragazzo morente.

Spengo la luce della lampada e noto un'ombra più scura della notte di fronte al mio letto. Una sagoma che riconosco benissimo.

"E Gui, che cazzo vuoi ancora? Ho sonno e domani ho scuola"

Mi siedo sul letto portando le coperte davanti a me. Nel buio s'intravede il sadico e caratteristico sorriso del demone Jimin

"È questo il modo di accogliere il tuo superiore Seoyeon? Colui che ti crescerà come un genitore?"

"Ne ho già due di genitori che rompono i coglioni, non metterci pure te. Dimmi cosa vuoi e poi lasciami riposare"

Il demone si avvicina sedendosi di fronte a me.
Gli occhi completamente neri luccicano nell'oscurità della stanza.

"Quella di stasera è stata solo una prova. Hai perso parte della tua umanità. Guardati le mani, guardale mentre si sporcano del colore del demonio. Un bellissimo colore no?"

Mi guardo i palmi delle mani e sono sporchi di sangue. Prima non lo erano!

Mi alzo in piedi per andare in bagno a lavarmele ma il sangue non va via. E Gui sghignazza vedendomi strofinare con foga le mani sotto l'acqua corrente del rubinetto

" È inutile Seoyeon. Ti sporcherai sempre di più, di più, di più!!" scoppia in un'orrida risataccia

Allunga una mano e chiude l'acqua del rubinetto. Lo guardo intimorita

"Non fare così, non è da te aver paura Seoyeon. In fondo, non hai forse appena ucciso una persona? Come ti sei sentita? Impaurita? Scossa? Nervosa? O forse impassibile? Fredda? Indifferente?"

"Smettila!"

"Oh non fare così, volevo solo sapere come è stata la tua prima esperienza da assassina." allunga una mano accarezzandomi il volto

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